Episodio ricostruito nei minimi dettagli non equivocabile la condotta tenuta dal proprietario della vettura, beccato a non aver pagato il ticket previsto per la sosta. Però non si può parlare di semplice violenza privata, bensì di resistenza a pubblico ufficiale pena, quindi, portata da tre a sette mesi di reclusione.
Scena da ‘far west’ lungo una strada di un Comune italiano lo ‘sceriffo’ è un verificatore della sosta, il ‘pistolero’ un automobilista colto in fallo, ossia con la vettura in sosta senza aver pagato il relativo ticket di fuoco le parole utilizzate dal proprietario del veicolo, così minacciose da costringere l’operatore a rimuovere il verbale di accertamento. Alla fine, però, i ‘buoni’ vincono sempre Difatti, l’automobilista viene condannato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale – e non più per semplice violenza privata –, con pena aumentata e portata a sette mesi di reclusione. Cassazione, sentenza numero 28521, sez. VI Penale, depositata oggi Sosta gratis. Assolutamente non equivocabile la frase utilizzata dall’automobilista nei confronti del verificatore della sosta «Se non me la togli subito» – la multa, of course – «ti spacco la faccia». Obiettivo – raggiunto – dell’uomo è vedere cancellato il «verbale di accertamento» messo ‘nero su bianco’ per il «mancato pagamento del ticket per la sosta», verbale che era già piazzato sul veicolo – una Fiat 500 – piazzato nello stallo per il parcheggio. Però, mentre per i giudici di primo grado si può contestare solo il reato di «violenza privata» – con pena di «tre mesi di reclusione» –, per i giudici di secondo grado sussistono i presupposti per condannare l’automobilista per la più grave ipotesi della «resistenza a pubblico ufficiale», con relativa pena portata a «sette mesi di reclusione». Per i giudici della Corte d’Appello, in sostanza, il «comportamento» dell’automobilista è stato «certamente idoneo ad influire sulla libertà di determinazione» del verificatore della sosta, il quale ha, in maniera legittima, la «qualità di incaricato di pubblico servizio», avendo ricevuto dal sindaco del Comune «le funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta dei veicoli». Ruolo e funzioni. E la prospettiva – peggiorativa per l’automobilista – tracciata in secondo grado viene condivisa, e ‘cristallizzata’, ora dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, confermano la condanna dell’uomo per «resistenza a pubblico ufficiale». Decisiva è la ricostruzione dell’episodio, da cui emerge che l’automobilista «aveva inequivocabilmente minacciato la vittima» – ‘promettendogli’ «lesioni personali» e «mostrando anche il pugno per rendere più efficace la portata intimidatoria» delle sue parole – col chiaro obiettivo di opporsi, in maniera dura, all’azione compiuta dal verificatore della sosta, il quale «operava nella veste e nell’esercizio delle sue funzioni di accertamento e contestazione di contravvenzioni, tutte rientranti nelle attribuzioni specificatamente conferitegli dal Comune». Nessun dubbio, quindi, sul fatto che l’uomo abbia «minacciato» un «pubblico ufficiale» per impedire «il compimento» di un «atto di ufficio». Conseguenziale, e legittima, per questo, la contestazione del reato di «resistenza a pubblico ufficiale».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 aprile – 2 luglio 2014, numero 28521 Presidente De Roberto – Relatore Lanza Ritenuto di fatto 1. Z.V., era originariamente accusato del reato di cui all'articolo 610 c.p., perché, con minacce, consistite nel rivolgere a P.M., nella sua qualità di verificatore della sosta, la frase 'use non me la togli subito ti spacco la faccia , costringeva l'operatore a togliere il verbale di accertamento, del mancato pagamento del ticket per la sosta, che era stato messo sul veicolo Fiat 500 targato AT847EX a lui in uso in Trieste il 10/1/2007 recidivo. 2. Il Tribunale di Trieste con sentenza 15 luglio 2011, ha dichiarato l'imputato colpevole del reato ascrittogli, qualificato ai sensi degli articolo 56 e 610 c.p., e lo ha condannato alla pena di mesi tre di reclusione. 3. Su appello dello Z. e del Procuratore Generale della Repubblica, la Corte di appello di Trieste, con sentenza 4 giugno 2013, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riqualificato il fatto ai sensi dell'articolo 337 c.p. ed applicato l'aumento per la recidiva contestata, ha rideterminato la pena in mesi sette di reclusione, confermando nel resto l'impugnata decisione. 4. La Corte territoriale ha considerato il comportamento dello Z. come certamente idoneo ad influire sulla libertà di autodeterminazione del Pugliese, avendo l'imputato prospettato di cagionargli lesioni personali, mostrando anche il pugno per rendere più efficace la portata intimidatoria delle sue affermazioni ed avendo agito in stato di alterazione deposizione Ravaioni, pag. 17 assunto questo che risulta confermato anche dal fatto che il Pugliese aveva effettivamente richiesto del'intervento delle forze dell'ordine. 5. la gravata sentenza inoltre, ha attribuito al Pugliese la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto, quale dipendente del Consorzio Servizi alla Mobilità Trieste Cosmocity, gli erano state espressamente conferite dal Sindaco di Trieste, con provvedimento del 10/2/2004 aff. 27 , le funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta dei veicoli nelle aree oggetto di concessione tra le quali, quella in cui la p.o. operava il giorno del fatto , ai sensi dell'articolo 17 comma 132 della L. 127/97 si cita in proposito Sez. 6, Sentenza numero 7496 del 14/1-20/2/2009, Rv. 242914 . 6. Quanto alla qualificazione della condotta la corte distrettuale ha ritenuto integrato il reato di cui all'articolo 337 c.p. non quello di cui all'articolo 336 c.p., non avendo lo Z. agito prima dell'inizio dell'esecuzione, da parte del Pugliese, dell'atto del proprio servizio , in quanto l'imputato aveva minacciato la vittima del reato per opporsi al predetto Pugliese, mentre operava, nella veste sopraindicata, nell'esercizio delle sue funzioni di accertamento e contestazione di contravvenzioni, rientranti nelle attribuzioni specificatamente conferitegli dal Comune di Trieste. 7. Per l'impugnata decisione il fatto oggetto di contestazione, la cui formulazione comprende espressamente anche gli elementi relativi alla posizione soggettiva del Pugliese è stato quindi riqualificato ai sensi dell'articolo 337 c.p Considerato di diritto 1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo della ritenuta sussistenza dell'articolo 337 cod. penumero da escludersi per pìù ragioni, in quanto a l'ausiliario del traffico ha accertato e contestato la violazione senza subire alcun turbamento dall'atteggiamento pur alterato dell'imputato b non vi è stato pertanto alcun impedimento od ostacolo all'attività del Pugliese. 2. Con un secondo motivo si lamenta l'avvenuta riqualificazione della condotta potendosi al massimo ritenere la sussistenza dell'originaria contestazione aggravata ex articolo 61 comma 1 numero 10 cod. penumero nella specie si sarebbe trattato di una minaccia inidonea a ridurre la capacità di autodeterminazione del Pugliese il quale ha ammesso che le minacce non hanno ottenuto alcun risultato. 3. Ritiene la Corte che nessuna delle anzidette doglianze, personalmente prospettate dallo Z. nella sua impugnazione, meriti accoglimento, ferma restando l'attribuzione al Pugliese, ausiliario del traffico, della qualità di incaricato di pubblico servizio all'atto dell'accertamento e contestazione delle violazioni attinenti al divieto di sosta nelle aree oggetto di concessione cfr. in termini cass. penumero sez. 6, 7496/2009, De Certo . 3.1. Nella specie infatti, correttamente, il giudice distrettuale ha ritenuto realizzato lo schema legale dell'affermata violazione dei disposti dell'articolo 337 cod. penumero , di cui pacificamente ricorrevano sia gli elementi esecutivi che il corrispondente elemento psicologico. 3.2. Si è trattato di una conclusione che risulta supportata da una serie, coerente, di argomentazioni, logiche e coerenti, sulla ricostruzione del fatto e della sua rilevanza penale, nelle quali i giudici di merito hanno dato adeguato e completo conto, così ritenendo realizzato il delitto di cui all'articolo 337 c.p. non quello di cui all'articolo 336 c.p., non avendo lo Z. agito prima dell'inizio dell'esecuzione, da parte del Pugliese, dell'atto del proprio servizio , in quanto l'imputato aveva inequivocamente minacciato la vittima, al fine di opporsi, mentre questa operava, nella veste e nell'esercizio delle sue funzioni di accertamento e contestazione di contravvenzioni, tutte rientranti nelle attribuzioni specificatamente conferitegli dal Comune di Trieste. 3.3. E' invero noto che, allorquando la violenza o la minaccia, realizzata dall'agente nei confronti del pubblico ufficiale, viene usata durante il compimento dell'atto di ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell'articolo 337 c.p,., mentre si versa nell'ipotesi dell'articolo 336 allorquando la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo ad omettere l'atto di ufficio anteriormente all'inizio di esecuzione cfr. in termini cass. pen sezione. 6, u.p. 5 dicembre 2013 Lupicino . 3.3. A fronte di tali persuasive asserzioni, il ricorrente prospetta, contro ogni evidenza, una diversa scansione della condotta, quale invece correttamente ricostruita dalla corte distrettuale, proponendo in sede di legittimità una sua diversa e più favorevole lettura, ottenibile peraltro mediante una non consentita rivalutazione dei dati e delle emergenze probatorie, quali invece rigorosamente verificati ed apprezzata nella gravata decisione. 3.4. Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.