Episodio di violenza ricostruito come un puzzle: l’attendibilità non è minata

La sentenza di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompiutezza o incoerenza tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.

A ribadirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28359, depositata l’1 luglio 2013. Il caso. Il Tribunale per i Minorenni aveva condannato un ragazzo perché, insieme ad altri coimputati, aveva costretto una minore a subire atti sessuali, in particolare aveva avuto con la persona offesa un rapporto completo e aveva assistito agli atti posti in essere dalle altre persone del gruppo, collaborando con gli stessi al fine di impedire alla ragazza di opporsi a tali violenze. In seguito, la Corte di appello aveva assolto il medesimo dal reato ascritto perché il fatto non sussiste. Pezzo dopo pezzo il fatto è descritto. La Corte territoriale ha ricordato che la vicenda processuale aveva tratto origine dalla denuncia presentata ai Carabinieri da un amico della vittima, il quale aveva riferito che questa, piangendo, gli aveva confidato che, dopo aver consumato due spinelli con dei giovani conosciuti nella mattinata, aveva perso ogni freno inibitorio e i ragazzi avevano avuto con lei ripetuti rapporti, e dopo, cessati gli effetti della sostanza, aveva iniziato a piangere. Il giorno successivo a tale episodio, la ragazza, accompagnata dalla madre, si era presentata presso la caserma, sporgendo denuncia e raccontando i fatti già riferiti dall’amico, precisando che i giovani avevano avuto rapporti sessuali con lei contro la sua volontà, approfittando del fatto che si trovava sotto l’effetto della sostanza stupefacente. Tanto premesso, la Corte territoriale aveva ritenuto non condivisibili le conclusioni del primo giudice in ordine al dissenso manifestato dalla ragazza ad avere rapporti sessuali, quindi aveva statuito che non vi fosse prova certa della manifestazione di un valido dissenso e che questo fosse stato percepito. Sentenza di primo grado non confutata. Avverso tale decisione, il Procuratore Generale ha denunciato la manifesta illogicità della motivazione a seguito del travisamento del fatto e carenza di motivazione inoltre, ha lamentato la contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte assolto l’imputato perché il fatto non sussiste, pur non escludendosi la sussistenza della violenza. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, ricordando che la sentenza d’appello, che riforma integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente le ragioni poste a sostegno della decisione riformata. La Corte territoriale, per i giudici, non si è attenuta a tale consolidato principio. Infatti, Piazza Cavour ha rilevato che il Tribunale aveva ampiamente argomentato in ordine alle ragioni per cui la parte offesa doveva ritenersi pienamente attendibile, sottolineando, in particolare, che le diverse versioni da essa rese non erano contrastanti fra di loro, ma fornivano precisazioni di aspetti che erano stati approfonditi a seguito di specifiche domande degli inquirenti. Precisazioni, non versioni contrastanti. La Corte territoriale ha dato atto che fin dalle prime dichiarazioni, rese ai Carabinieri in sede di denuncia, la parte offesa aveva riferito che i giovani avevano approfittato dello stato in cui si trovava a seguito dell’assunzione di sostanze stupefacenti. Infatti, per i giudici di legittimità, in sede d’appello, senza alcun approfondimento in ordine alle modalità di svolgimento delle successive dichiarazioni se cioè i particolari sul tentativo di alzarsi dal letto e di aver detto espressamente ai ragazzi di smetterla fossero stati riferiti spontaneamente o a seguito di precise e specifiche domande degli inquirenti è stato ritenuto, apoditticamente, che esse si ponessero in contrasto con la iniziale versione e minassero quindi la credibilità complessiva della vittima in ordine al dissenso da essa manifestato e alla sua percepibilità da parte degli imputati. Peraltro, il S.C. ha ritenuto fondato anche il secondo motivo, perché i giudici di merito hanno adottato la formula assolutoria della insussistenza del fatto, piuttosto che quella, più adeguata alle valutazioni espresse in merito manifestazione del dissenso non provata , del fatto non costituisce reato .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 maggio - 1 luglio 2013, numero 28359 Presidente Lombardi – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5.5.2008 il Tribunale per i Minorenni di Catania, in composizione GUP, condannava C.S. , previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la diminuente per la scelta del rito nonché quella della minore età, alla pena sospesa alle condizioni di legge di anni 2 di reclusione per il reato di cui agli artt. 609 octies e 609 ter numero 2 c.p. perché insieme a R.S. , T.E. e S.S. , costringeva V.E. a subire atti sessuali in particolare, aveva con la V. un rapporto sessuale completo ed assisteva agli atti sessuali posti in essere dalle persone sopra indicate, collaborando con gli stessi al fine di impedire alla persona offesa di opporsi a tali atti , esclusa la circostanza aggravante di aver commesso il fatto con l'uso di sostanze stupefacenti del tipo marijuana. La Corte di Appello di Catania, sez. Minumero , con sentenza resa il 20.4.2012, in riforma della sentenza del Tribunale/appellata dall'imputato, assolveva il medesimo dal reato ascritto perché il fatto non sussiste. Ricordava la Corte territoriale che la vicenda processuale aveva tratto origine dalla denuncia presentata ai Carabinieri da B.D. , amico della V. , il quale assumeva che poco prima si era presentata presso il suo negozio la predetta, in evidente stato di agitazione. La ragazza, piangendo, gli aveva confidato che quella mattina non si era recata a scuola a causa di un'assemblea e che sull'autobus aveva conosciuto quattro ragazzi, i quali l'avevano invitata a scendere dal veicolo a dopo aver consumato uno spinello all'interno di un'auto, si erano recati presso un'abitazione in campagna qui aveva consumato un altro spinello, perdendo ogni freno inibitorio, ed i ragazzi avevano avuto con lei ripetuti rapporti sessuali. Cessati gli effetti della sostanza stupefacente aveva iniziato a piangere e, su sua richiesta, era stata accompagnata a . I Carabinieri, dopo aver ricevuto la denuncia del B. , si portavano a casa della V. , la quale però negava i fatti. Il giorno successivo la ragazza, accompagnata dalla madre, si presentava presso la Caserma dei CC, sporgendo denuncia, con la quale raccontava i fatti già riferiti al B. , precisando che i giovani, dopo che aveva fumato il secondo spinello, l'avevano fatta sdraiare sul letto, iniziando a toccarla e a spogliarla, ed a turno avevano avuto con lei rapporti sessuali, contro la sua volontà, approfittando del fatto che si trovava sotto l'effetto della sostanza stupefacente. I ragazzi avevano interrotto l'azione quando si erano accorti di alcune perdite di sangue dovute al sopraggiungere del ciclo mestruale. Sentita nuovamente dai Carabinieri la V. riferiva di essersi opposta all'azione dei giovani, cercando di rialzarsi dal letto, senza però riuscirvi perché le era stato impedito. Sentita ulteriormente dai P.M. riferiva, per la prima volta, di aver detto ai ragazzi, espressamente di smetterla. Infine, in sede di incidente probatorio, la parte offesa confermava il racconto, arricchendolo di dettagli e precisando di aver fumato gli spinelli volontariamente e di essere rimasta lucida. Tanto premesso, riteneva la Corte territoriale non condivisibili le conclusioni del primo giudice in ordine alla prova del dissenso manifestato dalla ragazza ad avere rapporti sessuali. Essendo stata esclusa la circostanza aggravante, costituiva giudicato interno che la ragazza non era stata posta in una situazione di sostanziale incapacità e risultava altresì dagli atti che essa era rimasta lucida. In ordine alla manifestazione del dissenso, poi, la versione della p.o. si era andata arricchendo nel corso delle varie dichiarazioni rese inizialmente aveva riferito di aver avuto i rapporti sessuali perché aveva perduto ogni freno inibitorio, e solo davanti al P.M. riferiva di aver tentato, ma inutilmente, di rialzarsi dal letto in ogni caso la stessa dinamica di tale tentativo non consentiva di ritenere con certezza che esso fosse stato percepito dall'imputato . Secondo la Corte territoriale, quindi, non vi era prova certa che la ragazza avesse manifestato effettivamente un valido dissenso e che esso fosse stato percepito. 2. Ricorre per cassazione il P.G. presso la Corte di Appello di Catania, denunciando la manifesta illogicità della motivazione a seguito del travisamento del fatto e carenza di motivazione. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte la sentenza di appello che riformi totalmente quella di primo grado deve sovrapponi ad essa confutando e smentendo le argomentazioni da essa adoperate. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale e come ampiamente argomentato dal Tribunale, la parte offesa, sentita più volte, aveva reso versioni differenti ma non contrastanti tra loro. Si trattava di precisazione di fatti e dettagli che non incidevano certo sulla piena attendibilità della V. . La insussistenza di ogni divergenza tra le dichiarazioni della predetta emerge dagli atti, risultando in particolare fin dal primo momento che gli atti sessuali erano avvenuti contro la sua volontà e solo perché essa si trovava sotto l'effetto della sostanza stupefacente. Nelle successive dichiarazioni tale aspetto fu soltanto approfondito a seguito di specifiche domande degli inquirenti. La circostanza, valorizzata dalla Corte, che inizialmente la ragazza non aveva riferito di avere invitato i giovani a smetterla, è, comunque, irrilevante avendo essa sempre riferito di essere stata costretta a non alzarsi dal letto. Le dichiarazioni, pienamente utilizzabili del coimputato S. , le quali confermavano sostanzialmente la condotta violenta posta in essere in danno della ragazza, vengono liquidate dalla Corte territoriale in base al rilievo che esse risultano mosse da intenti difensivi, senza alcun approfondimento in ordine alla loro eventuale inattendibilità. La Corte territoriale, poi, non prende in esame la versione dei fatti, certamente non veritiera del C. . Infine, la Corte di merito omette completamente di motivare in ordine all'atteggiamento tenuto dalla ragazza subito dopo i fatti, incompatibile con rapporti sessuali deliberatamente posti in essere. Denuncia poi la contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte mandato assolto l'imputato perché il fatto non sussiste, pur non escludendosi la sussistenza della violenza sessuale. Essendo stato posto l'accento sulla mancanza di prova in ordine al dissenso della vittima o comunque alla percezione dello stesso da parte dell'imputato, la formula assolutoria avrebbe dovuto essere perché il fatto non costituisce reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. È assolutamente pacifico, a partire dalla decisione delle sezioni unite di questa Corte del 12.7.2005 numero 33748, che la sentenza di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato cfr. ex multis Cass. sez. 2 numero 746 dell'11.11.2005 numero 6221 del 2006 Rv, 233083 . Anche successivamente è stato ribadito che La sentenza di appello, che riforma integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli elementi più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati . Cass. sez. 5 numero 42033 del 17.10.2008 . 3. La Corte territoriale, nel riformare la sentenza di primo grado, non si è attenuta a tali consolidati principi. 3.1. Il Tribunale, in composizione GUP, aveva ampiamente argomentato in ordine alle ragioni per cui la parte offesa doveva ritenersi pienamente attendibile, sottolineando, in particolare, che le diverse versioni da essa resa non erano contrastanti fra di loro, ma fornivano precisazioni di aspetti che erano stati approfonditi a seguito di specifiche domande degli inquirenti. Sottolineava il primo giudice che la volontà della ragazza di non avere rapporti sessuali era stata manifestata chiaramente ed emergeva costantemente dalle sue dichiarazioni. La Corte territoriale ha dato atto che fin dalle prime dichiarazioni, rese ai Carabinieri in sede di denuncia, la V. aveva riferito che i giovani avevano approfittato dello stato in cui si trovava a seguito dell'assunzione di sostanza stupefacente dopo averla fatta sdraiare sul letto, si gettavano tutti sopra e iniziavano a toccarla, a spogliarla, a slacciarle il reggiseno ricordava di essere stata fatta sdraiare a pancia in giù e che i quattro ragazzi avevano a turno con lei rapporti completi, contro la sua volontà - pag. 3 sentapp. . La p.o., quindi, fin dal primo momento aveva riferito del suo dissenso, confermato del resto dalle stesse modalità dell'azione posta in essere congiuntamente dai quattro ragazzi prima di congiungersi carnalmente, a turno, con lei. La Corte territoriale, senza alcun approfondimento in ordine alle modalità di svolgimento delle successive dichiarazioni se cioè i particolari sul tentativo di alzarsi dal letto e di aver detto espressamente ai ragazzi di smetterla fossero stati riferiti spontaneamente o a seguito di precise e specifiche domande degli inquirenti ha ritenuto, apoditticamente, che esse si ponessero in contrasto con la iniziale versione e minassero quindi la credibilità complessiva della V. in ordine al dissenso da essa manifestato ed alla sua percepibilità da parte degli imputati. 3.2. Il Tribunale aveva, inoltre valorizzato le dichiarazioni del coimputato S. , che costituivano un indubbio riscontro alla versione dei fatti fornita dalla parte offesa. Costui aveva riferito che la situazione che si era creata non era di suo gradimento e che i suoi amici non avevano intenzioni buone nei confronti della ragazza, tanto che aveva chiamato un suo amico per allontanarsi. Aveva inoltre evidenziato il Tribunale che, secondo quanto riferito dal medesimo S. , qualcuno dei presenti aveva ingiunto alla ragazza di non fare nomi precisazione superflua nell'ipotesi di rapporti sessuali volontari pag. 9 sent. Trib. . Anche sul punto le argomentazione della Corte territoriale sono assolutamente insoddisfacenti e non adeguate, avendo ritenute inattendibili tali dichiarazioni in quanto rientranti nella strategia difensiva e senza specificare le ragioni per cui esse sarebbero state di giovamento alla posizione processuale dell'Imputato e, soprattutto, i motivi per cui dovevano ritenersi non veritiere. 3.3. Infine la Corte territoriale ha omesso completamente di esaminare lo stato di prostrazione fisica e psichica della ragazza ed il comportamento da lei tenuto subito dopo i fatti e di accertare se esso fosse o meno compatibile con rapporti sessuali volontari, e non ha preso in considerazione la versione fornita dall'imputato, in ordine alla quale il Tribunale aveva diffusamente argomentato a sostegno della ipotesi accusatoria. 4. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato. La Corte territoriale non ha escluso che i rapporti sessuali siano avvenuti contro la volontà della parte offesa e, conseguentemente, non ha considerato completamente inattendibile la versione dei fatti fornita dalla medesima. Ha ritenuto, invero, che non vi sia prova della espressa manifestazione del dissenso della vittima e, soprattutto, della percezione dello stesso da parte dell'imputato e dei correi. Contraddittoriamente, però, ha adottato la formula assolutoria della insussistenza del fatto, piuttosto che quella, più adeguata alle vantazioni espresse in motivazione, del fatto non costituisce reato . 5. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Catania, sez. Minumero , in diversa composizione, che si atterrà ai principi ed ai rilievi sopra enunciati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello, sez. Minumero , di Catania in diversa composizione.