Nessuna modifica sostanziale nei rapporti di forza a livello economico tra i due ex coniugi. Decisiva la valutazione delle rispettive posizioni pensionistiche. Irrilevante l’attività d’impresa allestita dalla donna. Di peso, invece, l’impegno che ella ha dedicato, durante la vita coniugale, al lavoro domestico e alla cura dei figli.
Imprenditrice, sì, ma ‘minimal’, con un’attività – un ‘bed and breakfast’, per la precisione – dalla redditività variabile e, comunque, assai modesta. Ciò rende legittimo un assegno corposo, da parte dell’oramai ex marito, a ‘sigillo’ del divorzio, anche tenendo presente la dedizione mostrata, come moglie e come madre, dalla donna durante la vita coniugale Cass., ord. numero 13104/2014, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Assegno. Rottura definitiva, e ufficiale, della coppia la ‘certificazione’ arriva, ovviamente, col divorzio. Che comporta, però, anche l’apertura del fronte – sempre delicato – dei rapporti economici Su questo punto la ‘bilancia’ pende a favore della donna le viene riconosciuto, difatti, il diritto all’«assegno divorzile», prima fissato a «2.000 euro mensili» e poi ridotto a «1.200 euro mensili». Decisiva, per questo ‘taglio’, la constatazione del «percepimento», da parte della donna, di «una pensione di 800 euro mensili». Impresa. Ulteriori riduzioni, però, non sono affatto possibili questa è la risposta della Cassazione alle richieste avanzate dall’uomo, e finalizzate a veder reso più ‘leggero’ l’«assegno» da versare ogni mese all’ex moglie. Irrilevanti le sottolineature effettuate dall’uomo, e legate ai presunti miglioramenti economici della donna. Ciò perché, innanzitutto, sono stati messi a confronto «i redditi pensionistici dei due ex coniugi, che divergono, in proporzione di uno a cinque, a favore» dell’uomo. Eppoi, è stata anche tenuta in considerazione «l’attività di ‘bed and breakfast’ svolta recentemente» dalla donna, ma sono emerse, in maniera evidente, «la variabilità e la relativa modestia dei redditi percepiti». A completare il quadro, poi, anche la «durata del matrimonio» – oltre trent’anni di vita coniugale – e, soprattutto, la «dedizione» mostrata dalla donna per il «lavoro domestico» e per la «cura ed educazione dei figli». Corretto, quindi, e confermato in via definitiva, il quantum dell’«assegno divorzile» stabilito a carico dell’uomo e a favore dell’ex moglie.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 18 febbraio – 10 giugno 2014, numero 13104 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Rilevato che in data 28 novembre 2013 è stata depositata relazione ex articolo 380 bis che qui si riporta senza modifiche sostanziali 1. Il Tribunale di Roma, con sentenza numero 15966/2008, a definizione del giudizio di divorzio, ha determinato in 1.200 euro mensili l'assegno divorzile dovuto da R.S. a P.M. con decorrenza dalla sentenza. 2. L'appello proposto da R.S. e l'appello incidentale proposto da P.M. sono stati integralmente respinti dalla Corte di appello, salvo la fissazione di una diversa decorrenza dall'agosto 2007 dell'assegno divorzile, conseguente all'accertamento del percepimento da parte della M., da quella data, di una pensione di 800 euro mensili, che aveva già indotto il Tribunale ad abbassare a 1.200 euro mensili l'assegno divorzile determinato nel precedente corso del giudizio in 2.000 euro. La Corte distrettuale ha altresì compensato interamente le spese processuali. 3. Propone ricorso per cassazione R.S. affidandosi a due motivi di impugnazione con i quali deduce a nullità della sentenza della Corte di appello perché viziata da error in procedendo per violazione ed erronea applicazione e/o interpretazione dell'articolo 112 c.p.c. articolo 360 numero 4 c.p.c. b contraddittoria e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione al disposto di cui all'articolo 360 numero 5 c.p.comma 4. Si difende con controricorso P.M Ritenuto che 5. Il primo motivo di ricorso è formulato erroneamente come violazione dell'articolo 112 c.p.c. mentre in realtà prospetta una insufficienza della motivazione in quanto si riferisce alla pretesa non considerazione delle critiche mosse alla c.t.u. dall'odierno ricorrente e dal suo c.t.p. Come tale il primo motivo di ricorso appare inammissibile. Va inoltre ribadito che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento non è quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. cfr. Cass. civ. sezione I, numero 282 del 9 gennaio 2009 . Ma a parte tali rilievi, se si legge la motivazione della sentenza impugnata, appare con evidenza che la Corte di appello ha fatto un uso del tutto prudenziale delle stime del patrimonio immobiliare dell'odierno ricorrente e ha tenuto ben conto delle valutazioni critiche del suo consulente di parte. La Corte distrettuale ha inoltre escluso il reddito derivante dall'attività professionale di avvocato perché iniziata dal ricorrente dopo la separazione. Ha tenuto conto dell'attività di bed and breakfast svolta recentemente dalla M. ma ha rilevato, sulla base degli accertamenti svolti dal C. T. U. , la variabilità e la relativa modestia dei redditi percepiti. Ha messo a confronto i redditi pensionistici dei due ex coniugi che divergono in proporzione di 1 a 5 a favore dello S Sulla base di queste valutazioni, oltre che della durata del matrimonio contratto nel 1970 , della dedizione della M. al lavoro domestico e alla cura ed educazione dei figli, la Corte di appello è pervenuta alla conclusione della attendibilità ed equità della determinazione dell'assegno divorzile effettuata dal giudice di primo grado sia con riferimento all'epoca precedente alla percezione della pensione da parte della M., sia con riferimento a quella successiva. Si tratta di una decisione adottata all'esito di un iter motivazionale svolto in modo esauriente e privo di contraddizioni logiche a fronte del quale le censure mosse dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso appaiono fondate su asserzioni di merito frutto di ipotesi reddituali attribuite alla M. che non trovano riscontro in riferimenti all'attività istruttoria svolta e rendono pertanto il ricorso privo di autosufficienza. 6. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso. La Corte, lette le memorie difensive delle parti, che appaiono riproduttive delle argomentazioni difensive già svolte, ritiene che la relazione sia condivisibile per essere infondate le censure mosse dal ricorrente alla motivazione ritenuto che pertanto il ricorso deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.200 euro di cui 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 196/2003.