La regola ermeneutica di conservazione degli atti deve ritenersi operante anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge pertanto, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione, deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe aver qualche effetto, anziché nessuno.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione – Sezioni Unite, con la sentenza numero 12644, depositata il 5 giugno 2014. Reddito di cittadinanza spetta a tutti gli aventi diritto o solo ai primi in graduatoria? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso per l’ottenimento della prestazione assistenziale denominata “reddito di cittadinanza”, istituita dalla legge della Regione Campania numero 2/2004 e negata al richiedente, pur in possesso dei prescritti requisiti. La mancata erogazione era derivata dalla delibera regionale con la quale era stata disposta l’attribuzione della somma mensile di 350 euro soltanto a quei nuclei familiari collocati utilmente in graduatoria fino all’esaurimento dei fondi stanziati, che, invece, ad avviso del ricorrente, avrebbero dovuto essere ripartiti in egual misura tra tutti i richiedenti in possesso dei requisiti previsti dalla legge regionale. All’esito del giudizio di merito, la Regione veniva condannata a corrispondere all’istante la prestazione assistenziale, atteso che la legge regionale non avrebbe subordinato – come, invece, aveva sostenuto dall’amministrazione – la fruizione alla posizione in graduatoria degli istanti conseguentemente, la complessiva somma stanziata avrebbe dovuto essere ripartita in quote uguali tra gli tutti gli istanti aventi i relativi requisiti. La Corte territoriale, a tale riguardo, ha negato efficacia retroattiva alla successiva legge regionale del 2011 con la quale era stata fornita l’interpretazione autentica della precedente normativa nel senso sostenuto dalla Regione. In particolare, il giudice di seconde cure, da un lato, ha ravvisato l’insussistenza di esigenze interpretative attesa la chiarezza della legge del 2004 e, dall’altro, ha ritenuto che un’interpretazione costituzionalmente conforme avrebbe comportato l’impossibilità di incidere retroattivamente sulle posizioni soggettive degli assistiti, in assenza di preminenti esigenze di pubblico interesse. Il giudice non può disapplicare le leggi. Le Sezioni Unite, modificando il proprio precedente orientamento sentenza numero 18840/2010 , recepiscono la lettura fornita dalla Regione. A sostegno di questa decisione, la pronuncia in commento da atto del mutato contesto normativo, evidenziando l’intervenuta emanazione della legge regionale del 2011. Ed, infatti, da tale ius superveniens non può prescindersi – come ha invece ritenuto il giudice di secondo grado – considerandolo e svalutandolo alla stregua di atto illegittimo o, comunque, privo di alcuna giustificabile funzione ermeneutica, tenuto conto della natura normativa, di rango primario ancorché regionale , rivestito dalla disposizione, come tale non disapplicabile incidentalmente come invece sarebbe stato possibile se si fosse trattato di un semplice atto amministrativo dal giudice, tenuto invece a conformarvisi, salvo il rilievo di eventuali profili di incostituzionalità, che avrebbero semmai comportato la necessità – nella specie non sussistente – di sospendere il giudizio e rimettere la questione alla Corte costituzionale. Le Sezioni Unite, pertanto, censurano il comportamento del giudice di merito che ha svalutato la legge del 2011, ritenuta tamquam non esset e svuotata della propria portata precettiva, in aperto contrasto, tra l’altro, della generale regola ermeneutica di conservazione degli atti, espressamente codificata dall’articolo 1367 c.c. in materia contrattuale, ma da ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge, sulla scorta della quale, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione, deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe aver qualche effetto, anziché nessuno. Pertanto, la legge regionale del 2004 deve essere interpretata nel senso chiarito dalla legge del 2011. Deve, quindi, ritenersi insindacabile la scelta della Regione Campania di adottare una soluzione che, chiarendo la portata del precedente e controverso quadro normativo, ha ritenuto di prescegliere quella ritenuta più idonea a conferire effettività e consistenza economica all’erogazione in questione, confermando la funzione di quella “graduatoria” che, altrimenti, non avrebbe avuto alcun senso. Gli Stati dell’Unione hanno il dovere di contrastare la povertà, ma sono liberi di scegliere le modalità del loro intervento. La pronuncia in commento, inoltre, ritiene che la disciplina regionale non presenti profili di illegittimità costituzionale in relazione all’obbligo ex articolo 117, comma 1, Cost., di osservanza delle norme sovranazionali, con riferimento sia all’articolo 6, par. 1, della CEDU, sia alla normativa comunitaria articolo 34, comma 3, della Carta di Nizza , secondo cui, «al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali». Sotto quest’ultimo profilo, la norma comunitaria, lasciando un largo margine discrezionale agli Stati aderenti, non prevede direttamente quali siano i criteri per l’individuazione dei soggetti destinatari degli interventi in questione. La disciplina regionale, pertanto, non si pone in contrasto con i principi sopra esposti.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 maggio – 5 giugno 2014, numero 12644 Presidente Canevari – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con ricorso del 18.3.2011 C.A. adì, nei confronti del Comune di Frattaminore e della Regione Campania, il Tribunale di Napoli, in funzioni di Giudice del Lavoro, al fine di conseguire la prestazione assistenziale denominata reddito di cittadinanza , istituita con la legge regionale numero 2 del 2004, che lamentava aver vanamente richiesto, pur essendo in possesso dei prescritti requisiti, per le annualità 2005 e 2006. La mancata erogazione era derivata dalla delibera regionale numero 705 del 2005, con la quale era stato disposta l'attribuzione della somma mensile di Euro 350 soltanto a quei nuclei familiari collocati utilmente in graduatoria fino all'esaurimento dei fondi al riguardo stanziati, che invece, ad avviso del ricorrente, avrebbero dovuto essere ripartiti in egual misura tra tutti i richiedenti in possesso dei requisiti previsti dalla citata legge regionale. Nella contumacia del Comune. suddetto e nella resistenza della Regione, il giudice adito, affermata la propria giurisdizione, che l'amministrazione aveva eccepito insussistente, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune intimato in quanto ente operante a livello locale per conto della Regione, senza alcuna autonomia gestionale , rigettava tuttavia la domanda, rilevando che la sopravvenuta legge regionale numero 4 del 15.3.2011 facente seguito all'abrogazione del beneficio disposta con l'articolo 19 co. 2 della legge numero 16 del 7.12.2010 , subordinando l'erogazione del beneficio all'utile collocamento in ciascuna graduatoria territoriale, secondo le modalità già definite dal regolamento di attuazione numero 1 del 2004, aveva fornito l'interpretazione autentica delle normativa precedente nel senso, sostenuto dalla Regione, dell’attribuibilità del reddito in questione, nella misura sopra indicata, ad un numero limitato di richiedenti, in possesso dei requisiti nell'ambito dello stanziamento complessivo. Avverso tale sentenza l'assistito proponeva appello, cui resisteva la Regione, che a sua volta proponeva impugnazione incidentale sulla questione di giurisdizione, mentre non si costituiva l'intimato Comune, il cui difetto di legittimazione passiva non aveva formato oggetto di gravame. All'esito del giudizio di secondo grado, con sentenza dei 19/29 novembre 2012 la Corte d'Appello di Napoli, sez. lavoro, in accoglimento del gravame principale e disatteso rincidentale, condannava la Regione Campania a corrispondere all'istante la somma di complessivi Euro 1726, 78, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali decorrenti dalla maturazione del credito fino al saldo, compensando le spese del doppio grado. La decisione, richiamando il principio affermato da queste Sezioni Unite nella sentenza numero 18480 del 2010, riteneva appartenente al giudice ordinario, in funzioni di giudice del lavoro, la controversia, in quanto attinente ad una prestazione di carattere assistenziale dovuta, a titolo di diritto soggettivo, a ciascun richiedente, in possesso dei requisiti di cui alla legge regionale numero 2/2004, che ponendo soltanto un limite massimo di Euro 350,00, non aveva subordinato, come aveva successivamente ritenuto l'amministrazione con atti di rango subordinatola fruizione alla posizione in graduatoria degli istanti da tanto conseguiva che la complessiva somma di cui allo stanziamento avrebbe dovuto essere ripartita in quote uguali tra gli tutti gli istanti aventi i relativi requisiti. La corte territoriale, a tal riguardo, negava efficacia retroattiva alla legge regionale numero 4 del 2011, richiamante il regolamento numero 1 del 2004, sia in considerazione della ravvisata insussistenza di esigenze interpretative, attese la chiarezza del contenuto della legge del 2004 istitutiva del beneficio e del citato intervento chiarificatore di queste S.U., sia alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, che anche alla luce della giurisprudenza della CEDU, avrebbe comportato l'impossibilità di incidere retroattivamente sulle posizioni soggettive degli assistiti, in assenza di preminenti esigenze di pubblico interesse posto che l'interpretazione accolta, non incidente sullo stanziamento di bilancio, non avrebbe comunque comportato aggravi finanziari per l'ente erogante , rispetto a quelle di contrasto alla emarginazione ed alla povertà perseguite con la legge originaria. Avverso detta sentenza la Regione Campania ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Ha resistito il C. con rituale controricorso. Il Comune di Frattaminore anche in questa sede si è disinteressato del giudizio. Il processo è stato assegnato a queste Sezioni Unite in ragione della questione di giurisdizione riproposta con il primo motivo. Le parti costituite hanno, infine, depositato rispettive memorie illustrative. Motivi della decisione p.1. Con il primo motivo la Regione Campania denunciaci sensi dell'articolo 360 numero 1 c.p.c., difetto di giurisdizione del giudice ordinario, essenzialmente censurando l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la prestazione in questione spetterebbe, a titolo di diritto soggettivo, a ciascuno degli istanti in possesso dei requisiti, dei quali l'amministrazione sarebbe tenuta al mero riscontro, con la conseguenza di dover ripartire lo stanziamento di bilancio relativo, senza alcuna discrezionalità. Al riguardo si sostiene che tale argomentazione, inutilmente dilungandosi sulla illegittimità della deliberazione numero 205 del 2005 non oggetto di motivi di appello , deriverebbe dalla erronea premessa secondo cui il Regolamento numero 1 del 4.6.2004 non confermerebbe la tesi sostenuta dalla Regione, mentre in realtà proprio tale regolamento era stato in proposito disapplicato da queste S.U. nella sentenza numero 18840 del 2010 in quanto ritenuto in contrasto con la legge regionale numero 2 del 19.2.2004. Si obietta tuttavia al riguardo che tale regolamento legittimamente avrebbe disposto la formazione di una graduatoria degli aventi diritto, in relazione alle risorse stanziate, considerato che con l'articolo 3 co. 3 della citata legge regionale istitutiva era stato previsto che la Regione “approva con apposito regolamento le modalità specifiche di calcolo del reddito stimato ai fini della individuazione degli aventi diritto in relazione alle risorse disponibili . Da tale norma, in particolare dalla relazione con le risorse disponibili, si desumerebbe la possibilità di non erogare a tutti i nuclei familiari, in possesso dei requisiti, il reddito di cittadinanza e, pertanto, di demandare al regolamento la disciplina di dettaglio, con la conseguenza che soltanto all'esito dell'inserimento nella graduatoria in posizione utile, in relazione alla capienza dello stanziamento, sorgerebbe il diritto all'erogazione del beneficio, di natura sociale e di competenza regionale, mentre prima vi sarebbe soltanto un interesse legittimo, correlato al potere della P.A. di valutare comparativamente gli interessi pubblici e quelli privati in questione, con apprezzamento discrezionale sull'an, quid e quomodo dell'erogazione. Il motivo è infondato, alla luce del principio, costantemente affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui la giurisdizione va individuata sulla base del petitum c.d. sostanziale v. tra le tante nnumero 15323/10, 20902/11 in particolare è stato ribadito che la giurisdizione, come si desume dal principio di cui all'articolo 5 cod. proc. civ., si determina sulla base della domanda proposta dall'attore, e non anche delle eventuali eccezioni sollevate dal convenutola meno che le stesse non evidenzino che la pretesa giudiziale avversaria come ab initio formulata implichi l'accertamento di situazioni soggettive esulanti dalla cognizione del giudice adito v. ord. numero 19600 del 12.11.2012, conf. numero 1323/78 . Sulla scorta di tale principio è sufficiente rilevare che l'attore aveva sostenuto di essere in possesso di tutti i requisiti, indicati dalla legge regionale numero 2 del 2004, ai fini del conseguimento di una prestazione assistenziale, la cui obbligatorietà, anche avallata dall'interpretazione di tale normativa fornita da queste Sezioni Unite con sentenza numero 18840 del 2010, si assumeva che non avrebbe potuto essere eliminata dalla successiva norma interpretativa del 2011. Conseguentemente, l'eccezione sollevata dalla convenuta amministrazione, secondo cui tale diritto non sussisteva, dipendendo la concreta erogabilità del reddito di cittadinanza dal collocamento dell'istante in posizione utile nella relativa graduatoria alla ritenuta stregua sia dell'originaria norma regionale, come integrata dal regolamento attuativo numero 1 del 4.6.2004, sia, e comunque, della sopravvenuta interpretazione autentica fornita dalla citata legge del 2011 , non avrebbe potuto spostare la cognizione della controversia dal giudice ordinario, adito con domanda di accertamento della sussistenza di una obbligazione pecuniaria ex lege, con conseguente richiesta di condanna al relativo pagamento dell’amministrazione ritenuta debitrice, a quello amministrativo, non essendo stata dall'istante impugnati gli atti di formazione della graduatoria in questione e di valutazione discrezionale della propria posizione, ma, più radicalmente, sostenuto che, in cospetto dei non contestati requisiti indicati dagli articolo 2 co. 1 e 3 l.reg.numero 2/2004 in particolare, residenza nella Regione Campania da almeno sessanta mesi e reddito annuo inferiore a cinquemila Euro la spettanza in questione avrebbe trovato la sua fonte diretta ed ineludibile nell'originario dettato normativo. In tale contesto, l’eccepita subordinazione della reclamata prestazione alla posizione in graduatoria del petente ed alla capienza dello stanziamento, tali da non consentire nella specie la fruizione di quel beneficio che sia la legge originaria, sia il regolamento, qualificavano diritto , si risolveva nella confutazione della fondatezza in concreto della pretesa fatta valere dall’attore, inidonea a sottrarre la cognizione della causa all'adito giudice ordinario, il quale ben avrebbe potuto accertare, nell'ambito dei ben noti poteri di valutazione incidentale derivanti dai tuttora vigenti principi fondamentali di riparto giurisdizionale risalenti alla legge numero 2248/1865 all. E, articolo 4 e 5, la legittimità o meno degli atti amministrativi, in virtù dei quali tale assunto diritto era stato nella specie negato. p.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale, della legge regionale della Campania numero 2 del 2004, come interpretata con l'articolo 1 co. 208 della legge regionale numero 4 del 2011, e del regolamento numero 1 del Consiglio Regionale della Campania. Si sostiene, in contrasto con quanto al riguardo ritenuto dalla corte partenopea, la natura interpretativa della norma contenuta nella legge numero 4 del 2011, che richiamando il regolamento numero 1 del 2004 e così conferendo, in parte qua, rango normativo primario allo stesso, avrebbe in ogni caso chiarito e ribadito, senza possibilità di deroga da parte del giudice - se non denunciandone l'eventuale illegittimità costituzionale - l'effettiva portata della originaria norma della legge regionale numero 2 del 2004, nel senso, fatto chiaro dal tenore letterale della stessa, secondo cui il beneficio avrebbe dovuto essere erogato soltanto ai soggetti utilmente collocati nelle graduatorie d'ambito, fino all'esaurimento delle risorse. Si soggiunge che la contraria tesi recepita dalla corte di merito, con l'eccessiva parcellizzazione delle prestazioni assistenziali, avrebbe finito con il vanificarne, in contrasto con gli stessi principi ispiratori dell’istituzione, l'effettiva utilità, per l'irrisorio importo che sarebbe così spettato a ciascun richiedente. Si osserva infine, con riferimento alla necessità ex articolo 117 Cost. del rispetto degli obblighi internazionali, che anche a voler considerare retroattivo l'intervento normativo regionale del 2011, lo stesso avrebbe dovuto considerarsi legittimo, pur tenendo conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale e di quella di Strasburgo, ai sensi dell'articolo 6 della CEDU, attese le esigenze di ristabilire una delle possibili direzioni dell'intenzione del legislatore ponendo rimedio ad una formulazione inizialmente ambigua, di non vanificare diritti sorti ed acquisiti, sulla base della legge come interpretata, dai soggetti che hanno già beneficiato dell'erogazione, esponendoli ad una ripetizione d'indebito, della rispondenza soltanto della sostenuta interpretazione alle effettive finalità di attenuazione dello stato di bisogno e di miglioramento della qualità di vita dei beneficiari. Il motivo è fondato. Il mutamento del quadro normativo, rispetto a quello esaminato da queste Sezioni Unite nella sentenza numero 18840/2010, induce a rivedere la questione della misurale fissa o variabile, del reddito di cittadinanza , tenendo conto del sopravvenuto intervento di interpretazione autentica contenuto nell'articolo l, co. 208, della legge regionale numero 4 del 15.3.2011, secondo cui gli articoli 2 e 3, comma 1, della legge regionale 19 febbraio 2004, numero 2 Istituzione in via sperimentale del reddito di cittadinanza si interpretano nel senso che il reddito di cittadinanza è corrisposto ai soggetti utilmente collocati in ciascuna graduatoria d'ambito, secondo le modalità definite dal regolamento di attuazione 4 giugno 2004 numero 1 fino all’esaurimento delle risorse disponibili assegnate al relativo ambito . Da tale ius superveniens non può prescindersi, come ha invece ritenuto il giudice di secondo grado, considerandolo e svalutandolo alla stregua di atto illegittimo o comunque privo di alcuna giustificabile funzione ermeneutica, tenuto conto della natura normativa, di rango primario ancorché regionale , rivestito dalla disposizione, come tale non disapplicabile incidentalmente come invece sarebbe stato possibile se si fosse trattato di un semplice atto amministrativo dal giudice, tenuto invece a conformarvisi, salvo il rilievo di eventuali profili di incostituzionalità, che avrebbero semmai comportato la necessità - nella specie non sussistente, per quanto si dirà di seguito - di sospendere il giudizio e rimettere la questione al Giudice delle Leggi. È appena il caso, a tal riguardosi precisare che la preesistenza, a tale intervento legislativo, di una pronunzia giurisprudenziale, ancorché autorevole, quale quella costituita dalla sentenza in precedenza citata di queste S.U. che tra le possibili opzioni ermeneutiche consentite dalle controverse disposizioni del 2004, aveva prescelto quella della frazionabilità senza limiti, fra tutti gli istanti legittimati, degli stanziamenti assegnati a ciascun ambito territoriale , non avrebbe potuto autorizzare a conferire, tra le due interpretazioni, quella giurisprudenziale e quella legislativa, preminenza alla prima, non solo per l'assenza di carattere normativo ascrivibile alla stessa, ma anche e soprattutto per la considerazione che, in quanto emessa legibus sic stantibus, la soluzione adottata sarebbe comunque rimasta superata da quella, di natura autentica proveniente dalla stessa fonte legislativa, vale a dire da quella autorità che, avendo a suo tempo emesso le disposizioni in questionerà quella naturalmente ed istituzionalmente preposta a chiarirne la relativa portata. Inaccettabile è, pertanto, l'assoluta svalutazione di tale intervento normativo, ritenuto tamquam non esset, nella quale è incorso proponendo una interpretazione totalmente vanificatrice di una norma che, a sua volta, era espressamente finalizzata, nella dichiarata intenzione del legislatore regionale, ad interpretarne un'altra precedente dallo stesso emessa il giudice di merito, laddove, fornendo una lettura della sopravvenuta disposizione, tale da svuotarne del tutto la portata precettiva, neppure ha tenuto conto della generale regola ermeneutica c.d. di conservazione degli atti , espressamente codificata dall'articolo 1367 c.c. cod. civ. in materia contrattuale, ma da ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge, sulla scorta della quale, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione normativa, amministrativa o negoziale , deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe aver qualche effetto, anziché nessuno. In un contesto nel quale l'originario complesso di disposizioni contenuto nella legge regionale numero 2 del 2004 e nel suo regolamento di attuazione dava adito a ragionevoli dubbi interpretativi laddove la predeterminazione dei trecentocinquanta Euro mensili avrebbe potuto intendersi sia quale misura massima del reddito di cittadinanza erogabile, sulla scorta di successivi atti dell’amministrazione, fissandone, di volta in volta, l'importo in ciascun esercizio, ai soggetti risultanti più bisognosi, tra quelli in possesso dei prescritti requisiti minimali di accesso al beneficio, sia quale tetto massimo di una provvidenza variabile, senza limiti minimi, dovuta a tutti gli istanti legittimati insindacabile deve ritenersi la scelta della Regione Campania di adottare una soluzione che, chiarendo la portata del precedente e controverso quadro normativo, ha ritenuto di prescegliere quella ritenuta più idonea a conferire effettività e consistenza economica all'erogazione in questione, confermando la funzione di quella graduatoria non mero elenco d'ambito, indicata nell'articolo 5, co. 3 del regolamento di attuazione numero 1 del 2004, che altrimenti non avrebbe avuto alcun senso. Né, a svalutare tale intervento, può valere la considerazione del giudice di merito, secondo cui lo stesso, facendo seguito alla soppressione del beneficio che la legge originaria aveva istituito in via sperimentale e che altre successive avevano prorogato e finanziato fino al 2010 , attuata con l'articolo 19 co. 2 della legge regionale 7.12.2010 numero 16, avrebbe finito con richiamare in vita un regolamento, quello sopra citatoria abrogato unitamente alla legge numero 2/2004, considerata la natura recettizia dell'operato rinvio, con il quale tale atto di normazione secondaria, peraltro ancora applicabile al pari della legge cui lo stesso aveva dato attuazione ai rapporti pendenti, già costituente un significativo indice della mens legis siccome adottato dallo stesso Consiglio Regionale a pochi mesi di distanza dall'emanazione della legge istitutiva , è stato definitivamente inserito nel tessuto normativo primario, chiarendone la relativa portata, nei plausibili termini in precedenza esposti. Tale finalità sottrae l'intervento in questione ad ogni profilo di censura, con riferimento all'articolo 3 Cost., in relazione al principio generale di ragionevolezza, così come desumibile dalla corrente giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di interpretazione autentica con efficacia retroattiva, avendo lo stesso fornito una delle possibili interpretazioni della precedente norma, di significato ambiguo ed obiettivamente controvertibile. Né si evidenziano profili di illegittimità costituzionale, in relazione all'obbligo ex articolo 117, co. 1, Cost., di osservanza delle norme sovranazionali, con riferimento sia all'articolo 6, par. 1, della CEDU, sia alla normativa comunitaria, segnatamente all'articolo 34 co. 3, della c.d. Carta di Nizza che a seguito del Trattato di Lisbona è stata recepita nel tessuto normativo fondativo dell'Unione Europea , secondo cui alfine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali . Sotto quest'ultimo profilo, è agevole osservare come la norma, lasciando un largo margine discrezionale agli stati aderenti, non preveda direttamente quali siano i criteri per l'individuazione dei soggetti destinatari degli interventi in questione. Da tanto consegue che una disposizione come quella in esame, che dopo l'istituzione del beneficio non lo ha del tutto abolito come invece avvenuto con l'articolo 19 co. 2 della legge regionale numero 16 del 201 ^provvedendo soltanto a chiarirne la portata applicativa, per il periodo in cui era stato in vigore, peraltro in via sperimentale , non contrasta con il principio ispiratore di tale adozione, mirando soltanto a conferire, nell'esercizio dei sopra evidenziati ampi spazi discrezionali conferiti dalla norma sovranazionale, chiarezza ed effettività con l'attribuzione di una somma mensile di una certa consistenza alla provvidenza economica, nel senso di adottare un criterio di maggiore aderenza agli intenti perseguiti, consistenti nell’individuare, nell'ambito delle varie comunità locali e sulla scorta di quelle graduatorie previste dall'articolo 5 co. 4 del regolamento attuativo, i nuclei familiari più bisognosi tra quelli in possesso dei requisiti di accesso al beneficio, così utilizzando fino all'esaurimento i relativi e necessariamente limitati stanziamenti destinati ai rispettivi ambiti territoriali, anziché provvedere ad una ripartizione eccessivamente parcellizzante delle relative risorse finanziarie, tale da degradare le erogazioni a livelli di mera beneficenza. Le suesposte evidenziate finalità dell'intervento d'interpretazione autentica e la necessità della relativa adozione comportano anche l'insussistenza di alcun contrasto con l'articolo 6 della CEDU, dovendo escludersi che lo stesso abbia concretato un'ingiustificata interferenza nell'amministrazione della giustizia, alla luce giurisprudenza del Giudice delle Leggi, che queste Sezioni Unite condividono, secondo cui, lasciando la normativa sovranazionale un margine discrezionale di apprezzamento al legislatore nazionale, gli effetti sostanzialmente retroattivi fatti salvi, ovviamente, i rapporti già definiti della norma interpretativa risultano legittimi allorquando siano giustificati dall'attribuita preminenza ad altri interessi costituzionalmente protetti v. Sent. numero 264 del 2012 , come sono quelli, nella specie perseguiti, di conferire concretezza ed efficienza agli interventi assistenziali in funzione della concreta rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale di cui all'articolo 3 co. 2 Cost. , tuttavia necessariamente limitati nella loro consistenza complessiva dalle ineludibili esigenze di bilancio dell'ente erogatore, condizionanti il buon andamento della Pubblica Amministrazione articolo 97 Cost. . Tali esigenze risultano ancor più evidenti in un contesto nel quale la Regione, avendo a suo tempo esaurito tutte le precedenti risorse seguendo il criterio dell'attribuzione della somma di Euro 350, 00 ai soli nuclei familiari utilmente collocati nelle graduatorie dei relativi ambiti territoriali , non sarebbe stata più in grado di far fronte alle numerosissime istanze dei rimanenti, il cui accoglimento secondo il diverso criterio della ripartizione tra tutti i richiedenti legittimati sarebbe peraltro risultato pressocché irrilevante agli effetti dell'attenuazione dello stato di bisogno degli interessati. p.3. La fondatezza del secondo motivo di ricorso comporta, conseguentemente, la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui, accogliendo l'appello dell'attore, ne ha accolto la domanda, cui il primo giudice aveva correttamente dato risposta negativa. Non necessitando la controversia di ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte decide direttamente nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., confermando tale reiezione. p.4. Eccezionali ragioni di equità ex articolo 92 co. 2 c.p.c., derivanti dalla obiettiva controvertibilità delle questioni esaminate e, soprattutto, dalF esistenza di una precedente decisione di queste Sezioni Unite, la numero 18840 del 2010 sulla quale la parte attrice faceva affidamento, il cui principio è stato necessario rivedere, a seguito della sopravvenuta citata legge regionale di interpretazione autentica, comportano, infine, la compensazione integrale delle spese dell'intero processo sia dei gradi di meritoria del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, pronunziando nel merito, rigetta la domanda, dichiarando totalmente compensate le spese dell'intero processo.