Meglio prevenire che curare! A patto che ci sia una patologia che il datore di lavoro può prevenire

Ai fini dell’accertamento della responsabilità contrattuale del datore di lavoro, il lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, deve provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 9055 del 18 aprile 2014. La fattispecie. La Corte d’Appello dell’Aquila rigettava la domanda proposta da un uomo nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana RFI s.p.a. e di Trenitalia s.p.a. intesa a sentirle condannare al pagamento di una somma di denaro a titolo di danno biologico, morale, esistenziale e professionale patiti a causa della mancata effettuazione di accertamenti medici che avrebbero consentito di diagnosticare l’insorgenza di un glaucoma all’occhio destro e di apprestare le cure idonee a ritardarne il decorso. Ad avviso della Corte, la fattispecie in esame non poteva essere inquadrata nell’ambito di applicazione dell’articolo 2087 c.c. ma dell’articolo 2043 c.c., mancando un nesso tra il danno allegato dall’uomo e l’attività lavorativa dallo stesso svolta ed essendo pacifico che il glaucoma insorto non era ricollegabile né con le mansioni svolte né con l’ambiente lavorativo. L’attore non aveva provato la sussistenza di una condotta negligente di parte datoriale e neppure la ricorrenza dell’evento dannoso tra l’altro, nel corso della visita oculistica cui era stato sottoposto, erano stati rispettati i protocolli degli esami e non era stato rilevato alcunché di patologico lo stesso consulente aveva affermato che se anche fosse stato eseguito l’esame tonometrico non sarebbe stato possibile scongiurare l’evoluzione del glaucoma ma, tutt’al più, rallentarla con non meglio specificate terapie. L’uomo propone ricorso in Cassazione. Nessun collegamento tra danno e attività lavorativa. Le doglianze del ricorrente, relative all’applicazione alla sua vicenda dell’articolo 2087 c.c., non sono fondate, dato che il danno allegato non è in alcun modo connesso con l’attività lavorativa posto che l’inadempimento addebitato alle società non concerne un’omessa disposizione di misure di prevenzione o di sicurezza necessarie ad evitare che il lavoratore subisca un pregiudizio delle mansione espletate o dall’ambiente di lavoro. Da non dimenticare che, con riferimento all’articolo 2087 c.c., ai fini dell’accertamento della responsabilità contrattuale del datore di lavoro, il lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, deve provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo. Nessun sintomo della malattia. La Corte d’Appello, con ampia motivazione, ha escluso l’esistenza di una condotta violativa degli obblighi di cui all’articolo 2087 c.c., in quanto lo stesso esame del fondo oculare non aveva evidenziato segni riconducibili a una fase iniziale della malattia, per cui non ricorrevano i presupposti per esami più approfonditi. In conclusione, non solo non vi è stata una condotta negligente ma non vi è stato nemmeno un evento dannoso in quanto la possibilità di una diagnosi della malattia in occasione della visita e il rallentamento della sua evoluzione rimangono mere ipotesi. Il ricorso, pertanto, si intende rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 gennaio – 18 aprile 2014, numero 9055 Presidente Vidiri – Relatore Fernandes Fatto La Corte di appello di L'Aquila, con sentenza del 25 giugno 2010, in riforma della decisione del Tribunale di Sulmona che l'aveva parzialmente accolta, rigettava la domanda proposta da P.N.A. nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana RFI s.p.a. e di Trenitalia s.p.a. intesa a sentirle condannare al pagamento in suo favore della somma di Euro 200.000,00 a titolo di danni biologico, morale, esistenziale e professionale patiti per effetto della colpevole ed illegittima condotta del personale medico dell'Unità Sanitaria Territoriale RFI di Ancona e consistita nel non aver effettuato, in occasione dei periodici accertamenti medici di controllo della idoneità fisica del dipendente all'espletamento delle mansioni a lui affidate, in particolare di quello in data 26.11.2004, esami più approfonditi che avrebbero consentito di diagnosticare l'insorgenza di un glaucoma all'occhio destro - malattia accertata solo in seguito, nel giugno 2006 - e di apprestare le cure idonee a ritardarne il decorso. Vale precisare che la sentenza di primo grado era stata oggetto di separati appelli da parte del P. e delle società. Ad avviso della Corte la fattispecie in esame non poteva essere inquadrata nell'ambito di applicazione dell'articolo 2087 c.c. ma dell'articolo 2043 c.c. mancando qualsivoglia nesso tra il danno allegato dal P. e l'attività lavorativa dallo stesso svolta ed essendo pacifico tra le parti che la malattia insorta - il glaucoma - non era in alcun modo ricollegabile né con le mansioni svolte dapprima macchinista, quindi capo-deposito e, infine, professional B né con l'ambiente lavorativo. Con la conseguenza che era a carico del lavoratore l'onere di provare la condotta, quantomeno colposa, delle società, l'evento dannoso ed il nesso di causalità tra quest'ultimo e la condotta. Tanto chiarito, evidenziava che il P. non solo non aveva provato la sussistenza di una condotta negligente di parte datoriale ma neppure la ricorrenza dell'evento dannoso. In particolare, sottolineava che nel corso della visita oculistica cui il P. era stato sottoposto il 26.11.2004 e finalizzata ad accertare la ricorrenza e la permanenza dei requisiti necessari a svolgere determinate mansioni nell'ambito della organizzazione aziendale erano stati rispettati i protocolli degli esami da effettuare ed era stata espletato anche quello del fondo oculare senza che fosse stato rilevato alcunché di patologico sicché non era condivisibile l'assunto del CTU nominato in primo grado secondo cui nel protocollo predisposto da RFI vi era una omissione censurabile costituita dal mancato espletamento dell'esame tonometrico. Peraltro, lo stesso consulente aveva affermato che se anche fosse stato eseguito detto accertamento non sarebbe stato possibile scongiurare l'evoluzione del glaucoma ma, tutt'al più, rallentarla con non meglio specificate terapie. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il P. affidato a tre motivi. Resistono con controricorso RFI s.p.a. e Trenitalia s.p.a Diritto Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto per aver la Corte di appello erroneamente ritenuto il caso in esame ricadente nell'ambito di applicazione dell'articolo 2043 c.c. piuttosto che in quello dell'articolo 2087 c.c. ricollegando quest'ultima norma solo alle ipotesi di infortunio sul lavoro e negandole qualsiasi finalità preventiva. Diversamente, la natura di norma in bianco dell'articolo 2087 c.c. consente di individuare la responsabilità datoriale non solo quando siano state violate specifiche disposizioni di prevenzione ma anche quando non si siano poste in essere quelle misure imposte dal progresso tecnologico anche se non ancora recepite in fonti legali. Nel caso in esame si assume che l'espletamento dell'esame tonometrico nel corso della visita oculistica del 26.11.2004, seppur non richiesto dai protocolli in uso presso RFI, era imposto dalle delicate mansioni cui era destinato il P. anche in considerazione della sua età anni 56 ed era un accertamento di facile e rapida esecuzione. Con il secondo motivo viene dedotta contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto dopo aver affermato che non vi era la prova che alla data della visita del 26.11.2004 il fondo oculare era alterato e che il referto medico fosse errato, poi, sostiene che se fossero stati eseguiti esami più approfonditi si sarebbero potute applicare terapie - non meglio specificate - che avrebbero potuto rallentare ma non scongiurare la progressione della malattia stessa. Con il terzo mezzo si denuncia omessa motivazione per non aver la Corte di appello tenuto conto di quanto sostenuto dal CTU nominato dal Tribunale che, in merito agli esami cui avrebbe dovuto essere sottoposto il P. , aveva affermato la necessità, in considerazione delle mansioni allo stesso affidate, di una visita oculistica inclusiva anche della misurazione del tono oculare e la censurabilità, sul punto, del protocollo adottato da RFI per incompletezza dell'accertamento. Viene lamentato anche il vizio di motivazione laddove la Corte aveva rigettato l'appello proposto dal ricorrente in merito ai danni risarcibili. Il primo motivo è infondato. Si continua ad invocare l'applicazione dell'articolo 2087 c.c. ad una fattispecie come quella in esame in cui, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, il danno allegato non è in alcun modo connesso con l'attività lavorativa posto che l'inadempimento addebitato alle società non concerne una omessa disposizione di misure di prevenzione o di sicurezza necessarie ad evitare che il lavoratore subisca un pregiudizio dalle mansioni espletate o dall'ambiente di lavoro. È, infatti, un dato pacifico che il glaucoma non diagnosticato al P. nella visita di controllo cui era stato sottoposto in data 26.11.2004 non era in alcun modo causalmente ricollegabile all'attività lavorativa svolta. Peraltro, anche con riferimento all'articolo 2087 c.c., vale ricordare che questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui al fine dell'accertamento della responsabilità, di natura contrattuale, del datore di lavoro incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo. Cass. numero 3788 del 17/02/2009 Cass. numero 4840 del 07/03/2006 . Ebbene, la Corte di appello motivando ampiamente sulla adeguatezza della visita di controllo del 26.11.2004 cui era stato sottoposto il P. a verificarne la permanenza di quei requisiti necessari per proseguire nell'espletamento delle mansioni lavorative a lui affidate visus di 10/10 in ambedue gli occhi ed integrità del fondo oculare ha escluso anche l'esistenza di una condotta violativa degli obblighi di cui all'articolo 2087 c.c. Sul punto, ha chiarito che lo stesso CTU nominato dal Tribunale aveva affermato che l'esame del fondo oculare espletato non aveva evidenziato segni riconducibili ad una fase iniziale della malattia glaucoma né il P. aveva lamentato disturbi di alcun tipo. Non ricorrevano, quindi, i presupposti per indirizzare ad esami diagnostici più approfonditi - e non previsti dal protocollo in quanto non funzionali allo scopo della visita - quali quello della tonometria. Peraltro, nella impugnata sentenza viene anche sottolineato che neppure era stata dimostrata l'esistenza di un danno risarcibile in quanto nella stessa consulenza tecnica espletata si affermava che l'effettuazione dell'esame tonometrico non avrebbe potuto scongiurare l'evoluzione della malattia ma, tutt'al più, che si sarebbero potute applicare terapie - non meglio specificate - che ne avrebbero rallentato il decorso. Infondato è anche il secondo motivo. Non ricorre la denunciata contraddizione in quanto, come detto, la Corte evidenzia non solo che non vi è stata una condotta negligente ma esclude anche l'esistenza di un evento dannoso essendo rimasta una mera ipotesi che la malattia poteva essere diagnosticata in occasione della visita e, in caso positivo, che si sarebbe potuto rallentarne l'evoluzione in senso peggiorativo. Quanto al terzo motivo ne va ravvisata la inammissibilità sollecitandosi un controllo sulla motivazione che si risolverebbe in una inammissibile duplicazione del giudizio di merito cfr. Cass. numero 6288 del 18/03/2011 Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008 . Come già detto la Corte di appello ha, con motivazione completa e esaustiva, spiegato le ragioni per le quali quella che era una mera opinione espressa dal consulente tecnico d'ufficio non era condivisibile. Quanto alle altre doglianze contenute nel motivo le stesse rimangono del tutto assorbite dal rigetto degli altri motivi di ricorso peraltro, correttamente la Corte di merito le aveva respinte non avendo ritenuto sussistente alcuna condotta illecita di RFI s.p.a. e di Trenitalia s.p.a. . Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese del presente giudizio stante l'alterno esito dei precedenti gradi di giudizio vanno interamente compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso, compensa tra le parti le spese del presente giudizio.