E’ reato anche solo agire con la convinzione di non produrre alcun danno

Il reato di falso ideologico, infatti, sussiste indipendentemente dallo scopo che l’agente si prefigge.

A stabilirlo è la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 21702, depositata il 21 maggio 2013. Il caso. Due addetti allo sportello dell’ufficio postale consentivano ad una terza persona di riscuotere i ratei della pensione della madre, nonostante questa fosse deceduta, attestando falsamente nelle ricevute di pagamento la sua presenza presso lo sportello e la sua impossibilità a firmare. Per tali condotte venivano accusati di abuso di ufficio, di falso in atto pubblico e di truffa aggravata. Accuse ritenute, però, infondate, visto che il Gup aveva dichiarato il non luogo a procedere. Il reato di falso ideologico sussiste indipendentemente dallo scopo che l’agente si prefigge. A non essere d’accodo è il Procuratore della Repubblica, che, nel ricorso proposto per cassazione della sentenza, a differenza del giudice, ritiene pacifico l’elemento soggettivo, quantomeno per il reato di falso in atto pubblico, «per il quale è sufficiente la sola coscienza e volontà di alterazione del vero, indipendentemente dallo scopo che l’agente si proponga, anche se sia incorso nella falsità per ignoranza o per errore». Non è richiesto l’animus nocendi né l’animus decipiendi. Gli Ermellini, dal canto loro, seppur ritengono coerente la decisione del Gup in relazione ai reati di truffa aggravata e di abuso di ufficio, chiariscono che, come evidenziato dal ricorrente, per il delitto di falso ideologico è sufficiente il dolo generico. Insomma, tale delitto sussiste «non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno». Inoltre, conclude la Cassazione, «deve considerarsi sempre dolosa la falsa attestazione di un accertamento in realtà mai compiuto», come quello dell’esistenza in vita della pensionata. Sarà il Tribunale di Palmi, visto l’annullamento con rinvio, a giudicare sulla questione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 febbraio – 21 maggio 2013, numero 21702 Presidente Agrò – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata il G.u.p. del Tribunale di Palmi ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di G L. e A A. , in relazione ai reati di abuso d'ufficio, di falso in atto pubblico e di truffa aggravata, per mancanza dell'elemento soggettivo. Gli imputati, entrambi impiegati addetti allo sportello dell'ufficio postale di omissis , erano accusati di aver consentito ad A T. di riscuotere i ratei della pensione della madre, M.T P. , nonostante questa fosse deceduta, attestando falsamente nelle ricevute di pagamento dei mesi di marzo, aprile e giugno del 2010 la sua presenza presso lo sportello e la sua impossibilità a firmare nonché, nella ricevuta di maggio, l'avvenuta sottoscrizione, che invece veniva apposta dal T. , con conseguente danno per il Ministero dell'Economia e delle Finanze di Euro 2.030,80. Il giudice ha escluso la sussistenza dei reati per mancanza dell'elemento soggettivo, sostenendo che non vi è prova che i due imputati abbiano agito intenzionalmente per avvantaggiare T.A. , non emergendo dagli atti alcun elemento a dimostrazione di un accordo tra loro. 2. Contro questa sentenza ha proposto ricorso il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, deducendo il vizio di motivazione, nonché l'erronea applicazione della legge penale e dei criteri dettati dall'articolo 425 c.p.p Il ricorrente sottolinea che la sentenza ha ritenuto l'insussistenza del dolo intenzionale con riferimento al reato di cui all'articolo 323 c.p. e una tale motivazione ha replicato acriticamente anche per i reati di falso e di truffa, per i quali l'elemento soggettivo risulta addirittura pacifico, quantomeno in ordine al falso in atto pubblico, per il quale è sufficiente la sola coscienza e volontà di alterazione del vero, indipendentemente dallo scopo che l'agente si proponga, anche se sia incorso nella falsità per ignoranza o per errore. Conclude ritenendo che l'elemento del dolo ricorra nei reati contestati, quantomeno per quelli di cui ai capi b e c e chiede l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori, hanno depositato memorie difensive, in cui sostengono l'inammissibilità del ricorso che non denuncia contraddizioni nella motivazione, ma propone una lettura alternativa della ricostruzione dei fatti. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato limitatamente al reato di falso. Deve premettersi che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere solo sulla base di un giudizio prognostico di immutabilità del quadro probatorio nella successiva fase del dibattimento, per effetto dell'acquisizione di nuove prove o di una diversa rivalutazione degli elementi in atti, nonché quando le fonti di prova non si prestino a soluzioni alternative e aperte Sez. VI, 3 luglio 2008, numero 35178, P.M. in proc. Brunetti, Sez. VI, 16 novembre 2001, numero 45275, Acampora . Nel caso in esame la sentenza è pervenuta al proscioglimento ai sensi dell'articolo 425 c.p.p. ritenendo che agli atti non vi fosse la prova dell'intenzionalità dei due imputati di avvantaggiare il T. , escludendo cioè la sussistenza dell'elemento soggettivo per tutti e tre i reati contestati. In particolare, la valutazione fatta dal G.u.p. di Palmi si fonda sul materiale probatorio acquisito fino all'udienza preliminare, da cui è emerso che il T. si è addossato l'esclusiva responsabilità del fatto, affermando di avere approfittato della buona fede dei due dipendenti postali , le dichiarazioni difensive dei quali sono risultate del tutto coincidenti nei senso di negare ogni accordo con il T. - che conoscevano solo per ragioni d'ufficio - e di rappresentare di essere stati da questi indotti in errore, pur riconoscendo di avere agito con una certa superficialità . Pertanto, se la valutazione che il giudice è chiamato ad effettuare nell'ipotesi della sentenza di non luogo a procedere attiene alla mancanza delle condizioni su cui fondare la prognosi di evoluzione in dibattimento, in senso favorevole all'accusa, del materiale di prova raccolto deve riconoscersi che per quanto riguarda i reati di truffa aggravata e di abuso d'ufficio il giudizio appare coerente là dove la motivazione della sentenza giustifica l'esito del proscioglimento con l'inutilità del dibattimento, dal momento che il T. ha sostanzialmente scagionato gli imputati. In questo senso, deve riconoscersi la legittimità della sentenza di non luogo a procedere. Tuttavia, questo discorso non vale per il reato di falso ideologico in atti pubblici contestato al capo b come è noto si tratta di un delitto per il quale è sufficiente il dolo generico, cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, mentre non è richiesto l'animus nocendi né l’animus decipiendi, con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno in altri termini, il reato sussiste indipendentemente dallo scopo che l'agente si prefigge, anche se è incorso nella falsità per ignoranza o per errore cagionato da una prassi. Pertanto, la obiettiva impossibilità di provare l'intenzione di avvantaggiare il T. ovvero l'esistenza di un accordo con questi, può giustificare il proscioglimento ai sensi dell'articolo 425 c.p.p. per i reati di cui agli articolo 323 e 640 c.p., ma non anche del falso ideologico. Per questo delitto la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del dolo affermando che non vi è alcuna prova che dimostri che i due imputati abbiano agito con coscienza e volontà, mentre è senz'altro certo che hanno operato colposamente, con imperdonabile leggerezza si tratta di affermazioni del tutto apodittiche e immotivate, che non tengono conto della natura del dolo richiesto dal reato di cui all'articolo 479 c.p. Inoltre, se è vero che il dolo può essere escluso qualora la falsità sia dovuta ad una leggerezza dell'agente, tuttavia deve considerarsi sempre dolosa la falsa attestazione di un accertamento in realtà mai compiuto, come quello dell'esistenza in vita della madre di T. . Lo stesso G.u.p. riconosce che i due impiegati postali hanno in più occasioni attestato di avere riconosciuto e identificato la P. , in realtà deceduta, che la stessa aveva firmato in loro presenza ovvero che era presente ma che firmava per lei il figlio. Anche in considerazione della reiterazione delle false attestazioni appare evidente l'illogicità della motivazione della sentenza, che è dunque incorsa in una erronea applicazione dei criteri dettati dall'articolo 425 c.p.p. per la pronuncia di non luogo a procedere. 5. In conclusione, la sentenza deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Palmi che, in persona di un diverso giudice, procederà ad un nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palmi.