Il d.l. numero 34/2014, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per semplificare gli adempimenti a carico delle imprese, dovrebbe costituire l’anticipazione di un più articolato e complesso intervento sulle regole che disciplinano il mercato del lavoro, rimandato al disegno di legge delega preannunciato nel Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2014.
Il d.l. numero 34/2014, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per semplificare gli adempimenti a carico delle imprese, dovrebbe costituire l’anticipazione di un più articolato e complesso intervento sulle regole che disciplinano il mercato del lavoro, rimandato al disegno di legge delega preannunciato nel Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2014. Il contratto a termine. Da subito in vigore la norma che cancella, per tutti i rapporti a tempo determinato, l’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo che hanno giustificato l'apposizione del termine al contratto di lavoro. Viene, dunque, generalizzata la acausalità del contratto a termine, introdotta dalla legge Fornero e rafforzata dal d.l. numero 76/2013. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.l. numero 34/2014 si è dato il via, come era ovvio, alle varie interpretazioni sia a favore che contrarie. Premesso che si deve ancora, in generale, ragionare tenendo conto del comma 1 dell’articolo 1 d.lgs. numero 368/2001, come modificato nel 2007 «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro», va comunque e subito notato che la nuova impostazione si pone come una decisa semplificazione rispetto alla precedente. Ed infatti, a partire dal 21 marzo, l'apposizione del termine ad un contratto di lavoro subordinato è possibile, in generale, tenendo conto che tali contratti non potranno superare il limite del 20% dell'organico complessivo, limite questo, ovviamente, derogato per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti che potranno sempre stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. Il tutto per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione. Rimane la necessità dell'atto scritto, come previsto dal secondo comma dell'articolo 1 d.lgs. 368/2001 per effetto della sostituzione operata dall'articolo 1, d.l. numero 34/2014 che priva di ogni effetto l'atto che non risulti, direttamente o indirettamente, da atto scritto. Atto che, peraltro si ricorda, deve essere consegnato in copia al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione. Altra significativa modifica è stata apportata all'articolo 4, d.lgs. numero 368/2001, inerente alla disciplina della proroga. Viene confermato il fatto che il contratto a termine si può prorogare, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale dello stesso sia inferiore ai tre anni. In questo caso, per effetto della modifica apportata, le proroghe sono ammesse fino ad un numero massimo di 8. La condizione sta nel fatto che le proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale si è apposto il termine al contratto. Non pare eccessivo ricordare che l'onere della prova relativo alla obiettiva esistenza delle ragioni giustificatrici della proroga è a carico del datore di lavoro. Nonostante il poco tempo trascorso dalla pubblicazione del d.l. numero 34/2014, incalzano le richieste di chiarimento, una fra tutte quella inerente al nuovo regime della proroga e a quali effetti abbia sui contratti in corso. È giusto considerare che, data la sua eccezionalità e l'attesa che si era creata, il decreto è stato scritto in fretta e che alcune precisazioni dovranno essere esplicitate in corso di conversione. Per questo motivo, pur intravedendo altre soluzioni, si è dell'avviso che, con riguardo ai principi generali del diritto, ai contratti in corso dovrebbe essere applicata la vecchia normativa. Se è vero, e lo è, che ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, sentite le non univoche posizioni delle parti in gioco, è auspicabile il richiamo all'equilibrio applicativo ed ai necessari chiarimenti in sede di conversione del decreto legge. La somministrazione di lavoro. L’articolo 1, d.l. 34/2014 in commento contribuisce ad aumentare il parallelismo fra la disciplina del contratto a termine e quella della somministrazione di lavoro, estendendo la possibilità di stipulare il contratto senza la necessità di indicare una causale sia al contratto a temine che quello di somministrazione di lavoro. Il nuovo comma 1 dell’articolo 1, d.lgs. numero 368/2001 consente, pertanto, di apporre un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell'articolo 20 d.lgs. numero 276/2003, senza necessità di esplicitarne le ragioni. Coerentemente, nel comma 4 del sopra richiamato articolo 20, sono soppressi i primi 2 periodi che consentivano la stipula di un contratto di somministrazione a tempo determinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. Purtuttavia, la nuova disposizione trascura la modifica di altre parti del d.lgs. numero 276/2003 che fanno riferimento alle norme abrogate. Sono rimasti invariati, per esempio, i commi 5-ter e 5-quater del medesimo articolo 20 che individuano i casi di mancata applicazione del requisito, ora espunto in via generale, delle ragioni giustificatrici e non è cambiato l’articolo 21, comma 1, lettera c che elenca, tra gli elementi essenziali del contratto di somministrazione di manodopera, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ora non più richieste. La disciplina dei limiti numerici per i contratti di somministrazione era già contenuta nel terzo periodo ora diventato il primo del comma 4 dell’articolo 20 d.lgs. numero 276/2003, che ne affida l'individuazione ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in conformità alla disciplina di cui all'articolo 10 d.lgs. numero 368/2001. Stante l’espresso richiamo, anche per la somministrazione resta ferma la previsione dell’articolo 10, comma 7, d.lgs. numero 368/2001, che consente ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi di individuare diversi limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto contrattuale «stipulato ai sensi dell'articolo 1, comma 1». Tali diversi limiti quantitativi possono essere, quindi, disposti dalla contrattazione collettiva oltre che per il contratto a termine anche per la somministrazione di lavoro e sarà necessario chiarire se il limite del 20% stabilito per i contratti a termine valga anche per la somministrazione. La L. numero 92/2012 ha peraltro stabilito che i periodi di utilizzo del lavoratore con contratto di somministrazione rilevano, dall’entrata in vigore della legge stessa, nel computo della durata massima di 36 mesi in caso di successione di contratti a termine. Secondo il Ministero del Lavoro circolare numero 18/2012 la modifica introdotta dalla L. numero 92/2012 vuole evidentemente evitare che, attraverso il ricorso alla somministrazione di lavoro, si possano aggirare i limiti all'impiego dello stesso lavoratore con mansioni equivalenti in tal modo, pertanto, «nel limite dei 36 mesi andranno computati anche i periodi di occupazione - sempre con mansioni equivalenti - legati ad una somministrazione a tempo determinato». Pertanto, a seguito dell’entrata in vigore della L. numero 92/2012, i periodi di utilizzazione di un lavoratore somministrato si sommano con i periodi di lavoro svolto con contratto a termine – quando hanno ad oggetto le stesse mansioni o mansioni equivalenti – ai fini del raggiungimento del periodo massimo di 36 mesi oltre il quale salvo un eventuale contratto assistito in deroga il rapporto si trasforma in contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’apprendistato. L’articolo 2, d.l. numero 34/2014 contiene misure per la semplificazione delle disposizioni in materia di apprendistato, con ciò confermando l’interesse a che questo contratto rimanga, o meglio, diventi la via privilegiata di accesso, per i giovani, al mercato del lavoro. La prima modifica interessa il comma 1 dell’articolo 2, d.lgs. numero 167/2011, che contiene i principi generali applicabili a tutte le forme di apprendistato per l’acquisizione della qualifica professionalizzante di alta formazione. Viene abolito l’obbligo di redigere per iscritto ed allegare al contratto di apprendistato il piano formativo, che, peraltro, era già stato notevolmente alleggerito nei contenuti dalla L. numero 99/2013. Pertanto, per tutte e tre le tipologie di apprendistato l’obbligo di forma scritta riguarda esclusivamente il contratto e il patto di prova. Viene, inoltre, abrogato il divieto di assumere nuovi apprendisti se non vi è stata la conferma in servizio di una quota dei contratti precedentemente scaduti. Sono in tal senso abrogati i commi 3-bis e 3-ter dell’articolo 2 d.lgs. numero 167/2011 che, come noto, condizionavano l’assunzione con contratto di apprendistato alla conferma in servizio di almeno il 50% dei contratti di apprendistato che erano giunti a conclusione, percentuale ridotta al 30 per cento per il primo triennio di applicazione. Non esiste più l’obbligo legale, ma si dovrà porre attenzione ai contratti collettivi che potrebbero, a loro volta, disciplinare l’obbligo di stabilizzazione come presupposto per le nuove assunzioni di apprendisti. Un ulteriore intervento riguarda la formazione base o trasversale che potrà e non dovrà, come precedentemente disposto andare ad integrare quella di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità dell'azienda. Si tratta delle 120 ore, al massimo, nel triennio riferite all’offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata all'acquisizione di competenze di base e trasversali, disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell'età, del titolo di studio e delle competenze dell'apprendista. Gli elenchi anagrafici dei lavoratori. L’articolo 3 rende più semplice l’iscrizione delle persone in cerca di lavoro nelle liste tenute dai centri per l’impiego, consentendo loro di rivolgersi a qualsiasi centro sul territorio nazionale. Il Documento di regolarità contributiva DURC . Il Governo si impegna a disciplinare, con un apposito decreto ministeriale, la possibilità, per chiunque vi abbia interesse, di verificare la regolarità contributiva di un datore di lavoro, interrogando telematicamente gli archivi di INPS, INAIL e Cassa edile. La verifica varrà per 120 giorni e va a sostituire il rilascio cartaceo del DURC. Contratti di solidarietà. L’articolo 5, infine, stanzia 15 milioni di euro per rifinanziare le agevolazioni contributive disposte a favore dei datori di lavoro che stipulano contratti di solidarietà difensiva di tipo “A”, ossia contratti di solidarietà conclusi da imprese rientranti nell’ambito della CIGS. Anche in questo caso, però, sarà un decreto di prossima emanazione a definire i criteri per la individuazione dei datori di lavoro beneficiari della riduzione contributiva. Conclusioni. I ripetuti interventi in materia di contratto a tempo determinato, di somministrazione di lavoro, di apprendistato, hanno inevitabilmente prodotto stratificazioni e discordanze che questo decreto non risolve, anzi in qualche caso accentua e che rende indifferibile il riordino ed il coordinamento delle norme in materia di lavoro. fonte www.fiscopiu.it