Una volta che sia stata proposta domanda di declaratoria di inesistenza di una servitù di passaggio attraverso un cortile, il convenuto, che in primo grado si sia opposto alla titolarità della servitù contestatagli dall’attore senza formalizzare alcuna domanda riconvenzionale , non può dedurre, per la prima volta, in appello di essere proprietario esclusivo o comproprietario del cortile. Si tratterebbe, infatti, di una domanda nuova e il giudice d’appello che la ritiene ammissibile, violerebbe l’articolo 345 c.p.c.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 4491 del 25 febbraio 2014. Il fatto. Tre donne convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Massa gli acquirenti di tre diversi appartamenti da due coniugi. Questi ultimi, successivamente, vendevano l’appartamento ubicato al primo piano dello stesso stabile a M.L. , costituendo una servitù di passaggio sul cortile condominiale, senza l’assenso degli altri condomini. M.L. provvedeva ad ampliare la terrazza posta sul menzionato cortile, appropriandosi di parte dello stesso. Le attrici, quindi, chiedevano la demolizione di tale opera illegittima e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, dichiarando, inoltre, l’illegittimità e l’inefficacia della costituita servitù. I giudici di primo grado accoglievano in parte la domanda e dichiaravano l’inesistenza della servitù di passaggio sul cortile condominiale, rigettandola nella parte relativa alla rimessione in pristino della terrazza. La Corte d’Appello di Genova riformava tale sentenza e rigettava anche la parte relativa alla servitù, in quanto la corte dedotta in giudizio non poteva qualificarsi come comune. Le attrici ricorrono per cassazione. Un inammissibile ampliamento del thema decidundum. Secondo le ricorrenti, i giudici d’appello avrebbero violato l’articolo 345, co. 1, c.p.c., secondo cui non possono, in secondo grado, proporsi domande nuove. Infatti, mentre nel giudizio di prime cure, i convenuti chiedevano solo il rigetto dell’actio negatoria servitutis formulata dalla attrici in relazione all’uso del cortile retrostante dell’immobile con riferimento alla supposta costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia articolo 1062 c.c. , con atto d’appello, avevano invocato diversi petita affinché fosse dichiarata l’inesistenza della servitù sull’edificio condominiale e la loro proprietà esclusiva su una determinata area della parte ritenuta comune. È visibile, perciò, come gli originari convenuti avevano proposto domande che esorbitavano dalle allegazioni difensive consentite nel giudizio di secondo grado dall’articolo 345 c.p.c., ampliando così in ammissibilmente il thema decidundum. La Corte d’Appello ha, pertanto violato la suddetta norma, poiché ha posto a fondamento della sua decisione una domanda in senso proprio aveva ritenuto fondato il motivo con il quale era stata sostenuta l’esclusione della condominialità della corte , inammissibile perché nuova, risultando basata su un titolo del tutto diverso dal contenuto della difesa esperita in primo grado In appello non possono proporsi domande nuove. Il ricorso è, per questi motivi, fondato una volta che sia stata proposta domanda di declaratoria di inesistenza di una servitù di passaggio attraverso un cortile, il convenuto, che in primo grado si sia opposto alla titolarità della servitù contestatagli dall’attore senza formalizzare alcuna domanda riconvenzionale , non può dedurre, per la prima volta, in appello di essere proprietario esclusivo o comproprietario del cortile. Si tratterebbe, infatti, di una domanda nuova e non di una mera eccezione , fondata su un titolo diverso ed idonea ad estendere il thema decidundum, con la conseguenza che il giudice d’appello che la ritenga ammissibile, violerebbe l’articolo 345 c.p.c. La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 gennaio – 25 febbraio 2014, numero 4491 Presidente Triola – Relatore Carrato Svolgimento del processo Con atto di citazione, notificato l'11 ottobre 1990, le signore B.C. in Cr. , C.B. in D. e A.M. in A. , convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Massa, i sigg. P.P.F. , M.L. e M.F. esponendo - che avevano acquistato tre diversi appartamenti siti in omissis dai coniugi M. - P. - che, successivamente, questi ultimi avevano venduto l'appartamento ubicato al primo piano dello stesso stabile a M.L. , costituendo servitù di passaggio sul cortile condominiale, senza l'assenso degli altri condomini - che, inoltre, la M.L. aveva ampliato una terrazza posta sul menzionato cortile, appropriandosi di parte dello stesso tanto premesso, chiedevano che la M.L. fosse condannata a demolire quanto illecitamente edificato in ampliamento del preesistente terrazzo, con conseguente rimessione dei luoghi in pristino stato, e che venisse, altresì, dichiarata l'illegittimità e l'inefficacia della costituita servitù. Nella sola costituzione dei due convenuti M. , il Tribunale adito, con sentenza numero 502 del 2002, dichiarava l'inesistenza della servitù di passaggio sul cortile condominiale dedotto in controversia e rigettava, invece, la domanda relativa alla rimessione in pristino della terrazza. Interposto gravame da parte di P.P.F. , M.A. e M.L. quali eredi di M.F. e la terza anche in proprio , la Corte di appello di Genova, nella costituzione delle parti appellate, con sentenza numero 120 del 2007 depositata il 15 febbraio 2007 , in riforma dell'impugnata sentenza, rigettava la domanda come formulata in primo grado in ordine alla servitù, sul presupposto che - alla stregua degli atti e delle prove costituende espletale - la corte dedotta in giudizio non poteva qualificarsi come comune. Avverso la suddetta sentenza di secondo grado non notificata hanno proposto ricorso per cassazione le signore B.C. in Cr. , C.B. in D. e A.M. in A. , riferito a sei motivi. Tutti gli intimati si sono costituiti in questa fase con controricorso, illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno dedotto - ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 4, c.p.c. - la supposta violazione dell'articolo 345, comma 1, c.p.c, in virtù del quale non possono proporsi in appello domande nuove. In relazione alla previsione dell'articolo 366 bis c.p.c. ratione temporis applicabile nella fattispecie, risultando la sentenza impugnata il 15 febbraio 2007 , le ricorrenti hanno formulato il seguente quesito di diritto Affermi la S.C. il principio opposto a quello applicato dalla sentenza impugnata secondo il quale il giudice di appello deve, ai sensi dell'articolo 345, comma 1, c.p.c., dichiarare inammissibile il gravame, ove in primo grado l'attore abbia chiesto di accertare l'inesistenza di una servitù a carico di un suo bene e con l'atto di appello il convenuto soccombente chieda esclusivamente e per la prima volta al giudice di accertare il proprio diritto di proprietà sul predetto bene, nonché l'inesistenza di servitù di passo su un bene diverso, essendosi in primo grado limitato a chiedere il rigetto della domanda . 2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno denunciato - in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 4, c.p.c. - la violazione dell'articolo 112 c.p.c. relativo alla corrispondenza tra chiesto e pronunciato, indicando il seguente quesito di diritto dica la S.C. se, nel caso in cui l'appellante chieda solo pronunce dichiarative e l'appellato solo il rigetto del gravame, al giudice di secondo grado è inibito, ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., di accogliere le diverse conclusioni, limitate alla richiesta di reiezione della domanda, precisate dal convenuto in primo grado . 3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno prospettato - sempre in virtù dell'articolo 360, comma 1, numero 4, c.p.c. - la nullità per mancanza nell'atto processuale dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, formulando, in proposito, il seguente quesito di diritto dica la S.C. se il giudice può rigettare la domanda giudiziale che chieda l'accertamento dell'inesistenza di una servitù gravante su una determinata area dopo aver affermato, nella parte motiva, che detta area appartiene allo stesso proprietario del fondo presunto dominante, determinandosi in caso contrario una ipotesi di nullità della sentenza per impossibilità del raggiungimento dello scopo della stessa che è quello di dettare in termini in equivoci la regola giuridica del caso concreto non apparendo compatibile con l'esigenza di certezza delle decisioni una statuizione da ricostruire attraverso una valutazione di prevalenza di una delle due ipotesi contrarie contenute entrambe le suo testo . 4. Con il quarto motivo le ricorrenti hanno inteso dedurre - ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c. - il vizio di contraddittorietà della motivazione in ordine all'interpretazione dei contratti di vendita degli appartamenti condominiali in relazione alla ricostruzione del fatto controverso consistente nel regime proprietario condominiale o meno dell'area immediatamente retrostante l'immobile. 5. Con il quinto motivo le ricorrenti hanno dedotto un ulteriore vizio di insufficienza della motivazione per omessa considerazione di elementi rilevanti al fine di stabilire chi sia il proprietario del cortile retrostante l'edificio condominiale. 6. Con il sesto ed ultimo motivo le ricorrenti hanno denunciato un altro vizio in inadeguatezza motivazionale in ordine alla ingiustificata mancata ammissione di mezzi di prova. 7. Rileva il collegio che il primo motivo è fondato nei termini e per le ragioni che seguono. Dalle sentenze di primo grado e di appello nonché dal contenuto del gravame proposto in secondo grado da P.P.F. , M.L. e M.A. esaminabile anche in questa sede in virtù della natura processuale del vizio denunciato si evince che questi ultimi - quali convenuti nel giudizio di prime cure - si erano limitati a chiedere il rigetto dell’ actio negatoria servitutis formulata dalle attrici in relazione all'utilizzazione del cortile retrostante dell'immobile dedotto in controversia sulla base di una mera eccezione riconvenzionale formulata con riferimento alla supposta costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia articolo 1062 c.c. . Senonché, gli stessi convenuti, con l'atto di appello proposto avverso la sentenza di primo grado per la parte in cui aveva accolto la domanda di accertamento dell'inesistenza della servitù, avevano invocato i diversi petita orientati all'ottenimento della dichiarazione della inesistenza della servitù sull'edificio condominiale e della correlata esistenza della loro proprietà esclusiva su una determinata area della corte ritenuta comune. Pertanto, con l'atto di appello, gli originari convenuti avevano avanzato una duplice domanda di accertamento che esorbitava dalle allegazioni difensive consentite nel giudizio di secondo grado dall'articolo 345 c.p.c. nella formulazione previgente alla novellazione intervenuta per effetto della legge numero 353 del 1990, poiché il giudizio in questione era stato introdotto con atto di citazione notificato nell'ottobre 1990 , ampliando così inammissibilmente il thema decidendum . In altri termini, mentre con la difesa originariamente esercitata in primo grado i convenuti avevano dedotto di essere titolari del controverso diritto di servitù invece contestato dalle attrici , sostenendo di esercitare tale diritto in forza della destinazione del padre di famiglia, successivamente, con la proposizione dell'atto di appello e senza che, in primo grado, fosse stata formulata alcuna apposita domanda riconvenzionale , avevano prospettato - operando una vera e propria mutatio della loro impostazione difensiva - di essere proprietari esclusivi dell'area posta immediatamente sul retro dell'edificio condominiale, chiedendo, pertanto, una pronuncia di accertamento di tale loro qualità mai dedotta prima . A tal proposito si noti come, proprio nella sentenza di appello, si evidenzia testualmente, per un verso cfr. pag. 4 , che gli appellanti - quali convenuti in primo grado - avevano dedotto che la servitù oggetto della domanda principale si sarebbe dovuta ormai ritenere costituita per destinazione del padre di famiglia e si erano limitati a tanto , mentre gli stessi, con il formulato gravame v. conclusioni riportate a pag. 2 della sentenza della Corte genovese , avevano chiesto, in riforma della sentenza di primo grado, di dichiarare l'inesistenza della servitù di passo limitatamente all'edificio condominiale delle parti, eliminando il riferimento al cortile comune da considerarsi ad ogni effetto di proprietà privata degli appellanti”. Conseguentemente, la Corte territoriale, rigettando la domanda come proposta in primo grado per effetto dell'accoglimento dei diversa petita dedotti dagli appellanti nei precisati termini, avuto riguardo alla rilevata fondatezza del motivo con il quale era stata sostenuta l'esclusione della condominialità della corte , è incorsa nella violazione del divieto previsto dall'articolo 345 c.p.c., poiché ha posto a fondamento della sua decisione una domanda in senso proprio, da qualificarsi inammissibile siccome nuova v., per idonei riferimenti, Cass. numero 3835 del 1985 Cass. numero 12258 del 2002 e Cass. numero 24024 del 2004 , risultando fondata su un titolo del tutto diverso dal contenuto della difesa esperita in primo grado e senza che, ad ogni modo, il petitum della stessa fosse stato dedotto nel giudizio di prima istanza a sostegno di una domanda riconvenzionale in senso proprio cfr., in termini, Cass. numero 367 del 1969 e Cass. numero 710 del 1973, nonché, per opportuni riferimenti, la più recente Cass. numero 9356 del 2012 . Deve, perciò, affermarsi, in accoglimento del primo motivo, il principio di diritto secondo cui una volta che sia stata proposta domanda di declaratoria di inesistenza di una servitù di passaggio attraverso un cortile, il convenuto, il quale in primo grado di sia limitato ad opporre di essere titolare della servitù contestatagli dall'attore senza formalizzare alcuna domanda riconvenzionale , non può dedurre, per la prima volta, in appello di essere proprietario esclusivo o comproprietario del cortile, perché, con la deduzione di tale petitum , egli propone una domanda nuova e non una mera eccezione , fondata su un titolo diverso ed idonea ad estendere inammissibilmente il thema decidendum , con la conseguenza che incorre nella violazione dell'articolo 345 c.p.c. il giudice di appello che, invece, la ritenga ammissibile come verificatosi nella specie . 8. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, deve pervenirsi all'accoglimento del primo - pregiudiziale - motivo, dal quale consegue l'assorbimento di tutte le altre dipendenti censure in virtù del rilievo che, nella fattispecie, il giudice del gravame non avrebbe potuto ritenere ammissibili le domande nuove formulate dagli appellanti e, quindi, per effetto della loro ravvisata fondatezza, giungere al rigetto della domanda così come formulata dagli attori in primo grado relativamente alla negatoria servitutis , accolta dal giudice di prime cure. Pertanto, ricorrendo una delle situazioni processuali riconducibili al disposto dell'articolo 382, comma 3, seconda parte, c.p.c., occorre disporre la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, pervenendo direttamente, in questa sede, a pronunciare il rigetto dell'appello proposto nell'interesse di P.P.F. , M.L. e M.A. . A tale statuizione definitiva consegue la necessità di provvedere alla regolazione delle spese del giudizio di appello e di quelle della presente fase di legittimità ferma restando quella del giudizio di prime cure , che, in base al principio della totale soccombenza, vanno poste integralmente a carico delle predette P.P.F. , M.L. e M.A. già appellanti , in solido fra loro. Esse si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, precisando che quelle della fase di legittimità vengono quantificate sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di cassazione dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, numero 140 applicabile nel caso di specie in virtù dell'articolo 41 dello stesso D.M. cfr. Cass., S.U., numero 17405 del 2012 . P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo sull'appello proposto da P.P.F. , M.L. e M.A. , lo dichiara inammissibile. Condanna questi ultimi, in solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio di appello, liquidate in totale nella misura di Euro 3.890,00, di cui Euro 1300,00 per diritti, Euro 2.500,00 per onorari ed Euro 90,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, nonché al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, quantificate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.