Fondi neri societari? Finché utili alla società non costituiscono appropriazione indebita degli amministratori

Si tratta del noto “Telecom affaire” una presunta vicenda di spionaggi e rivelazioni con attori dirigenti Telecom, investigatori privati e funzionari del SISMI – il servizio segreto italiano – al fine di comporre un database di dati riservati concernenti migliaia di personalità di spicco del tessuto imprenditoriale e politico nazionale. Contestate, in forma associata, la corruzione e l’accesso abusivo ai sistemi informatici. Il caso in oggetto aveva riguardo la presunta attività di ricettazione ex articolo 648 c.p. dei capitali provenienti dal sodalizio criminale e reinvestiti e simulati in forme che ne celassero la provenienza delittuosa, da parte del contabile del gruppo.

La Cassazione, Seconda Sezione Penale, numero 7795/2014, depositata il 19 febbraio, chiarisce in punto di ricettazione e di rapporti fra i giudicati penali di distinti procedimenti. Il reato presupposto. L’appropriazione indebita dei fondi sociali è reato solo quando assolutamente inutile al perseguimento dell’oggetto sociale. I dirigenti Telecom s.p.a. avrebbero utilizzato fondi sociali per finanziare il sodalizio criminale e i consulenti esterni poi imputati. Qualunque sia la forma dell’utilizzo – creazione di riserve occulte, ad esempio -, anche incoerente alle procedure sociali di spesa, quando quelle uscite soddisfano, anche indirettamente, una qualsivoglia utilità per la società – per la rispondenza di quei finanziamenti alla cura dell’oggetto sociale -, non si verifica una appropriazione indebita ex articolo 646 c.p Non verrebbe recisa la relazione di disponibilità fra quelle somme e la società, la cui utilità risulta comunque perseguita – le uscite avrebbero finanziato la fornitura di servizi di intelligence a tutela di Telecom s.p.a., seppur espletati con modalità illecite -. D’altronde, la categoria dell’utilità trova ristoro in più parti nella disciplina civilistica delle società. Ad esempio, l’atto adottato dall’amministratore sfornito di rappresentanza è solo inefficace e non nullo, e può consolidarsi con la ratifica dell’assemblea sociale, qualora ravvisasse l’utilità dell’atto all’oggetto sociale. I giudicati penali in competizione da altro giudicato penale sui medesimi fatti, il processo penale in corso non può prescindere. Nel caso in oggetto, si poneva il problema del valore degli accertamenti penali già definiti sulla posizione processuale dell’unico imputato ancora sub iudice. Non esiste per i giudicati penali norma analoga a quella che disciplina il valore del giudicato penale sugli accertamenti civili ed amministrativi in corso ex articolo 651 ss. c.p.p L’articolo 238 bis c.p.p. consente l’acquisizione in dibattimento, ai fini probatori, di sentenze irrevocabili, tuttavia da riscontrare ai sensi degli articolo 192, comma 3, e 197 c.p.p Dal punto di vista strettamente processuale, l’articolo 479 c.p.p. consente la sospensione del processo penale solo per pregiudiziali civili ed amministrative, non penali. Residua l’articolo 2 c.p.p. che consente al giudice penale ogni statuizione incidentale, la quale esaurisce valore nello specifico processo. Inoltre, rilevano le previsioni sulla revisione del processo ex articolo 630 c.p.p., in caso di contrasto fra giudicati penali. La Cassazione mostra più coraggio, sembrerebbe riconoscere un principio generale il giudice deve comunque fare i conti, oltre i limiti dell’articolo 238 bis c.p.p., con l’altro giudicato penale che eventualmente abbia trattato fatti in parte afferenti a quelli di causa - il cui accertamento penale è ancora in corso -. Lo impongono ragioni di economia processuale e di coerenza sistemica – altrimenti sarebbe possibile richiedere, per contrarietà ad altro giudicato, la revisione di un processo quando il medesimo giudicato non sarebbe stato possibile utilizzare nel corso dell’accertamento principale -. Il corollario della Cassazione. Tuttavia, deve trattarsi di giudicato, dotato dei crismi dell’irrevocabilità. Non di sentenze di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 c.p.p. – siccome passibili di revoca per la riapertura delle indagini preliminari -, alla quale nessuna rilevanza può essere riconosciuta in altro processo penale. Da cui la statuizione della Cassazione, nel caso in oggetto può sussistere il reato di riciclaggio anche se l’accertamento del reato presupposto si è concluso con una sentenza di non luogo a procedere.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 novembre 2013 – 19 febbraio 2014, numero 7795 Presidente Gallo – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1. L'odierno procedimento costituisce segmento di un più ampio procedimento in relazione al quale pur relativamente a diverse imputazioni e diversi imputati vi è già stata una pronunzia della VI sezione di questa Corte Suprema sentenza 20 settembre 2011, dep. 3 maggio 2012, numero 16362 , che così ne riepiloga le fasi iniziali, comuni all'odierno procedimento “All'esito di complesse ed articolate indagini concernenti fatti reato sviluppatisi nel tempo per quasi un decennio dal 1997 al 2006 , caratterizzanti quello che è stato comunemente definito il caso Telecom, il pubblico ministero presso il Tribunale di Milano ha chiesto il 21.11.2008 il rinvio a giudizio di 34 imputati, nei cui confronti ha elevato a vario titolo complessivi 41 capi di imputazione, il cui fulcro è formato da una accusa di associazione per delinquere diretta alla commissione di plurimi reati di diversa tipologia. In sintesi il p.m. ha elaborato, alla luce delle emergenze investigative, un quadro accusatorio imperniato sull'esistenza di un sodalizio criminoso stretto tra più persone, tra cui in particolare gli investigatori privati C.E. e B.M. , il funzionario del SISMI M.M. e T.G. , responsabile della Funzione Security della società Pirelli e - dopo l'acquisita partecipazione maggioritaria da parte di Pirelli - della società Telecom. Sodalizio finalizzato al compimento di reati di corruzione propria antecedente e susseguente , intrusione informatica, rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio ed appropriazione indebita. Il nucleo centrale delle accuse è costituito dalla contestazione agli investigatori privati C. e B. ed ai loro rispettivi collaboratori di aver realizzato una sistematica opera di corruzione, su mandato personale del T. e di altri dirigenti i servizi di Security delle società Pirelli e Telecom in particolare i coimputati I. e Gh. , di numerosi pubblici ufficiali italiani e stranieri per ottenere informazioni riservate presenti in archivi e banche dati di pubbliche amministrazioni nonché di essersi abusivamente introdotti in sistemi informatici e telematici allo scopo di formare dei dossier di notizie riservate o personali riguardanti oltre 4.000 persone fra cui esponenti politici, giornalisti, imprenditori, impiegati, aspiranti dipendenti delle società Telecom e Pirelli, persone comunque di possibile interesse, solo asserito, per i vertici societari . Attività illecita protrattasi per anni cui si coniuga la connessa accusa, mossa al T. e ai suoi consociati esterni ex articolo 416 c.p., di appropriazione indebita, aggravata dal rapporto di prestazione d'opera, di risorse economiche delle società Pirelli e Telecom, drenate sotto forma di corrispettivo delle operazioni informative e intrusive commissionate dalle due società al C. e al B. e ad altri investigatori. Un'autonoma accusa di riciclaggio è stata mossa al commercialista milanese G.M. , accusato di aver ideato multiformi operazioni negoziali in favore del C. , finalizzate ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme da quest'ultimo percepite dalle società Telecom e Pirelli a titolo di remunerazione delle illecite operazioni di dossieraggio. Il p.m. ha contestato, infine, alle persone giuridiche Telecom e Pirelli l'illecito amministrativo di cui al D. Lgs. 8 giugno 2001, numero 231, articolo 25, commi 2 e 4, in rapporto alle molteplici corruzioni commissionate dal proprio dipendente T. nel periodo in cui ha ricoperto un ruolo apicale in ciascuna delle due società come responsabile della funzione Security capi 38 e 39 della rubrica per Telecom Italia SpA capi 40 e 41 della rubrica per Pirelli & amp C. SpA ”. 1.1. Il commercialista G.M. era stato rinviato a giudizio per rispondere - capo 10 del delitto di cui agli articolo 81 cpv. - 648-bis, commi 1 e 2, c.p., perché, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, nell'esercizio dell'attività di dottore commercialista, prestando la propria consulenza professionale, ricoprendo anche cariche in organi sociali secondo le necessità di complesse operazioni negoziali, e comunque collaborando con C. [investigatore privato gestore della Polis d'Istinto s.r.I. e delle società inglesi W.C.S. Ltd. e S.R.A. Ltd.], e con società specializzate, nella costruzione di società di comodo estere non operative - la cui unica finalità è quella di schermare il beneficiario reale e di legittimare apparentemente il trasferimento di fondi mediante l'emissione di fattura - per trasferire gli importi, oggetto dell'appropriazione indebita e prezzo della corruzione aggravata descritta nei capi che precedono e che seguono, da conti inglesi a conti svizzeri e monegaschi fino alla destinazione su conti lussemburghesi, nonché curando il rientro dall'estero, tramite una complessa operazione finanziaria, di circa due milioni di Euro prelevati dalla Svizzera, trasferiti nel Regno Unito e bonificati quindi in Italia per consentire, tramite interposizioni, l'acquisto di una villa in Italia, utilizzata dal C. sita in OMISSIS , di proprietà dell'IMMOBILIARE LABIRINTO s.r.l. , compiva operazioni idonee ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme illecitamente sottratte alle società del GRUPPO PIRELLI e TELECOM. Reati commessi in OMISSIS . In particolare, secondo la contestazione, le operazioni compiute dall'odierno ricorrente miravano ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme illecitamente sottratte alle società del GRUPPO PIRELLI e TELECOM, costituenti oggetto di appropriazione indebita capo 9 o prezzo della corruzione di pubblici ufficiali [capi 2 , 11 , 17 ]. Sub 9 era stato contestato al C. [in concorso con T. responsabile della Funzione Security della società Pirelli e - dopo l'acquisita partecipazione maggioritaria da parte di Pirelli - della società Telecom e con I. altro dirigente i servizi di Security delle società Pirelli e Telecom ] il delitto di cui agli articolo 81 cpv., 110 e 646 c.p., articolo 61 c.p., nnumero 7 - 11, articolo 61 c.p., numero 2, per avere posto in essere il drenaggio di risorse economiche dei gruppi PIRELLI e TELECOM committenti degli incarichi delittuosi svolti dall'associazione criminosa oggetto di contestazione sub 1 , con appropriazione indebita della complessiva somma di Euro 20,9 milioni pagati su estero alla WCS Ltd. ed alla RSA Ltd. come corrispettivo di operazioni di investigazione simulatamente compiute dalle precitate società di diritto inglese . Reati commessi in Milano dal novembre 1997 al dicembre 2004. Sub 1 , era stato contestato a più soggetti separatamente giudicati, alcuni in qualità di organizzatori e promotori, il delitto di cui all'articolo 416, commi 1 e 2, c.p., associazione per delinquere per la commissione di una pluralità di delitti di a corruzione propria per indagini clandestine ed illecite b utilizzazione a fini patrimoniali di segreti di ufficio banche dati di Ministeri e servizi italiani e stranieri c utilizzazione di dati relativi a traffico storico di utenze TIM con applicativo Radar d acquisizione illecita di notizie sulla sicurezza dello Stato in violazione dell'articolo 262 c.p. e accessi ed intrusioni illeciti in sistemi informatici articolo 615-ter c.p. ed intercettazione illecita di flussi telematici articolo 617-quater c.p. f appropriazione indebita in danno del gruppo TELECOM - PIRELLI, principale committente di C. , e degli investigatori privati S. e B. quest'ultimo gestore della G.S.S. s.r.l. e - con il coimputato S. - della statunitense G.S.S. Inc. in violazione dell'articolo 646 c.p., aggravata ex articolo 61, comma 1, numero 11, c.p. g illecito trattamento di dati personali in violazione del D. Lgs. numero 196 del 2003, articolo 23, 26, 27, 123 e 167. Reati commessi in Milano ed altrove con condotta permanente dal 2000 fino al 20.9.2006. Sub 2 era stato contestato al C. ed a SE.GI. ex ufficiale della G.d.F., collaboratore dell'Agenzia Investigativa Minerva , in concorso con T. , I. e R. , il delitto di cui agli articolo 81 cpv., 319 e 321 c.p., aggravato ex articolo 61 c.p., numero 2, ovvero la stabile retribuzione corruttiva di ufficiali ed agenti di p.g. per lo svolgimento di indagini abusive intrusioni informatiche, pedinamenti, acquisizioni di documenti , avvalendosi dei loro poteri istituzionali, al fine conseguire il profitto del reato di cui al capo 9 articolo 646 c.p. . Reati commessi in Milano ed altrove dal 2000 al settembre 2004. Sub 11 era stato contestato al C. , in concorso con T. , il delitto di cui agli articolo 81 cpv., 110 c.p., 322-bis, comma 2, numero 1 in riferimento al comma 1, numero 5 c.p., ovvero l'intervenuta retribuzione corruttiva di GU.FU. , funzionario del servizio di sicurezza e pratiche varie, anche di personale interesse del presidente pro tempore di Pirelli - Telecom, TR.PR. . Reati commessi in OMISSIS fino al XXXX. Sub 17 era stato contestato al C. e ad I. il delitto di cui agli articolo 319 e 321 c.p., aggravato ex articolo 61, comma 1, numero 2 c.p., ovvero l'intervenuta retribuzione corruttiva del M. limitatamente ad una serie di pratiche dettagliatamente indicate sub 16 . Reati commessi in OMISSIS . 2. All'esito, il g.u.p. del Tribunale di Milano aveva adottato quattro provvedimenti decisori a sentenza applicativa di pene concordate con il p.m. nei confronti di sedici imputati e delle società Telecom e Pirelli b sentenza di non luogo a procedere ex articolo 425 c.p.p. nei confronti di dodici imputati in relazione a taluni reati e/o parti di reato loro ascritti, con varie formule liberatorie insussistenza dei fatti o non commissione degli stessi improcedibilità ex articolo 202, comma 3, c.p.p. intervenuta prescrizione delle condotte attuate fino al 28.11.2002 c decreto dispositivo del giudizio davanti alla Corte di Assise di Milano competente in relazione al reato di cui all'articolo 262, comma 1, c.p., contestato ai capi 19, 21 e 37 della rubrica nei confronti di dodici imputati, non già giudicati a norma degli articolo 442 e 444 c.p.p., fatta eccezione per CA.MI. , accusato di un solo reato di corruzione continuata, dichiarato improcedibile per prescrizione con la sentenza citata al punto b di questo riepilogo. d per quello che in relazione all'odierno ricorso più immediatamente rileva, sentenza emessa in data 28 maggio 2010, all'esito del giudizio abbreviato, di assoluzione dell'odierno ricorrente G. per insussistenza dei fatti di riciclaggio ascrittigli. 2.1. In particolare, secondo quanto riepilogativamente riportato nel p.4.2. della sentenza numero 16362 del 2012 della VI sezione di questa Corte Suprema. “Con la sentenza emessa ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., il g.u.p. del Tribunale ambrosiano ha dichiarato il non luogo a procedere per insussistenza del fatto in ordine al delitto di appropriazione indebita contestato con il capo 9 della rubrica, ascritto a C. in concorso con T. e I. , e con il capo 22 della rubrica, ascritto a B. in concorso con T. , I. , S. e G. . Insussistenza basata sulla deduzione, coonestata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non commette appropriazione indebita il dirigente di una società che utilizzi le risorse finanziarie sociali per scopi che, sebbene in tutto o in parte illeciti, perseguano comunque in modo diretto o indiretto interessi della società o dei suoi vertici amministrativi e dirigenziali. Nella vicenda per cui è processo il g.u.p. ha rilevato che numerose operazioni illecite di dossieraggio o acquisizioni commissionate al C. e al B. , su indicazione di T. o di suoi collaboratori I. e G. e pagate da Pirelli e da Telecom, sono state eseguite per scopi collegabili, direttamente o indirettamente, all'interesse delle due società o in ogni caso dell'amministratore p.t. di entrambe, il presidente T.P. . Di conseguenza il g.u.p. ha dichiarato il non luogo a procedere anche per il reato di associazione per delinquere limitatamente al riferimento presente in imputazione al compimento di fatti di appropriazione indebita di cui al capo 1, sub f . Il g.u.p. ha dichiarato, poi, il non luogo a procedere nei confronti dell'imputato M. . Improcedibilità con la formula della non commissione del fatto per il reato associativo sub 1 e con formule diverse relative ai reati di rivelazione di segreti ex articolo 326 c.p. capo 15 e di corruzione capo 16 correlate ai 33 casi di pratiche o dossier formati con il contributo informativo del M. insussistenza del fatto per tre pratiche cui risulta estraneo un qualsiasi contributo dell'imputato improcedibilità per l'esistenza di segreto di Stato per dieci pratiche non supportate da dati diversi da quelli desumibili dalle notizie secretate dal Capo del Governo prescrizione ovvero non commissione del fatto per venti pratiche per le quali è possibile rinvenire in atti fonti integrative di prova non coperte da segreto, che però presentano profili di equivocità valutativa non forieri di esiti dibattimentali favorevoli alla pubblica accusa. Il g.u.p. ha, infine, dichiarato improcedibili perché estinti per intervenuta prescrizione tutti gli altri reati di rivelazione di segreti di ufficio e di corruzione contestati agli imputati limitatamente alle condotte poste in essere fino al 28.11.2002. In simmetria con le conclusioni valutative della sentenza il g.u.p. ha disposto il rinvio a giudizio degli attuali e di altri imputati, ad eccezione del M. uscito dal processo , escludendo il riferimento del reato associativo a fatti di appropriazione indebita e per le imputazioni concernenti i reati fine con riguardo alle condotte successive al 28.11.2002. Analoghe conclusioni ha adottato il g.u.p. in applicazione, in parte qua, dell'articolo 129 c.p.p. per la sentenza di applicazione della pena pronunciata nei confronti di più imputati”. 3. La citata sentenza numero 16362 del 2012 della VI Sezione di questa Corte Suprema ha rigettato i ricorsi del Procuratore Generale e del Procuratore della Repubblica di Milano, nonché quelli delle parti civili, contro la sentenza di proscioglimento emessa dal GUP meneghino all'esito dell'udienza preliminare. 4. In accoglimento dell'appello del P.M. e della parte civile TELECOM ITALIA s.p.a., la Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato l'odierno imputato colpevole del reato ascrittogli, condannandolo - operata la riduzione di rito - alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni accessorie, anche in favore della parte civile. 5. Avverso tale sentenza l'imputato con l'ausilio degli avv. F. CECCONI e L. FENIZIA, entrambi iscritti nell'apposito albo speciale, il primo già all'atto della redazione dell'odierno ricorso, il secondo solo in data successiva, come dallo stesso comunicato in udienza ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p. I - inosservanza e/o erronea applicazione degli articolo 646 e 648-bis c.p. e degli articolo 425, 648, 649, 650 c.p.p Il ricorrente lamenta che in più punti l'impugnata decisione sembra ritenere accidentale e superflua l'identificazione del reato costituente presupposto del contestato riciclaggio quasi fosse sufficiente ritenere la generica provenienza delittuosa della res che si assuma riciclata , e comunque che stenti ad individuarlo, solo in fine facendo in proposito riferimento alla appropriazione indebita del denaro versato nelle casse delle società inglesi WCS ed SRA, trascurando, peraltro, di considerare la conclusiva statuizione della Suprema Corte di cassazione, che ne aveva confermato l'insussistenza già ritenuta dal G.U.P. all'esito dell'udienza preliminare, valutando il medesimo compendio probatorio. Lamenta, inoltre, che ingiustificatamente non siano state considerate le deduzioni di cui alla propria memoria difensiva del 12 ottobre 2012 allegata al ricorso , con le quali era stata argomentata l'impossibilità di addivenire a conclusioni in contrasto con la sentenza intervenuta all'esito dell'udienza preliminare ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., non essendo stata ipotizzata la possibilità di una sua revoca, e dovendo essa, sulla scia di una condivisa giurisprudenza di merito, essere ritenuta dotata di efficacia preclusiva rebus sic stantibus, e risolvendosi, pertanto, “nel divieto per il giudice di riesaminare la regiudicanda sulla base del medesimo compendio probatorio già delibato”, ed era stato richiamato l'articolo 627, comma 3, c.p.p., ritenuto espressivo di un principio di ordine generale, valevole non soltanto per il giudice del caso specifico, ma anche per il giudice chiamato ad un apprezzamento incidentale in relazione al medesimo caso specifico, a sua volta tenuto ad “attenersi alla questione di diritto risolta e decisa dalla Corte Suprema”. Il giudizio formulato dalla sentenza numero 16362 del 2012 atteneva anche all'impossibilità di qualificare giuridicamente i fatti accertati come appropriazione indebita, laddove la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, avrebbe “opinato nomofilatticamente in modo del tutto antitetico, rispetto al principio di diritto legittimamente enunciato da codesta Suprema Corte, così svilendone . la portata e l'autorevolezza” la sentenza impugnata avrebbe, inoltre, riportato in maniera incompleta le argomentazioni poste a fondamento della decisione, omettendo “maliziosamente” f. 9 del ricorso di riportare passi asseritamente decisivi quanto alla ritenuta insussistenza dell'appropriazione indebita. D'altro canto, alla citata sentenza numero 16362 del 2012, pur emessa ai sensi dell'articolo 425 c.p.p. e quindi di per sé inidonea al giudicato formale, ai sensi dell'articolo 648 c.p.p., andrebbe comunque riconosciuta la propensione “a produrre gli effetti propri della cosa giudicata, nella sua accezione materiale e sostanziale, e ciò a prescindere dalla effettiva riconducibilità della medesima al novero delle pronunzie di merito”. Il ricorrente osserva, in proposito, che mai è stata ipotizzata, nel merito, l'evenienza della revoca della sentenza di proscioglimento per il delitto di appropriazione indebita, e che tale evenienza risulta comunque ormai impossibile, essendo maturato il termine di prescrizione ben prima della sentenza in questa sede impugnata alla sentenza del G.U.P. di proscioglimento degli imputati dalla appropriazione indebita de qua dovrebbe, quindi, essere riconosciuta efficacia di giudicato sostanziale. Cita a sostegno del proprio assunto Cass. Penumero , Sez. VI, sentenza numero 459 dell'8 novembre 1996, dep. 24 gennaio 1997, CED Cass. numero 207728. Osserva, infine, che il riconoscimento dell'efficacia di giudicato sostanziale alla sentenza di proscioglimento resa dal G.U.P. ex articolo 425 c.p.p. comporterebbe l'efficacia erga omnes della sentenza quanto all'affermata insussistenza del fatto-reato oggetto del giudizio, concludendo che “l'irrevocabile insussistenza del fatto-reato di appropriazione indebita, quale nella specie onnicomprensivamente contestato e giudicato e cioè anche negli episodi recuperati dalla Corte territoriale con la sentenza qui impugnata , esclude che esso possa fungere da ritenuto . presupposto del delitto di riciclaggio, oggetto del presente processo. In altri termini, il denaro proveniente da Pirelli - Telecom e corrisposto alle società WCS e SRA non era di provenienza illecita per un fatto delittuoso contro l'altrui patrimonio” II - inosservanza e/o erronea applicazione degli articolo 646 e 648-bis c.p. nonché III - mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle doglianze costituenti oggetto del II motivo. Il ricorrente premette, sulla base di ampi riferimenti giurisprudenziali, che, nella struttura del riciclaggio, il reato presupposto costituisce elemento fondamentale. Ciò premesso, lamenta che la Corte di appello, dopo avere escluso quale reato presupposto il prezzo della corruzione , non parlando “minimamente di una provenienza illegittima, in quanto derivante dalle modalità di acquisizione di talune di quelle informative, e cioè, in sintesi, dalla illegittimità delle intrusioni informatiche e soprattutto dalle operazioni di corruzione di pubblici funzionari. Su quest'aspetto, infatti, nulla è detto nella sentenza impugnata, benché il capo di imputazione faccia riferimento anche al prezzo del reato di corruzione quale eventuale altro reato presupposto con un termine, quello di prezzo cioè, usato però in modo assolutamente improprio, come messo in evidenza nelle varie memorie di questa difesa e come stigmatizzato nella stessa sentenza impugnata . Su tale aspetto, quindi, l'appello del P.M., che anche a tal tipo di reato presupposto aveva fatto riferimento, non è stato minimamente condiviso” ed altri reati fiscali ai quali la sentenza impugnata - f. 10 nota 24 - ha espressamente affermato di non intendere fare riferimento, come in realtà inevitabile atteso che gli stessi esulavano dalla contestazione , avrebbe individuato “la delittuosità presupposta in alcuni, sparuti, episodi di pagamento, rispetto ai quali vi sarebbe stato, a suo dire, un fenomeno appropriativo, anche se poi contraddittoriamente il G. è stato condannato per l'intero ammontare dei pagamenti di cui al capo 9 dell'imputazione, come se C. avesse compiuto appropriazioni indebite per tutte le operazioni da lui effettuate per conto di Pirelli - Telecom, il che, pure, pacificamente, non è stato nella stessa prospettazione accusatoria, al di là dell'invece onnicomprensiva contestazione. Orbene, gli sparuti episodi enucleati e recuperati in maniera assolutamente sommaria e neanche commentati dalla Corte territoriale erano stati, invece, ampiamente ed analiticamente valutati dal Giudice di primo grado, sia nella sentenza di assoluzione del Dott. G. sia, anche e soprattutto, nella sentenza di non luogo a procedere nei confronti degli ex coimputati C. ed altri”. Trattasi di episodi la cui rilevanza penale e la cui idoneità ad integrare gli estremi della inizialmente ipotizzata appropriazione indebita sono state sconfessate dalla fin qui più volte citata sentenza numero 16363 del 2012 della VI sezione di questa Corte Suprema. Inoltre, premessa la condivisione dell'orientamento espresso dalla Corte Suprema di cassazione con la sentenza CUSANI non condivisa dalla sentenza della Corte di appello, che erroneamente mostra di ritenerla isolata, poiché in realtà essa si inserisce in un orientamento ribadito da Cass. 10041 del 1998 e da una giurisprudenza di merito , il ricorrente passa a riepilogare i tratti salienti delle operazioni cui la sentenza impugnata attribuisce rilievo, per concludere che nessuna di esse era idonea ad integrare gli estremi del contestato reato di cui all'articolo 646 c.p., e quindi a fungere da reato presupposto del riciclaggio contestato all'odierno imputato, evidenziando, inoltre, la contraddizione insita nel fatto che, pur avendo la Corte di appello ammesso che talora f. 16 alle società WCS e SRA fossero state fatturate informazioni in relazione alle quali la distrazione appropriativa non appariva configurabile, dovendosi al contrario raffigurarsi un immediato e concreto interesse di PIRELLI e TELECOM, cionondimeno l'imputato era stato contraddittoriamente riconosciuto colpevole per l'intero ammontare corrisposto alle predette società inglesi, con ciò comprendendo anche tutte quelle operazioni per le quali la stessa Corte di appello aveva escluso la distrazione appropriativa IV - inosservanza e/o erronea applicazione degli articolo 43 e 648-bis c.p. nonché V - mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle doglianze costituenti oggetto del IV motivo. Il ricorrente premette che la sentenza impugnata mostra a più riprese di individuare nel c.d. dolo eventuale l'elemento psicologico del reato ascrittogli evidenzia, in fatto, che la propria responsabilità è stata conclusivamente ritenuta in relazione ai proventi di 8 sole operazioni sulle circa 4.000 svoltesi nel periodo passato al vaglio degli inquirenti, il che di per sé evidenzierebbe, al contrario, l'impossibilità di configurare una qualsiasi forma di dolo d'altro canto, le circostanze indicate dalla Corte di appello a sostegno del proprio assunto sono, a parere del ricorrente, prive di riscontro documentale f. 29 e 30 del ricorso ed è rimasto privo di adeguata motivazione anche il convincimento espresso dalla Corte di appello in ordine alla non attendibilità delle dichiarazioni liberatorie rese dal C. nei confronti del G. . Quanto al profilo più strettamente giuridico della non contestata compatibilità tra dolo eventuale e riciclaggio, il ricorrente, richiamato un recente arresto delle Sezioni unite di questa Corte Suprema, osserva che “l'accettazione del rischio deve riguardare non solo l'evento tipico costituito dall'ostacolo alla c.d. tracciabilità del denaro oggetto del reato, ma anche la provenienza delittuosa del denaro medesimo”, ed il necessario dolo eventuale “non può essere apoditticamente dedotto dalla sola verificazione dell'evento”, non potendo ritenersi che dalla mera constatazione di una difficoltà nella tracciabilità del denaro sia possibile “anche automaticamente desumere l'accettazione di qualsivoglia rischio in merito alla sua provenienza” ciò in quanto la struttura del dolo eventuale va necessariamente distinta da quella della colpa cosciente, inidonea ad integrare l'elemento soggettivo del riciclaggio. Aggiunge, in fatto, che proprio dalle considerazioni espresse dalla Corte di appello a f. 15-17 quanto all'individuazione di fatti appropriativi a cagione di un preteso interesse personale esclusivo del vertice apicale di Telecom - Pirelli emerge la necessità al contrario elusa di indicare gli elementi in base ai quali ritenere che il presunto riciclatore G. avesse avuto “una rappresentazione che l'informativa o il servizio reso, volta a volta fornita da C. , rispondesse solo ad un interesse personale del vertice apicale Telecom – Pirelli” ed infatti nessuna motivazione è stata opposta alle considerazioni di cui alla memoria allegata al ricorso depositata in data 12 ottobre 2012, attraverso le quali si mirava a dimostrare che, “se era praticamente impossibile, per lo stesso C. , riconoscere e valutare come esistente un interesse personale esclusivo altrui rispetto all'interpretazione fornita, con la richiesta stessa, dai settori interni della società richiedente a maggior ragione era impossibile che egli potesse riversare a G. ogni sua inesistente cognizione a riguardo. E inesistente doveva essere ogni possibilità di concreta rappresentazione da parte di C. dell'interesse personale esclusivo altrui, se è vero, come è vero, che non la generale attività di C. è stata ritenuta dalla Corte territoriale stessa integratrice del fenomeno appropriativo, ma solo talune sporadiche operazioni, rispetto alla cui conoscenza specifica la stessa Corte territoriale non è stata in grado di provare alcunché”. In presenza di siffatta situazione, vagliata nel senso dell'esclusione della rilevanza penale delle condotte de quibus “da un Magistrato della Repubblica in due separate sentenze”, il G. non avrebbe potuto rendersi conto della provenienza illecita ed appropriativa delle somme in oggetto, né accettarne il rischio. E non potrebbe individuarsi il reato presupposto del contestato riciclaggio in un reato fiscale, come la Corte di appello sembrerebbe voler fare, nella parte della sentenza impugnata che “attribuisce valenza al fatto che WCS e SRA avrebbero costituito meri schermi riciclatori di una evasione fiscale”, tenuto anzitutto conto che siffatto profilo esulava dalla contestazione in ordine alla quale l'imputato era stato tratto a giudizio, e comunque, in fatto, che la costituzione delle predette società era da ritenersi del tutto lecita peraltro, pur volendo argomentare in senso contrario, avendo l'imputato contribuito a costituirle, egli potrebbe al più essere ritenuto concorrente nel reato fiscale presupposto, non certo responsabile del conseguente riciclaggio VI - inosservanza e/o erronea applicazione dell'articolo 648-bis c.p. nonché VII - mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle doglianze costituenti oggetto del VI motivo. Omettendo ancora una volta di motivare in ordine alle prospettazioni oggetto della memoria depositata in data 12 ottobre 2012 ed allegata al ricorso , la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che ogni ulteriore attività che si pretendesse essere riciclatoria , in quanto attinente alla ulteriore movimentazione del denaro proveniente da Telecom - Pirelli, dopo il suo afflusso nelle casse delle società inglesi, non era stata attuata anche con la collaborazione specifica e consapevole dell'imputato, essendo dipesa dalla volontà esclusiva del C. , unico responsabile in concreto della sua effettuazione VIII - inosservanza e/o erronea applicazione degli articolo 110 e 648-bis c.p Secondo la prospettazione della pubblica accusa, le attività di investigazione poste in essere dal C. travalicavano l'oggetto sociale e societario di Telecom - Pirelli, ed “è con la costituzione di WCS, poi seguita a breve dall'analoga SRA, che tutte le informative sono apparse sovente fuori dell'oggetto sociale, donde la contestazione appropriativa” ciò premesso, essendosi ipotizzato che il G. aveva collaborato con C.E. , beneficiario economico, reale ed effettivo, delle predette società, alla costituzione delle stesse, ne conseguiva che il G. poteva essere imputato unicamente di concorso nelle appropriazioni indebite ascritte al C. . Anche su tale profilo la sentenza impugnata, trascurando le deduzioni difensive, è rimasta sostanzialmente silente, dedicandovi un mero cenno, ovvero “rifugiandosi in una soluzione basata sulla asserita inefficacia di un concorso morale, derivante dall'aiuto del lavaggio prestato dopo ma promesso prima” già sconfessata dalla Corte Suprema nell'ambito del subprocedimento cautelare. 5.1. Il ricorrente ha conclusivamente chiesto, nell'ordine - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, “ritenuta, se del caso, corretta la soluzione adottata con la precedente sentenza Cass. 20.09.2011, numero 16362, sull'insussistenza del reato presupposto di appropriazione indebita, come di ogni altro illecito penale che tale funzione avesse avuto” - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per inammissibilità di un secondo giudizio sul medesimo reato presupposto, “ritenuta, comunque, non superabile la preclusione derivante dall'esecutività erga riconoscibile alla sentenza del Gup di non luogo a procedere sul delitto presupposto di appropriazione indebita, confermata con la sentenza di codesta Suprema Corte, 20.09.2011, numero 16362” - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato, “ritenuta l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato di riciclaggio” - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, “ritenuta la mancanza di addebitabilità di qualsivoglia attività riciclatoria in capo all'imputato G. ” - l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, “ritenuta la configurabilità di un concorso materiale dell'imputato G. nel delitto presupposto di appropriazione indebita” - l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, “ritenuta la mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza del delitto presupposto, sulla sussistenza del fatto riciclatorio e/o sul relativo elemento psicologico”. 5.1.1. Ha allegato al ricorso le sentenze di primo e secondo grado emesse nei propri confronti, la sentenza di proscioglimento emessa dal GUP all'esito dell'udienza preliminare nei confronti di alcuni coimputati e la successiva sentenza della VI sezione di questa Corte Suprema numero 16362 del 2012, nonché un estratto delle dichiarazioni spontanee rese all'udienza 28 maggio 2012 e la memoria difensiva depositata il 12 ottobre 2012. 5.2. In data 28 ottobre 2013, il ricorrente ed i suoi difensori hanno depositato un atto contenente “motivi nuovi di ricorso”, che in realtà reitera ed amplia le argomentazioni già poste a sostegno dei motivi numero 1 e numero 3, 4, 5 del ricorso principale. 5.3. In data 13 novembre 2013 la parte civile Telecom Italia s.p.a. ha depositato una memoria di replica contenente argomentazioni a sostegno della ritenuta infondatezza del ricorso dell'imputato. 6. All'odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. Considerato in diritto L'imputato va assolto perché il fatto non sussiste la sentenza impugnata va, conseguentemente annullata senza rinvio. 1. Deve premettersi, con riferimento al III, al V ed al VII motivo, che non è denunciabile il vizio di motivazione con riferimento a questioni di diritto. 1.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema Sez. II, sentenze numero 3706 del 21. - 27 gennaio 2009, CED Cass. numero 242634, e numero 19696 del 20 - 25 maggio 2010, CED Cass. numero 247123 , anche sotto la vigenza dell'abrogato codice di rito Sez. IV, sentenza numero 6243 del 7 marzo - 24 maggio 1988, CED Cass. numero 178442 , il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano. E, d'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere solo dall'errata soluzione di una questione giuridica, non dall'eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione Sez. IV, sentenza numero 4173 del 22 febbraio - 13 aprile 1994, CED Cass. numero 197993 . Va, in proposito, ribadito il seguente principio di diritto “nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere soltanto dall'errata soluzione delle suddette questioni, non dall'indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta”. 1.2. Ne consegue che, nel giudizio di legittimità, il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito. 2. Deve, inoltre, ritenersi illegittima la sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria, affermi la responsabilità dell'imputato sulla base di una interpretazione alternativa, ma non maggiormente persuasiva, del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio Sez. II, sentenza numero 27018 del 27 marzo 2012, Urciuoli, CED Cass. numero 253407 Sez. VI, sentenza numero 20656 del 22 novembre 2011, dep. 28 maggio 2012, De Gennaro ed altro, numero m. sul punto . 2.1. Secondo il condivisibile insegnamento di questa Corte Suprema, la radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può, infatti, essere basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado, ma deve fondare su elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio immanente nella delineatasi situazione conflitto valutativo delle prove ciò in quanto il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, bensì la semplice non certezza - e, dunque, anche il dubbio ragionevole - della colpevolezza. In particolare, il principio secondo il quale la sentenza di condanna deve essere pronunciata soltanto se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio , formalmente introdotto nell'articolo 533, comma 1, c.p.p. dalla L. numero 46 del 2006, “presuppone comunque che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l'eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sullo stesso materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull'affermazione di colpevolezza” Sez. VI, sentenza numero 40159 del 3 novembre 2011, Galante, CED Cass. numero 251066 Sez. VI, sentenza numero 4996 del 26 ottobre 2011, dep. 9 febbraio 2012, Abbate ed altro, CED Cass. numero 251782 Sez. II, sentenza numero numero 27018 del 27 marzo 2012, Urciuoli, CED Cass. numero 253407 . Ai fini della riforma in appello di una assoluzione deliberata in primo grado non può ritenersi sufficiente la possibilità di addivenire ad una ricostruzione dei fatti connotata da uguale plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, che la ricostruzione in ipotesi destinata a legittimare - in riforma della precedente assoluzione - la sentenza di condanna sia dotata di “una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna, invero, presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza”. Deve, pertanto, ritenersi illegittima la sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria, affermi la responsabilità dell'imputato unicamente sulla base di una interpretazione alternativa, ma non maggiormente persuasiva, del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio. IL REATO PRESUPPOSTO NELLA STRUTTURA DEL RICICLAGGIO. 3. Il delitto di riciclaggio è configurabile ove ricorrano due presupposti essenziali, ovvero - dopo che fu commesso un altro delitto non colposo presupposto positivo - quando l'agente non sia concorso nel delitto non colposo anteriore presupposto negativo . 3.1. Per quanto riguarda il primo presupposto, non può, dunque, esservi “riciclaggio” senza che il fatto si ricolleghi ad un delitto non colposo anteriormente commesso. 3.1.1. La giurisprudenza più recente si è interrogata in ordine al grado di specificità con il quale deve essere individuato il delitto presupposto. È, in proposito, senz'altro dominante l'orientamento formatosi in relazione al delitto di ricettazione, che peraltro presenta in parte qua struttura analoga al riciclaggio per il quale il delitto presupposto dalla ricettazione [e dal riciclaggio] non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso Sez. I, sentenza numero 29486 del 26 giugno 2013, CED Cass. numero 256108 nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito secondo il quale il delitto presupposto doveva ritenersi provato dalla circostanza che un'arma da guerra non può costituire oggetto di lecito scambio tra privati . L'affermazione della responsabilità per il delitto di ricettazione [e di riciclaggio] non richiede l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell'esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l'esistenza attraverso prove logiche Sez. II, sentenza numero 29685 del 5 luglio 2011, CED Cass. numero 251028 nella specie, la Corte ha ritenuto congruamente provato il delitto presupposto di furto di documenti provenienti da archivi di Stato, in base alle convergenti dichiarazioni di esperti, pur se le denunce di furto erano state presentate successivamente al sequestro dei documenti . 3.1.2. Non è, pertanto, necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato basta come già chiarito dalla dottrina più autorevole e dalla giurisprudenza in relazione al delitto di ricettazione che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo, e che il giudice procedente per la ricettazione o per il riciclaggio abbia potuto riconoscere, per quanto interessa il giudizio attuale, la sussistenza del delitto stesso cfr. in argomento, fra le tante, nell'ambito di un orientamento ormai consolidato, Cass. penumero , 16 febbraio 1950, Grassi, naturalmente in tema di ricettazione, in Giust. penumero 1950, II, 738 . Venendo meno il presupposto positivo del delitto di ricettazione o riciclaggio , l'imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste, poiché “esula il delitto di ricettazione allorché sia stato dichiarato inesistente il delitto nel fatto da cui le cose provengono, o sia stata esclusa la sussistenza del fatto stesso ma non allorché l'imputato del delitto principale sia stato assolto per insufficienza di prove o per non aver commesso il fatto” Cass. penumero 24 ottobre 1923, in Giust. penumero 1924, 359 . 3.1.3. Deve, conclusivamente, affermarsi il seguente principio di diritto “In tema di riciclaggio, non è necessario che la sussistenza del delitto non colposo presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo, e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza in difetto, venendo meno uno dei presupposti del delitto di riciclaggio, l'imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste”. 3.1.4. Con riferimento al caso in cui il reato presupposto sia, per qualsiasi causa, estinto, l'articolo 170, comma 1, c.p. espressamente stabilisce che “Quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all'altro reato”. L'estinzione per prescrizione del delitto non colposo presupposto di appropriazione indebita, invocata dalle difese del ricorrente, sarebbe, pertanto, priva di effetti sulla configurabilità del contestato riciclaggio. 3.1.5. Nel caso di specie, la contestazione dalla quale l'imputato era stato chiamato a difendersi indicava specificamente ed esclusivamente due soli reati-presupposto, ovvero l'appropriazione indebita di cui al capo 9 contestato ad altri imputati ed il prezzo della corruzione conviene su tale premessa la sentenza impugnata, a f. 2 . Ne consegue che la Corte di appello non avrebbe potuto individuare come presupposto del riciclaggio contestato al G. un diverso reato ed infatti nella motivazione della sentenza impugnata si prende atto, in proposito, espressamente, e correttamente, di non poter considerare come tale reato fiscale f. 10, nt. 24 . 3.1.6. Ai fini della materialità del delitto contestato, andava, pertanto, in primis verificata la sussistenza del presupposto positivo, ovvero la configurabilità del delitto non colposo precedentemente commesso, da cui derivava la cosa da riciclare. E correttamente il primo giudice aveva dedicato al problema una ampia disamina, con metodologia assolutamente condivisibile, giungendo - come si vedrà - a conclusioni assolutamente corrette ingiustificate appaiono, pertanto, le aspre censure, accompagnate da reiterati giudizi, talora di tipo metagiuridico, francamente inopportuni, che la Corte di appello ha riservato sia alla prima che alle seconde. 3.1.7. Né risultava possibile superare il problema della configurabilità o meno dell'appropriazione indebita presupposta o di altro delitto non colposo presupposto valorizzando la generica accettazione, da parte dell'imputato, del rischio della provenienza delittuosa del denaro de quo così la sentenza impugnata, in particolare a f. 12, e f. 13 dove si legge che l'imputato “ha agito accettando il rischio che gli stupefacenti flussi finanziari trovassero causa in uno o più delitti” , perché trattasi di profilo che attiene al dolo di riciclaggio. Prima di valutare la configurabilità del necessario elemento psicologico, occorreva verificare la configurabilità - anche generica - di un delitto presupposto, indispensabile ai fini della materialità del reato di riciclaggio. In difetto, e valorizzando - come talora mostra di voler fare la Corte di appello in particolare a f. 12 - la mera accettazione del rischio della provenienza illecita del denaro, disinteressandosi della preventiva configurabilità o meno del delitto-presupposto, si finirebbe con l'addivenire alla condanna dell'imputato per un reato putativo articolo 49 c.p. “Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato” , considerando sufficiente ai fini dell'affermazione di responsabilità che il G. ritenesse, oppure avesse accettato il rischio, di riciclare somme di provenienza illecita, che, in realtà, tali non erano. Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto “Integra gli estremi del reato putativo, non punibile ai sensi dell'articolo 49, comma 1, c.p., la condotta di chi abbia agito ritenendo, od accettando il rischio, di riciclare somme di denaro provenienti da delitto non colposo, quando quest'ultimo risulti in realtà insussistente”. LA PRESUNTA EFFICACIA PROCESSUALE VINCOLANTE DELLA SEPARATA DECISIONE DELLA SENTENZA numero 16362/2012 DELLA VI SEZIONE DI QUESTA CORTE SUPREMA. 4. Le difese hanno insistentemente, e con enfasi, sostenuto che alla sentenza numero 16362 del 2012 della VI Sezione di questa Corte Suprema, che aveva confermato l'esclusione della sussistenza della appropriazione indebita costituente, alla stregua della contestazione, reato presupposto del riciclaggio contestato al G. , andrebbe riconosciuta - nel presente procedimento - efficacia vincolante. La VI Sezione f. 48 aveva, in proposito, confermato il proscioglimento deliberato ex articolo 425 c.p.p. dal G.U.P. all'esito dell'udienza preliminare, osservando, tra l'altro, che “le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, oltre ad apparire frutto di commendevole approfondito esame delle risultanze processuali, sono adeguatamente motivate sul piano logico e giuridico. In questa oggettiva constatazione trova una prima causa la prolungata enunciazione descrittiva, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, degli articolati passaggi con cui la sentenza del G.U.P., davvero di particolare ampiezza, è giunta ad affermare l'insussistenza dei fatti di appropriazione indebita aggravata contestati agli imputati . . Passaggi e vantazioni delle risultanze probatoria dotati di intrinseca coerenza e, per dir così, autosufficienza dimostrativa dei propri coefficienti logico-giuridici”. L'assunto è, peraltro, privo di fondamento. 4.1. Deve premettersi che non esiste nell'ordinamento processuale alcuna disciplina in ordine alla efficacia del giudicato penale nell'ambito di un altro procedimento penale, a differenza di quanto avviene nei rapporti tra processo penale e giudizio civile, amministrativo e disciplinare. Invero, l'articolo 2 c.p.p. dispone unicamente che il giudice penale, salvo che non sia diversamente stabilito, risolve ogni questione da cui dipende la decisione comma 1 , e che la decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione anche penale non ha efficacia in nessun altro processo. E l'articolo 479 c.p.p. consente la sospensione del processo penale per pregiudizialità unicamente per il caso di controversie civili o amministrative, non anche penali. D'altro canto, l'articolo 238-bis c.p.p. consente l'acquisizione in dibattimento di sentenze divenute irrevocabili tra le quali non potrebbe comunque rientrare una sentenza emessa ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., che non ha attitudine al giudicato, potendo sempre essere revocata , ma dispone che siano valutate a norma degli articolo 197 e 192, comma 3, stesso codice. Per tale ragione, questa Corte Suprema ha già ritenuto, ad esempio, che “Non è automaticamente configurabile il delitto di calunnia a carico dell'accusatore per effetto dell'intervenuta sentenza irrevocabile di proscioglimento nel merito della persona ingiustamente incolpata, che va valutata autonomamente e liberamente nel giudizio per la calunnia” Sez. VI, sentenza numero 14096 del 16 gennaio 2007, CED Cass. numero 236142 . 4.2. Resta salva, a parere del collegio, la possibilità della revisione per contrasto di giudicati, prevista dall'articolo 630, comma 1, lett. a , c.p.p. “La revisione può essere richiesta a se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale” . Ed invero, evidenti considerazioni di economia processuale dovrebbero indurre ad attribuire rilievo anche prima del giudicato, a quello che potrebbe assumere rilievo, ex articolo 630, comma 1, lett. a , c.p.p. dopo il giudicato. Tuttavia, la separata sentenza penale irrevocabile che potrebbe legittimare, nel caso indicato, la revisione e potrebbe quindi assumere rilievo, nel procedimento che potrebbe essere suscettibile di revisione, anche prima del giudicato deve aver costituito oggetto di giudicato in senso formale il riferimento testuale dell'articolo 630 c.p.p. alla “irrevocabilità” della sentenza che può legittimare la revisione, esclude la possibilità di attribuire rilevanza alle sentenze di non luogo a procedere emesse ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., come anticipato prive di attitudine al giudicato in senso formale perché sempre suscettibili di revoca a seguito di riapertura delle indagini preliminari. 4.3. D'altro canto, questa Corte Suprema ha da tempo chiarito che, in materia di giudicato penale, anche il principio del ne bis in idem è posto dal legislatore con esclusivo riferimento alle decisioni giurisdizionali adottate a carico dell'imputato che siano connotate dal requisito della irrevocabilità, requisito da ritenersi assente per la sentenza di non luogo a procedere per quanto dettato dall'articolo 434 del codice di procedura penale che ne disciplina la revoca ed invero, nell'ordinamento processuale vigente, la sentenza di non luogo a procedere , sconosciuta in quello abrogato, è concettualmente distinta da quella di proscioglimento alla quale esclusivamente, oltre che per quella di condanna, fa riferimento l'articolo 649 che pone il divieto di un secondo giudizio a carico della stessa persona per il medesimo fatto Sez. III, sentenza numero 3513 del 18 gennaio 1994, CED Cass. numero 197101 . 4.4. Ulteriore conferma in tal senso viene anche, ineludibilmente, dai commi 8 e 9 dell'articolo 669 c.p.p. che, in tema di pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, non attribuiscono prevalenza, tra le decisioni più favorevoli ritenute di norma prevalenti , alle sole sentenze di non luogo a procedere, rispetto alle quali, al contrario, privilegiano la decisione meno favorevole dotata del carattere dell'irrevocabilità. 4.5. Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto “Non può essere automaticamente esclusa la configurabilità del delitto di riciclaggio per effetto dell'intervenuta sentenza di non luogo a procedere, confermata in sede di legittimità, in ordine al delitto non colposo da cui si assuma provengano le cose riciclate, trattandosi di sentenza non irrevocabile”. Va, conseguentemente, negata l'efficacia vincolante, nel presente procedimento, della sentenza numero 16362 del 2012 della VI Sezione di questa Corte Suprema, cui poteva essere unicamente riconosciuta efficacia documentale ex articolo 234 c.p.p., oltre che ordinaria efficacia non vincolante di precedente. L'INESISTENZA DEI REATI PRESUPPOSTO DELLE CONTESTATE CONDOTTE DI RICICLAGGIO. 5. In virtù dei rilievi di cui ai pp. 3 ss. e 4 ss. di queste Considerazioni in diritto, occorre, quindi, preliminarmente valutare, con autonomo giudizio, se sussista il presupposto positivo del reato contestato, ovvero se siano configurabili i delitti non colposi che dovrebbero, alla stregua della contestazione, costituirne il presupposto. 6. Con riguardo all'appropriazione indebita, il collegio condivide le conclusioni - di puro diritto e quindi non inficiate dalla diversità dei riti, come al contrario, ed ancora una volta non condivisibilmente, ritiene la Corte di appello - cui è pervenuta la sentenza numero 16362 del 2012 della VI Sezione di questa Corte Suprema quanto alla non configurabilità del reato. 6.1. Il P.M. aveva ipotizzato il concorso di alcuni imputati in una serie di appropriazioni indebite pluriaggravate e continuate articoli 110, 646, 61 numeri 7 ed 11 e numero 2, 81 comma 2 c.p. , consistite in particolare nell'appropriazione del corrispettivo di operazioni di investigazione simulatamente compiute da alcune società di diritto estero riconducibili ad alcuni degli imputati. 6.1.1. Il G.U.P., richiamando l'orientamento giurisprudenziale per il quale non commette appropriazione indebita il dirigente di una società che utilizzi le risorse finanziarie sociali per scopi che, sebbene in tutto od in parte illeciti, perseguono comunque in modo diretto od indiretto interessi della società o dei suoi vertici amministrativi e dirigenziali, aveva disposto il proscioglimento degli imputati da tali accuse perché il fatto non sussiste. 6.1.2. Il P.M., richiamando altro, meno recente, orientamento giurisprudenziale a parere del quale integra il reato di cui all'articolo 646 c.p. la condotta di un amministratore o dirigente di società che, costituendo riserve pecuniarie occulte fuori bilancio, le distragga in favore di terzi per fini illeciti ed avulsi dall'oggetto sociale e dalle finalità aziendali , aveva censurato il proscioglimento osservando che i servizi di sicurezza interna ed esterna remunerati da PIRELLI e TELECOM esulavate dall'oggetto sociale delle due società, e che l'attività di informazione e security svolta dagli imputati costituiva in realtà frutto di dissimulazione in rapporto ad esigenze create ad arte, in esecuzione di un accordo finalizzato a depauperare a proprio profitto le due società. 6.2. Deve convenirsi con la sentenza numero 16362 del 2012 più volte citata che la soluzione della questione richiede, in realtà, la corretta definizione della condotta di appropriazione ascritta agli imputati e la apprezzabilità delle nozioni di “interesse sociale”, “oggetto sociale”, “scopo sociale”. 6.2.1. Quanto a queste ultime, invero, ai sensi dell'articolo 2328 c.c., deve ritenersi che la nozione di oggetto sociale altro non è che il modulo definitorio delle attività di impresa per cui un determinato ente societario è stato costituito, ed individua, quindi, l'ambito dell'attività aziendalistica della società ed il presupposto della sua stessa esistenza nel mondo del diritto, differenziandosi dalle nozioni di “interesse sociale” e “scopo sociale” le quali, in un particolare momento storico, possono involgere la società ed i suoi vertici gestionali, siano gli stessi sovrapponibili o non agli obiettivi imprenditoriali che qualificano l'attività produttiva di beni o servizi. D'altro canto, la stessa giurisprudenza civile ha da tempo chiarito che, in tema di società di capitali, “l'eccedenza dell'atto rispetto ai limiti dell'oggetto sociale, ovvero il suo compimento al di fuori dei poteri conferiti, non integra un'ipotesi di nullità dell'atto medesimo, ma, al più, di inefficacia e di inopponibilità nei rapporti con i terzi e posto che è rimesso alla società, e solo ad essa, di respingere gli effetti dell'atto, deve correlativamente essere riconosciuto alla società il potere di assumere ex tunc quegli effetti, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell'amministratore. Ne deriva che ogni questione relativa alla estraneità dell'atto compiuto dall'amministratore rispetto all'oggetto sociale è da ritenersi irrilevante a seguito e per effetto dell'adozione di una delibera di autorizzazione preventiva adottata dalla società, posto che tale delibera impegna la società medesima alla condotta di essa esecutiva e ad essa conforme posta in essere dall'organo di gestione, idonea o meno che sia rispetto al perseguimento dell'oggetto sociale Cass. civ., Sez. I, sentenza 15 aprile 2008 numero 9905 conformi, Sez. I, sentenza 2 settembre 2004 numero 17678, e Sez. lav., sentenza 17 settembre 2009 numero 20035 . Il principio ora richiamato discende dal rilievo che, se l'inefficacia dell'atto estraneo all'oggetto sociale è prevista dal legislatore quale conseguenza del regime della rappresentanza, qualora il rappresentato previamente o successivamente con la ratifica faccia proprio l'atto del rappresentante, non può esservi lesione dell'interesse tutelato e non può porsi il problema dell'inefficacia dell'atto nei confronti del terzo. 6.2.2. Ciò premesso, deve concludersi che la condotta tenuta in concorso dai dirigenti della s.p.a. interessata e dai terzi fornitori di servizi informativi e di security, svolti anche con modalità illecite, costituenti oggetto di commesse proposte in seno alla società dai dirigenti, e liquidate ai terzi fornitori nel rispetto delle regole di contabilità e di spesa societarie, non integra - nel casi di specie - il delitto di appropriazione indebita aggravata da abuso di relazioni di lavoro, poiché la nozione di “appropriazione” che integra la materialità del delitto di cui all'articolo 646 c.p. non coincide con quella di “distrazione” “ad integrare la prima . assume valore non l'oggetto sociale della società di capitali, ma l'interesse e l'utilità aziendali diretti o indiretti, a nulla rilevando che questi siano stati raggiunti dai terzi fornitori extranei rispetto ai dirigenti interni mediante la commissione di reati”. Ed, in difetto - come nella specie - della prova del previo accordo tra dirigenti e fornitori, e del connesso dolo specifico che dovrebbe consistere nella concreta ed oggettiva finalità di spoliazione del patrimonio sociale , “il dimostrato conseguimento, diretto o indiretto, o anche putativo, di un interesse o di una utilità della società esclude l'ingiustizia del profitto”, e, con essa, la stessa configurabilità del delitto di appropriazione indebita. È quindi “idonea ad integrare il reato di cui all'articolo 646 c.p. soltanto un'appropriazione in senso stretto con immanenti esiti ablativi appropriazione-espropriazione , corrispondente ad una condotta uti dominus che violi il titolo del possesso-disponibilità, di guisa che il perseguimento dell'interesse sociale con mezzi costituenti reato non può realizzare, sotto i profili soggettivo ed oggettivo, il reato punito dagli articolo 646 e 61 numero 11 c.p.” così la sentenza numero 16232 del 2012 . 6.2.3. È opportuno precisare che detto orientamento, in passato contestato da una isolata decisione Sez. II, sentenza numero 5136 del 4 aprile 1997, CED Cass. numero 208059 , può ritenersi ormai senz’altro dominante nel medesimo senso si sono,, infatti, già espresse Sez. V, sentenza numero 1245 del 21 gennaio 1998, CED Cass. numero 210031 Sez. V, sentenza numero 10041 del 13 giugno 1998, CEd Cass. numero 211393. La prima sentenza CUSANI affermò che la creazione di riserve occulte e l'utilizzazione extrabilancio di fondi sociali non sono di per sé sufficienti ad integrare il delitto di appropriazione indebita deve infatti escludersi che possa essere qualificata come distrattiva, e tantomeno come appropriativa, un'erogazione di danaro che, pur compiuta in violazione delle norme organizzative della società, risponda a un interesse riconducibile anche indirettamente all'oggetto sociale è da ritenersi, infatti, che per aversi appropriazione sia necessaria una condotta che non risulti giustificata o giustificabile come pertinente all'azione o all'interesse della società, in quanto può accadere che una persona giuridica, attraverso i suoi organi, persegua i propri scopi con mezzi illeciti, senza che ciò comporti di per sé l'interruzione del rapporto organico. Da ciò consegue che né il versamento dei fondi extrabilancio su conti non formalmente riconducibili alla società ne1 la destinazione di tali fondi al perseguimento con mezzi illeciti degli interessi sociali integrano gli estremi dell'appropriazione indebita, fermo restando comunque che il gestore di tali occulte riserve deve ritenersi gravato da un rigoroso onere di provarne l'effettiva destinazione allo scopo predetto. Fattispecie in tema di finanziamenti illeciti a partiti politici nell'occasione la Corte ha precisato che l'appropriazione indebita è invece configurabile, e concorre pertanto con il delitto di cui all'articolo 7 L. 2 maggio 1974, numero 195, allorché l'illecito finanziamento di partiti politici con fondi occulti sia erogato nell'interesse personale ed esclusivo dell'amministratore . La seconda sentenza ALTISSIMO ed altri affermò che non è configurabile il reato di appropriazione indebita a carico di amministratori sociali i quali costituiscano fondi extrabilancio solo formalmente non riconducibili alla società e li utilizzino per il perseguimento,sia pure con mezzi illeciti quali,nella specie,il finanziamento occulto a partiti politici ,di fini non estranei agli interessi sociali. 6.3. Vanno, pertanto, ribaditi i seguenti principi di diritto CED Cass. nnumero 256618 -9 “Non integra il delitto di appropriazione indebita in danno di una società per azioni l'erogazione di somme di denaro effettuata dai suoi dirigenti in favore di soggetti terzi, nel rispetto delle regole contabili e di spesa interne, quale corrispettivo di servizi informativi e di sicurezza effettivamente resi e funzionali, direttamente o indirettamente, alla tutela di interessi della società, a nulla rilevando che i predetti servizi siano stati espletati mediante condotte delittuose”. “In tema di appropriazione indebita in danno di una società, il dolo specifico consistente nella finalità di procurarsi un ingiusto profitto attraverso condotte dispositive uti dominus del patrimonio sociale è incompatibile con il perseguimento in via diretta o indiretta, o anche solo putativa di un interesse societario da parte dell'agente”. 6.4. Come osservato anche dal P.G. di udienza, l'aver negato efficacia vincolante alla sentenza numero 16362/2012 cit. non comporta che essa debba essere considerata tamquam non esset nel presente giudizio. Per discostarsi dalle sue conclusioni occorreva valorizzare una serie di elementi fattuali in ipotesi estranei alle valutazioni da essa operate, e suscettibili di indurre a conclusioni diverse, ovvero idonei a dimostrare che le operazioni di dossieraggio et c. de quibus fossero in concreto estranee agli individuati interessi di TELECOM -PIRELLI, ma la Corte di appello, pur all'esito di una approfondita disamina delle acquisite risultanze, non ne ha evidenziati, enunciando l'assunto in via meramente assertiva lo ha evidenziato anche il P.G. di udienza , il che - anche valorizzando i contrari rilievi fattuali contenuti nella sentenza di primo grado - legittima in questa sede la conclusione che tali elementi siano, in realtà, insussistenti. Pertanto, in presenza del medesimo quadro fattuale, non può che addivenirsi alle medesime conclusioni in diritto quanto alla insussistenza della ipotizzata appropriazione indebita. 6.4.1. In argomento, la memoria della parte civile TELECOM s.p.a. si limita ad osservare che la riconducibilità o meno delle illecite operazioni de quibus ad un interesse societario è questione di fatto, come tale “rimessa al solo apprezzamento del giudice di merito e sottratta al giudizio di legittimità” f. 6 , omettendo di considerare che, come premesso nei pp.2 ss. di queste Considerazioni in diritto, la reformatio in pejus in appello della sentenza di assoluzione emessa in primo grado è legittima soltanto nel caso in cui la responsabilità dell'imputato sia affermata sulla base di una interpretazione alternativa e maggiormente persuasiva, del medesimo compendio probatorio valutato dal giudice di primo grado, cosa nel caso di specie non avvenuta, per le ragioni in precedenza indicate. 6.5. Ne consegue che, pur non dovendo per le ragioni indicate nei pp. 4 ss. di queste Considerazioni in diritto riconoscersi efficacia vincolante nel presente procedimento alla sentenza della VI Sezione numero 16362 del 2012, nondimeno i principi di diritto dalla stessa espressi vanno condivisi e ribaditi, e comportano la non configurabilità, ovvero l'insussistenza, dell'appropriazione indebita costituente uno dei reati-presupposto del riciclaggio contestato al G. . 7. La contestazione evocava anche un ulteriore delitto non colposo quale presupposto del riciclaggio, indicato f. 2 della sentenza impugnata “nel prezzo della corruzione di pubblici ufficiali”. 7.1. Già dall'articolato riepilogo dei principali passi della motivazione della sentenza di primo grado, operato nella sentenza impugnata, emerge la marginalità del riferimento a detta ipotesi di corruzione, in difetto di congrui elementi che ne confermassero la configurabilità “l'imputazione delle somme al prezzo della corruzione . al giudice appare incongrua per la valenza semantica della locuzione prezzo, perché la stessa ricostruzione della vicenda processuale esclude che vi possa essere stata da parte di G. un'attività riciclatoria con riguardo alle somme corrisposte dal duo T. - C. ai molteplici pubblici ufficiali corrotti. Qualora il riferimento al concetto di prezzo si volesse intendere quale profitto o prodotto nel senso di vantaggio ottenuto dal C. per aver venduto a PIRELLI e TELECOM investigazioni realizzate con metodi illegali, si realizzerebbe un'inammissibile mutamento di contestazione” f. 5 della sentenza impugnata . 7.2. Ed in proposito, così la sentenza impugnata f. 6 riepiloga le doglianze del P.M. appellante “ . l'appellante fa seguire la critica alle conclusioni della sentenza sul tema del prezzo della corruzione dei pubblici ufficiali, dal giudice sostanzialmente eluso sul rilievo della violazione del principio di contestazione fissato all'articolo 521 c.p.p Se anche non fosse pertinente il nomen juris di prezzo del reato contenuto nel capo d'imputazione, il giudice avrebbe comunque dovuto procedere a qualificare giuridicamente la condotta, compiutamente e chiaramente descritta in fatto, considerando che i fondi finalizzati a retribuire i pubblici ufficiali rappresentavano il prezzo del reato di corruzione”. 7.3. Ciò premesso, deve rilevarsi che, come evidenziato anche dal P.G. di udienza, pur in difetto di una formale assoluzione parziale dall'accusa di riciclaggio di somme di denaro provenienti dall'ipotizzata corruzione, la Corte di appello non dedica all'argomento nessun rilievo. Con ciò, in tutta evidenza, la Corte di appello mostra di voler pervenire all'affermazione di responsabilità del G. unicamente in relazione all'accusa di riciclaggio di somme di denaro provenienti dall'ipotizzata appropriazione indebita. Deve, infatti, darsi atto, come rileva il ricorrente, che la Corte di appello non parla “minimamente di una provenienza illegittima, in quanto derivante dalle modalità di acquisizione di talune di quelle informative, e cioè, in sintesi, dalla illegittimità delle intrusioni informatiche e soprattutto dalle operazioni di corruzione di pubblici funzionari. Su quest'aspetto, infatti, nulla è detto nella sentenza impugnata, benché il capo di imputazione faccia riferimento anche al prezzo del reato di corruzione quale eventuale altro reato presupposto con un termine, quello di prezzo cioè, usato però in modo assolutamente improprio, come messo evidenza nelle varie memorie di questa difesa e come stigmatizzato nella stessa sentenza impugnata . Su tale aspetto, quindi, l'appello del P.M., che anche a tal tipo di reato presupposto aveva fatto riferimento, non è stato minimamente condiviso”. 7.4. Ne consegue che in argomento, in difetto dell'impugnazione della parte pubblica, nessun ulteriore rilievo è dovuto in questa sede. 8. In conclusione, dovendo ritenersi già esclusa la configurabilità, come reato presupposto del contestato riciclaggio, della corruzione, e non potendo incidentalmente ritenersi la configurabilità dell'altro reato presupposto, perché insussistente, l'imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste. La sentenza impugnata va, conseguentemente, annullata senza rinvio. 8.1. Detta statuizione assorbe gli ulteriori motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.