Il giudice di secondo grado può motivare per relazione, ma solo se in appello vi è stata la riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice.
A ribadirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza numero 49785/2012, depositata il 21 dicembre, la quale ha precisato che sussiste vizio di motivazione se nell’appello vengono fatte specifiche censure sulle soluzioni adottate dal giudice di primo grado. Il caso. Tre uomini venivano condannati per il reato di falso ideologico in atto pubblico. Uno di loro aveva istigato gli altri due, rispettivamente sindaco e direttore generale di un comune del sud-Italia, ad emettere, nell’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione che rappresentavano, un provvedimento di annullamento di una contravvenzione elevata ai suoi danni. A ricorrere per la cassazione della sentenza sono i difensori dell’istigatore e del sindaco. I giudici di appello non hanno argomentato sulle precise doglianze dei ricorrenti La S.C. ha ritenuto fondato, con valore assorbente di tutti gli altri, il primo motivo di entrambi i ricorsi, con cui si lamenta il carattere meramente apparente della motivazione del provvedimento impugnato. I giudici di secondo grado, secondo i ricorrenti, avrebbero omesso di argomentare sulle precise doglianze avanzate dalle difese, recependo acriticamente, attraverso la tecnica del rinvio, la motivazione posta a fondamento della pronunzia di primo grado. il vizio di motivazione è reale. La Cassazione precisa che, un conto è la riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, un altro è la specifica censura delle soluzioni adottate dal giudice di primo grado, da parte dell’appellante. Nel primo caso, infatti, il giudice può motivare per relazione, nel secondo, invece, sussiste il vizio di motivazione articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p. , «se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull’inadeguatezza od inconsistenza dei motivi di impugnazione». La sentenza impugnata, dunque, viene annullata con rinvio alla Corte d’appello, che dovrà attenersi ai principi affermati dalla Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 ottobre – 21 dicembre 2012, numero 49785 Presidente Zecca – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 giugno 2011 la Corte d'appello di Potenza confermava, per quanto qui d'interesse, la condanna di B.V.B. e A.M. per il reato di falso ideologico in atto pubblico commesso in concorso tra loro e con Z.M.C. non ricorrente . In particolare la Corte distrettuale riconosceva che il B. avrebbe istigato l'A. ed lo Z. - rispettivamente sindaco e direttore generale del comune di omissis - ad emettere, nell'esercizio del potere di autotutela dell'amministrazione che rappresentavano, un provvedimento di annullamento di una contravvenzione elevata ai suoi danni, nella cui parte motiva venivano indicate circostanze false al fine di giustificare la sua adozione. 2. Avverso la sentenza ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori, sia il B. che l'A. . 2.1 Il ricorso presentato nell'interesse del B. articola sei motivi. Con il primo si lamenta la mera apparenza della motivazione della decisione impugnata, rilevandosi come la Corte territoriale si sarebbe limitata a manifestare condivisione per le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, meramente richiamate nel corso della sentenza in assenza di alcun vaglio critico delle medesime e senza l'apporto di contenuti idonei a dimostrare l'autonoma elaborazione della materia processuale. Non di meno i giudici d'appello avrebbero omesso di valutare la controversa questione relativa all'effettiva datazione del reato, pur ampiamente affrontata con i motivi d'appello. 2.2 Con il secondo motivo si deduce l'erronea applicazione della legge penale in merito al riconoscimento dell'imputato quale concorrente morale nel reato. In proposito, secondo il ricorrente, la Corte territoriale - peraltro limitandosi ancora una volta a rinviare per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado - avrebbe in particolare dedotto il ruolo di istigatore attribuito all'imputato esclusivamente dal fatto che il falso sarebbe stato posto in essere nel suo solo interesse e che il B. , dopo la sua adozione, si fosse servito del provvedimento ideologicamente falso nella sua corrispondenza con l'ufficio che aveva elevato la contravvenzione al fine di paralizzare la procedura di riscossione, senza però individuare l'effettivo contributo causale prestato dal medesimo alla consumazione del reato come invece necessario per poter affermare la sua responsabilità concorsuale. 2.3 Con il terzo motivo viene denunciata analoga violazione della legge penale in merito all'affermata qualificazione del fatto come falso ideologico in atto pubblico ex articolo 479 c.p Per il ricorrente infatti la carenza assoluta in capo agli autori materiali del potere di adottare l'atto oggetto dell'imputazione ed il fatto che questo fosse addirittura privo di data e di numero di protocollo evidenzierebbero la grossolanità del falso, nonché la sua innocuità in relazione ai beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, configurandosi conseguentemente un'ipotesi di reato impossibile erroneamente non rilevata dai giudici d'appello. 2.4 Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l'erronea applicazione dell'articolo 158 c.p. e vizi motivazionali della sentenza in ordine all'accertamento del tempus commissi delicti e della conseguente individuazione del momento di decorrenza del termine prescrizionale, rilevando come all'indeterminatezza della datazione del reato risultante dal capo d'imputazione i giudici del merito avrebbero reagito collocando l'epoca della sua consumazione in maniera arbitraria ed immotivata in un tempo compreso tra la notifica della contravvenzione e l'utilizzo dell'atto falso, senza confrontarsi in alcun modo con il fatto - puntualmente rilevato con i motivi d'appello - che quest'ultimo poteva essere stato utilmente redatto dall'A. e dallo Z. solo nel periodo in cui essi avevano ricoperto le rispettive cariche nell'amministrazione comunale di OMISSIS e cioè dal 5 maggio ai 31 dicembre 2003, date che in ogni caso avrebbero già determinato la sopravvenuta prescrizione del reato. 2.5 Con il quinto motivo il ricorrente lamenta vizi motivazionali della sentenza in merito al mancato accoglimento, in violazione dell'articolo 603 c.p.p., dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale avanzata con i motivi d'appello e ad oggetto l'accertamento dell'effettivo consegnatario della notifica della contravvenzione, ritenuta prova decisiva per stabilire l'effettiva conoscenza legale da parte del B. della stessa e dunque la preesistenza all'adozione del provvedimento di autotutela del suo effettivo interesse alla consumazione del falso. 2.6 Con il sesto ed ultimo motivo viene infine dedotta la violazione dell'articolo 192 c.p.p. in ordine alla vantazione della prova di colpevolezza dell'imputato, rilevandosi in proposito come la stessa sia stata fondata dalla Corte territoriale esclusivamente su mere presunzioni delle quali per di più la sentenza non fornisce, come richiesto dalla norma menzionata, idonea giustificazione non avendo dato conto del percorso argomentativo seguito nella formazione del proprio convincimento. 3. Il ricorso dell'A. articola invece quattro motivi. Il primo sostanzialmente solleva le identiche doglianze del corrispondente motivo del ricorso del B. . Con il secondo motivo viene invece censurata la motivazione della sentenza impugnata in merito all'affermato concorso nella consumazione del reato dell'imputato, il contributo del quale non sarebbe stato identificato dalla Corte territoriale, che non avrebbe altresì spiegato per quali ragioni il visto apposto in calce al provvedimento oggetto di contestazione dovrebbe costituire prova sufficiente della sua consapevole partecipazione alla commissione dell'illecito. Con il terzo motivo si lamentano ulteriori carenze motivazionali in merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e all'attenuazione della pena, profili entrambi attinti dai motivi d'appello, mentre con il quarto il ricorrente ripropone le medesime doglianze sulla mancata retrodatazione del reato già esaminate in relazione al corrispondente motivo del ricorso del B. . Considerato in diritto 1.1 ricorsi degli imputati sono fondati e meritano di essere accolti. In particolare risulta fondato, con valore assorbente di tutti gli altri, il primo motivo di entrambi i ricorsi, con cui sostanzialmente si lamenta il carattere meramente apparente della motivazione della sentenza impugnata, la quale si sarebbe limitata a recepire acriticamente, attraverso la tecnica del rinvio, quella posta a fondamento della pronunzia di primo grado, omettendo così di argomentare sulle precise doglianze avanzate dalle difese con i motivi d'appello. 1.1 Sulla possibilità d'integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado va ribadito il consolidato insegnamento di questa Corte per cui se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione. Quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell'articolo 606, comma primo, lett. e c.p.p., se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull'inadeguatezza od inconsistenza dei motivi di impugnazione ex multis Sez. 4, numero 15227 del 14 febbraio 2008, Baretti, Rv. 239735 Sez. 4, numero 38824 del 17 settembre 2008, Raso e altri, Rv. 241062 Sez. 3, numero 24252 del 13 maggio 2010, O, Rv. 247287 . In particolare deve ritenersi incorra in vizio di motivazione, ponendosi così fuori dal pur legittimo ambito del ricorso alla motivazione per relationem, la sentenza d'appello confermativa della decisione di primo grado che si limiti a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, e senza argomentare sull'inconsistenza, inadeguatezza o infondatezza dei suddetti motivi. Sez. 6, numero 6221 del 20 aprile 2005, Aglieri ed altri, Rv. 233082 . 1.2 La Corte territoriale non ha dimostrato di essersi attenuta ai principi testé illustrati. L'apparato giustificativo dell'integrale conferma della sentenza di primo grado è infatti costituito dal mero rinvio alla motivazione di quest'ultima in ordine alla ricostruzione del fatto e all'ascrivibilità dello stesso alla responsabilità degli imputati, rinvio integrato da due sole annotazioni che possono ritenersi frutto di una autonoma elaborazione compiuta da parte dei giudici d'appello l'una tesa a ribadire l'indubbia falsità di quanto affermato nel provvedimento incriminato peraltro non contestata dai ricorrenti , nonché l'attribuibilità della sua redazione allo Z. e all'A. l'altra strumentale a riaffermare la responsabilità dello Z. quale autore materiale del reato e del B. quale istigatore del medesimo in forza del principio per cui negli illeciti commessi da un pubblico ufficiale sarebbe irrilevante l'attualità dell'esercizio delle relative mansioni, purché tra la commissione del reato e l'ufficio ricoperto sussista un rapporto funzionale. All'evidenza in tal modo l'obbligo di argomentare le ragioni della decisione assunta è stato eluso. Entrambe i motivi d'appello avevano sollecitato una rivisitazione della sentenza di primo grado sotto diversi profili, sottolineando altresì come su alcuni di essi il giudice di prime cure avesse sostanzialmente omesso di pronunziarsi. Ed il mero rinvio alla motivazione di quest'ultima peraltro ricorrendo al generico richiamo delle pagine della stessa non può in questo caso ritenersi né giustificato, né sufficiente a sanare le indicate lacune del provvedimento impugnato. Infatti il B. aveva specificamente confutato il riconoscimento della sua responsabilità come istigatore in quanto unico presunto interessato all'adozione del provvedimento, nonché utilizzatore del medesimo ed in assenza di qualsiasi accertamento sull'effettivo contributo causale prestato alla consumazione del reato, mentre l'A. aveva contestato che l'apposizione del visto sull'atto costituisse elemento sufficiente ad attribuirgli anche sotto il profilo dell'elemento psicologico il medesimo. Ed ancora era stata eccepita la grossolanità del falso o comunque la sua inoffensivi e comunque la necessità di procedere alla retrodatazione della sua consumazione. Tutte doglianze con le quali i giudici potentini hanno omesso di confrontarsi e che invece, impregiudicata qualsiasi valutazione sulla loro fondatezza, richiedevano una adeguata e specifica confutazione per poter pervenire all'affermata conferma della decisione di primo grado. Né i frammenti di autonoma motivazione elaborati dalla Corte territoriale e di cui si è detto appaiono a loro volta effettivamente sufficienti ad assolvere il relativo obbligo. La prima annotazione finisce infatti per limitarsi a ribadire l'incontestata falsità del provvedimento, mentre la seconda - ammesso e non concesso che il principio impegnato possa effettivamente adattarsi alla posizione dello Z. - non affronta in alcun modo le ragioni dell'attribuzione al B. del ruolo di istigatore del reato. 2. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio alla Corte d'appello di Salerno, che nell'esaminare nuovamente la vicenda dovrà attenersi ai principi affermati da questa Corte. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Salerno per nuovo esame.