Secondo l’accusa entrambi i genitori sono responsabili, anche se il gesto materiale viene attribuito all’uomo. Ecco spiegata la decisione del Gip di tenerli tutti e due in carcere. E la legittimità di questo provvedimento viene sostenuta anche in Cassazione, valutando con attenzione il comportamento tenuto dalla donna, che ha anche contribuito a far sparire il corpicino e a sostituire il divano di casa divenuto strumento di morte.
Prima la notizia della scomparsa di un bambino di appena 2 mesi di vita – giusto un anno fa –, poi l’attenzione spasmodica dei media, infine la crudele, drammatica verità il piccolo non è scomparso, è stato ucciso dai due genitori, che hanno poi fatto scomparire il corpicino e che si scambiano, ora, reciproche accuse sulla responsabilità materiale dell’inumano gesto. Ma, alla fine, all’uomo viene contestata la bestiale azione, cioè aver preso il piccolo e averlo lanciato contro il divano. Conseguente è l’applicazione della custodia cautelare in carcere, che, però, va ampliata anche alla donna, per la gravità della scelta di «non opporsi alla condotta omicidiaria del marito» Cassazione, sentenza numero 31023, Prima sezione Penale, depositata oggi . Gravi indizi. Nessun dubbio per il Giudice delle indagini preliminari, che dispone la custodia cautelare in carcere per moglie e marito in relazione all’accusa di «omicidio aggravato e distruzione di cadavere». A sostegno di questa decisione diversi elementi, come le dichiarazioni contraddittorie rese dai coniugi, la «ormai certa distruzione del cadavere a riprova della volontà di non farne ritrovare i resti, che avrebbero rese certe le cause della morte» e la «sostituzione, subito dopo i fatti, da parte dei coniugi, del divano» contro il quale, secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe stato scagliato il bambino. Per l’accusa la responsabilità materiale è quella dell’uomo, autore dell’omicidio, ma altrettanto grave è valutato il ruolo della donna, ritenuta responsabile di «concorso». Concausa. Per il legale della donna, però, il ricorso alla custodia in carcere è eccessivo. Ecco spiegata la scelta di ricorrere direttamente in Cassazione, contestando la decisione del Gip e ponendo in evidenza quelli che, sempre secondo il legale, sono elementi che dovrebbero spingere a valutare in maniera meno grave la posizione della madre. Più in dettaglio, «illegittima estensione della nozione di concorso», perché «è stata contestata soltanto una condotta omissiva successiva alla condotta omicidi aria consumata dal marito non risulta contestato un previo concerto la sola silenziosa presenza fisica non può configurare condotta in concorso, neppure morale», eppoi «può contestarsi l’omissione di soccorso» e va considerato il tentativo della donna «di opporsi alla furia del marito» e il «soccorso prestato al figlioletto», e, infine, «neppure risultano considerare le condizioni di violenza e condizionamento psicologico» a cui la donna «risulta essere stata sottoposta da parte del marito e dei suoi familiari». Ma tutti questi appunti non scalfiscono la visione proposta dal Gip e ritenuta corretta dai giudici della Cassazione, i quali chiariscono, subito, che la «condotta omissiva» della donna, consistita nel «non opporsi a quella omicidi aria del marito», è «giuridicamente apprezzabile» perché «concausa della produzione dell’evento morte» e, quindi, «equivalente al concorso morale, stante la possibilità di impedirlo». Legittima, quindi, l’adozione della custodia in carcere anche per la donna. Peraltro, a rendere il quadro più chiaro anche un’altra considerazione anche «la partecipazione ad una parte finale della condotta integra concorso pieno». E in questa vicenda la donna «si adoperò con il marito sia al fine di portare a completo adempimento la condotta criminale, sia rendendo impossibile il ritrovamento dei poveri resti della vittima, sia cooperando per sostituire il divano di casa, assurto a strumento di morte».
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 giugno – 30 luglio 2012, numero 31023 Presidente Siotto – Relatore Bonito La Corte osserva in fatto ed in diritto 1. Con ordinanza del 27 luglio 2011 il GIP del Tribunale di Ascoli Piceno disponeva la misura cautelare in carcere in danno di P.D. e R.K., coniugi, perché gravemente indiziati di aver cagionato, in concorso tra loro, la morte del piccolo J.P., loro figlio di nemmeno due mesi. L’ordinanza non veniva impugnata. In data 2 dicembre 2011 il medesimo GIP, su nuova richiesta del rappresentante della pubblica accusa, emetteva una seconda ordinanza di custodia cautelare in relazione al medesimo fatto, diversamente qualificato come omicidio aggravato e distruzione di cadavere. A sostegno della decisione il GIP poneva le plurime e contraddittorie dichiarazioni rese dai coniugi anche in sede di incidente probatorio, le dichiarazioni di tre compagni di cella del P. che di questi avevano raccolto le confidenze, le intercettazioni ambientali di conversari intercorsi tra i due indagati, la ormai certa distruzione del cadavere a riprova della volontà di non farne ritrovare i resti che avrebbero rese certe le cause della morte, la sostituzione, subito dopo i fatti, da parte dei coniugi del divano contro il quale, secondo la ricostruzione accreditata dall’accusa, il P. avrebbe scagliato il piccolo J. 2. Ricorre direttamente per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del 2 dicembre 2011 l’indagata, assistita dal difensore di fiducia, sviluppando due motivi di impugnazione. 2.1. Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione degli articolo 273 c.p.p. e 110 c.p.p. nonché difetto di motivazione sul punto, in particolare deducendo - la contestazione dell’omicidio per cui è causa in danno della ricorrente a titolo di concorso è stata resa possibile attraverso una illegittima estensione della nozione di concorso - all’indagata, concretamente, è stata contestata soltanto una condotta omissiva successiva alla condotta omicidiaria consumata dal marito - non risulta neppure contestato un previo concerto dei due coniugi appoiché d’impeto il dolo che mosse il marito - la sola silenziosa presenza fisica dell’indagata non può cofigurare condotta in concorso, neppure morale - i pp.mm. rimproverano all’indagata il mancato intervento volto a frenare l’azione delittuosa del marito ed individuano il dolo in capo alla medesima ‘‘nella mera condivisione post delictum’’ del suo operato - può tutt’al più contestarsi all’indagata l’omissione di soccorso - il GIP, nel ricostruire i fatti sulla base delle stesse dichiarazioni dell’indagata, ne omette la considerazione nelle parti alla stessa favorevoli, e cioè il tentativo di opporsi alla furia del marito ed il soccorso prestato ai figlioletto - neppure risultano considerate le condizioni di violenza e condizionamento psicologico alla quale l’indagata risulta essere stata sottoposta nel tempo da parte del marito e dei suoi familiari. 2.2. Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al reato contestato sub B distruzione e soppressione del cadavere della piccola vittima sul rilievo che il GIP avrebbe affermato con assoluta certezza la distinzione del cadavere senza indicare gli elementi giustificativi dì tale assunto accusatorio, peraltro in contrasto con gli esiti della intercettazione ambientale del colloquio intervenuto il 20.7.2011 tra i coniugi, nel corso del quale si argomenta non di distruzione del corpicino, bensì del suo occultamento. 2.3. Con motivi aggiunti la difesa ricorrente sottolinea ancora che lo stesso P.M. ha individuato il concorso della ricorrente nella mera omissione di soccorso, condotta questa incompatibile con il dolo omicidiario, non provato a carico della R. 3. Il ricorso è infondato. 3.1. Quanto alla coerenza logica e giuridica del contestato concorso nell’omicidio per cui è causa, osserva il Collegio che la condotta emissiva dell’indagata, consistente nel non opporsi a quella omicidiaria del marito, è, né può non esserlo, giuridicamente apprezzabile, giacché conclusa della produzione dell’evento morte e, come tale, equivalente al concorso morale nel cagionarlo, stante la possibilità, attraverso il suo intervento, di impedirlo. A parte ciò deve inoltre rilevarsi che non è riscontrata dagli esiti processuali la tesi difensiva secondo cui all’indagata risulta contestata sempre e soltanto una condotta omissiva, giacché l’accusa ai coniugi è quella di non aver soccorso il piccolo dopo averlo sbattuto sul divano e quando, verosimilmente, vi era ancora la possibilità di salvarlo. Rilevante infine, in ordine alla ipotizzabilità di una condotta in concorso, è la circostanza che anche la partecipazione ad una parte finale della condotta medesima integra concorso pieno in essa e, nella fattispecie l’indagata si adoperò con il marito sia al fine di portare a completo adempimento la condotta criminale, sia rendendo impossibile, fin qui, il ritrovamento dei poveri resti della vittima, sia cooperando per sostituire il divano di casa, assurto a strumento di morte della vittima medesima. 3.2. In riferimento, infine, al secondo motivo di censura, rammenta il Collegio la lezione interpretativa di questa corte di legittimità secondo la quale il reato di cui all’articolo 411 c.p. si differenzia da quello di cui all’articolo 412 c.p. occultamento di cadavere in quanto l’occultamento di cui a quest’ultima norma è finalizzato al nascondimento temporaneo con la consapevolezza, a priori, che il cadavere occultato sarà ritrovato, mentre la soppressione di cui all’articolo 411 c.p. si realizza quando il nascondimento viene eseguito in modo che il cadavere sia definitivamente sottratto, come nel caso in esame, alle ricerche Cass., Sez. III, 21/01/2005, numero 5772 . 4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va quindi rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. P.Q.M. la Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.