La Cassazione boccia l’ordinanza con cui un uomo poteva usufruire di minori telefonate e colloqui con l’esterno rispetto ai “compagni” di cella. Anche gli imputati sono sottoposti a un trattamento penitenziario, perciò va tenuto conto – ai fini dell’applicazione del d.p.r. numero 230/2000 – non solo di coloro che erano condannati definitivamente, ma anche di chi, al tempo, si trovava in custodia cautelare in attesa di sentenza.
Il principio si evince dalla sentenza numero 29109/12 – depositata il 18 luglio – della Prima sezione Penale della Cassazione. Quanti contatti con l’esterno? Il Magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere respingeva il reclamo proposto da un detenuto in relazione al regime di telefonate e colloqui mensili l’uomo chiedeva di poter usufruire di più chiamate e di un monte ore maggiore di incontri con persone esterne. L’ordinanza rilevava l’infondatezza dei motivi di reclamo, con il quale il soggetto, detenuto fin dal 1999, si era visto applicare le misure introdotte dal d.p.r. numero 230/00, con presunta retroattività di disposizioni più sfavorevoli in effetti all’epoca l’uomo si trovava in custodia cautelare e non era condannato in via definitiva, cosicché nei suoi confronti doveva trovare applicazione il nuovo regolamento. Seguiva il ricorso per cassazione, laddove veniva dedotta tanto la violazione delle norme del decreto sopra detto, tanto dell’articolo 7 CEDU. Disparità di trattamento. La Corte Suprema si allinea alle osservazioni evidenziate dal Procuratore generale, notando come la lettura interpretativa adottata nell’ordinanza oggetto di impugnazione avesse prodotto disparità tra situazioni sostanzialmente identiche. Perché differenziare il trattamento dell’uomo detenuto fin dal 1999 e, solo in ragione dell’iter dei processi, condannato definitivamente dopo il 2000 da chi era – in tempi coevi – trattenuto in carcere per sentenza definitiva? Principio dimenticato. In secondo luogo la Cassazione rileva come l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza non si sia attenuta all’articolo 1, comma 5, ord. penumero , secondo cui «anche gli imputati sono sottoposti a un trattamento penitenziario». Infatti essi possono essere ammessi a partecipare ad attività educative, culturali, ricreative e lavorative se quindi i colloqui di cui l’uomo usufruiva facevano parte del trattamento, la loro riduzione ha inciso in maniera peggiorativa sullo status carcerario. Da qui l’annullamento del provvedimento originario della contesa e il rinvio, per nuovo esame, al Magistrato preposto.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 giugno – 17 luglio 2012, numero 29109 Presidente Chieffi – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 9/6/2011, il Magistrato di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere respingeva il reclamo proposto da M.M. in relazione al regime di telefonate e colloqui mensili il detenuto chiedeva di usufruire di quattro telefonate mensili e di sei ore di colloqui mensili, invece di due ore mensili. L'ordinanza rilevava l'infondatezza dei motivi del reclamo, con il quale il M., detenuto fin dal 1999, si era visto applicare il nuovo regime dei colloqui e delle telefonate introdotto dal D.P.R. 230/00, con conseguente retroattività delle disposizioni più sfavorevoli in effetti all'epoca il M. si trovava in custodia cautelare e non era condannato in via definitiva, cosicché nei suoi confronti il nuovo regolamento doveva trovare applicazione. 2. Ricorre per cassazione M.M. , deducendo la violazione dell'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, numero 354, degli articolo 37 e 39 D.P.R. 30 giugno 2000, numero 230, degli articolo 3 e 27 Cost. e dell'articolo 7 della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo. La Circolare 3/11/2000 del D.A.P. indicava, come dato rilevante ai fini dell'applicazione delle nuove norme introdotte dal d.P.R. 230 del 2000, lo stato di detenzione in data antecedente o successiva al 6/9/2000, senza distinguere tra imputati e condannati. La distinzione opera solo con riferimento alla competenza ad autorizzare i colloqui, ma, nel caso di specie, si trattava di attività obbligata dell'Amministrazione. Richiamando la pronuncia Coppola della Corte EDU e la giurisprudenza di questa Corte secondo cui anche l'imputato partecipa alle attività educative, culturali e ricreative ai sensi dell'articolo 15 ord. penumero , il ricorrente sostiene che sia illogico non ritenere operante il trattamento penitenziario agli imputati e necessario non introdurre discriminazioni nel trattamento tra i vari detenuti. Il ricorso conclude, pertanto, per l'annullamento dell'ordinanza. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, conclude per l'accoglimento del ricorso e per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. La tesi sostenuta dal Magistrato di Sorveglianza non può essere condivisa perché produrrebbe una evidente disparità in situazioni praticamente identiche ed escluderebbe completamente gli imputati da qualsiasi forma di trattamento. D'altro canto la stessa Cassazione ha stabilito che l'articolo 41 bis ord. penumero si applica anche agli imputati, anch'essi soggetti ad una forma di trattamento. Considerato in diritto 1. Il Magistrato di Sorveglianza, preso atto che il ricorrente era sì, detenuto, ma solo in forza di misura di applicazione di una misura custodiale e non per condanna definitiva, alla data del 6/9/2000, data di entrata in vigore del nuovo Regolamento dettato dal d.P.R. 230 del 2000, ritiene corretta l'applicazione allo stesso, divenuto condannato definitivo dopo alcuni anni, senza alcuna scarcerazione intermedia, delle norme del predetto regolamento in particolare, trattandosi di detenuto per uno dei delitti di cui all'articolo 4 bis ord. penumero , di quella dell'articolo 37 che stabilisce il numero massimo di quattro colloqui mensili, e di quella dell'articolo 39, che stabilisce il numero massimo di due colloqui telefonici mensili. L'ordinanza impugnata richiama, poi, la disposizione transitoria prevista nella Circolare DAP del 3 novembre 2000 che, al fine di evitare una modifica in peius dei regime dei colloqui in conseguenza dell'entrata in vigore del nuovo regolamento, aveva disposto che i detenuti che, alla data del 6/9/2000, usufruissero di sei colloqui personali e di quattro colloqui telefonici mensili in ragione dei colloqui premiali concessi dal direttore dell'istituto penitenziario in forza della precedente normativa, continuassero a godere del medesimo numero di colloqui anche successivamente, nonostante l'intervenuta abrogazione dell'istituto del colloquio premiale. Ma, osserva il Magistrato di Sorveglianza, tale disposizione transitoria può trovare applicazione solo per i condannati in via definitiva prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 230 del 2000, poiché solo per costoro potrebbe profilarsi la regressione del trattamento ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale. Di conseguenza il ricorrente, una volta divenuto condannato in via definitiva, ha visto modificarsi in peggio la disciplina dei colloqui visivi e telefonici. 2. Il ricorso appare fondato per plurime considerazioni. In primo luogo, come esattamente osserva il Procuratore generale, la linea interpretativa adottata nell'ordinanza impugnata produce una disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche, tenuto conto che M.M. è stato ininterrottamente detenuto fin dal 1999 e, solo in ragione dell'iter dei processi che lo riguardavano, è divenuto definitivo diversi anni dopo così da risultare difficile distinguere la sua posizione da quella di chi, nel 1999, era detenuto per sentenza definitiva, e quindi non giustificabile l'improvvisa riduzione del numero di colloqui operata solo nei suoi confronti. In secondo luogo l'ordinanza non tiene conto del principio, sancito dall'articolo 1, comma 5, ord. penumero , secondo cui anche gli imputati sono sottoposti ad un trattamento penitenziario, tanto che possono essere ammessi a partecipare ad attività educative, culturali, ricreative e lavorative articolo 15, comma 3, ord. penumero se, quindi, i colloqui di cui usufruiva facevano parte del trattamento, la riduzione di essi incide in maniera peggiorativa su di esso. Infine - e a conferma di quanto appena rilevato - occorre ricordare che il Direttore dell'Istituto penitenziario poteva concedere i colloqui premiali, in forza dell'articolo 2 d.P.R. 10 luglio 1985, numero 421, che aveva modificato l'articolo 35 del d.P.R. 29 aprile 1976, numero 431, non solo ai condannati, ma anche agli imputati che avessero tenuto regolare condotta. 3. L'ordinanza deve, quindi, essere annullata con rinvio per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere.