Durante le sedute del consiglio comunale è tollerato l’uso di espressioni aggressive, tuttavia, occorre sempre che si tratti di critica e non di «frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili».
Il caso. Si accende una discussione durante lo svolgimento di una seduta di un consiglio comunale e un consigliere afferma che la famiglia dell’ex sindaco non ha la fedina penale “pulita”. Ecco, quindi, che scatta la condanna per ingiurie. La Corte d’appello adita, però, riforma la sentenza di condanna di primo grado e assolve il consigliere comunale. I giudici territoriali affermano, infatti, che non può ravvisarsi il reato in questione perché i consiglieri, nel corso del consiglio, non agiscono uti singuli, ma come componenti di un organo. L’attacco all’ex sindaco ha valenza politica? Sia il Procuratore Generale che la parte civile, propongono ricorso per cassazione. Secondo questi ultimi, la frase pronunciata non ha nessuna valenza politica, né alcun contenuto di critica politica, ma «si risolve in un attacco personale» all’ex sindaco, «privo di qualsiasi giustificazione». La S.C., dal canto suo, precisa che la frase attribuita all’imputato, oltre ad avere un contenuto indirettamente diffamatorio nei confronti dei parenti dell’offeso, «è certamente offensiva nei confronti di quest’ultimo», il quale va considerato uti singuli. Critica politica è consentito l’uso di toni particolarmente aggressivi e di espressioni anche molto pungenti. Gli Ermellini sostengono che, durante le sedute del consiglio comunale, è tollerato anche l’uso di espressioni aggressive, tuttavia, occorre sempre che si tratti di critica e non di «pure e semplici contumelie o, comunque, di frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili». Bisognerà valutare se si tratta di semplice critica politica. In sostanza, la Corte di legittimità chiarisce che il giudizio su un avversario politico può formularsi anche con parole che – decontestualizzate - «costituirebbero meri insulti», ma che, invece, riferite a determinate vicende, possono essere lette come «sintetico giudizio negativo sull’operato del predetto avversario». Pertanto, la S.C. annulla la sentenza impugnata, ma impone il rinvio al Tribunale, che valuterà - a prescindere dall’implicito riferimento a terze persone - se le espressioni offensive utilizzate dall’imputato nei confronti dell’avversario, per quanto eccessive, siano state pronunziate nell’ambito di una polemica politica.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 novembre 2011 – 27 febbraio 2012, numero 7626 Presidente Oldi – Relatore Fumo Rilevato in fatto Il Tribunale di Viterbo sez.ne Montefiascone , con la sentenza di cui in epigrafe, in riforma della pronunzia di primo grado, ha assolto D.S.G. dal delitto di ingiuria con la formula il fatto non sussiste. Al D.S. è attribuita la seguente frase, pronunziata durante lo svolgimento di seduta del consiglio comunale di omissis , e rivolta al consigliere comunale T.F. la mia fedina penale e quella della mia famiglia sono pulite, mentre la stessa cosa non può dirsi per la famiglia dell'ex sindaco F T. , dove componenti della sua famiglia sono finiti persino in manette . Si legge nella sentenza di appello che, nel corso del consiglio, i consiglieri non agiscono uti singuli, ma come componenti di un organo, pertanto iXn tali casi, ritiene la SC che non può ravvisarsi il reato di ingiuria, in quanto si verifica la situazione dell’autoffesa”. Ricorrono per cassazione tanto il competente PG, quanto il difensore della PC. Il primo deduce violazione di legge e difetto di motivazione, osservando che la sola appartenenza del soggetto attivo all'organo consiliare non può certo giustificare la inapplicabilità della norma incriminatrice. La frase pronunziata non ha alcuna valenza politica, né alcun contenuto di critica politica, ma si risolve in un attacco personale al T. , privo di qualsiasi giustificazione. Non è poi chiaro che cosa sia una situazione di autoffesa , né a quale precedente di legittimità il giudicante abbia inteso fare riferimento. Il secondo deduce violazione dell'articolo 594 cp, perché la sentenza in questione denunzia il principio in base al quale, nel corso di una seduta del consiglio comunale, vi sarebbe libertà di ingiuria anzi, attribuendo alla SC un principio di diritto che la stessa non ha mai elaborato, finisce per sostenere che, nella predetta circostanza, il delitto di ingiuria è addirittura impossibile. In realtà, nel caso in esame, non è ravvisabile l'esercizio del diritto di critica, costituendo le parole del D.S. niente altro che un attacco alla sfera morale del T. . Deduce anche mancanza o manifesta illogicità di motivazione, in quanto la sentenza neanche prova a raccordare le parole ingiuriose pronunziate dall'imputato a una concreta condotta del T. . L'allusione agli arresti che sarebbero stati eseguiti in danno di appartenenti alla famiglia del T. non ha alcun riferimento alla attività del consiglio comunale. Non può certo parlarsi di esercizio del diritto di critica politica e, oltretutto, manca qualsiasi carattere di continenza alle espressioni adoperate. Considerato in diritto I ricorsi, che, in parte, deducono le medesime censure e che sviluppano argomentazioni pacificamente assimilabili, sono fondati e meritano accoglimento. La singolare affermazione che si legge nella sentenza di secondo grado merita radicale smentita, in quanto appare priva di qualsiasi fondamento giuridico nonché contraria al comune buon senso . Secondo quanto sostenuto dal giudicante, il componente di un organo collegiale, se insulto un altro componente, non commette il delitto previsto dall'articolo 594 cp, perché, in realtà, sta insultando, non il singolo, ma l'organo stesso trattasi di autoffesa , si legge in sentenza . Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, dovrebbe dirsi che, se, ad esempio, invece di intaccare il suo onore, attentasse alla sua integrità fisica, non dovrebbe rispondere del delitto ex articolo 582 cp, avendo in realtà posto in essere un gesto autolesionistico, e così via. Trattasi, evidentemente, di conseguenze tanto paradossali, da non poter essere nemmeno immaginate, ma - a ben vedere - trattasi di conseguenze, che, in tanto possono esser tratte, in quanto profondamente errato ne è il presupposto vale a dire che, all'interno di un organo collegiale, il singolo perda la sua identità e, dunque, tra l'altro, anche il diritto alla tutela del suo onore . La frase attribuita al D.S. , oltre ad avere un contenuto indirettamente ma riconoscibilmente diffamatorio nei confronti dei parenti del T. , è certamente offensiva nei confronti di quest'ultimo, il quale va considerato anche - come è giusto e contrariamente a quel che ritiene il Tribunale – uti singulus. È pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha sostenuto che, nell'esercizio della critica politica, è consentito l'uso di toni particolarmente aggressivi e di espressioni anche molto pungenti ASN 199711905-RV 209647, tra le altre ed è altrettanto vero che, con specifico riferimento alle discussioni che si sviluppano durante le sedute del consiglio comunale, è tollerato anche l'uso di espressioni particolarmente aggressive ASN 200813880-RV 239816 occorre sempre, tuttavia, che di critica si tratti e non di pure e semplici contumelie o, comunque, di frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili. Si vuoi significare che il giudizio critico su di un avversario politico può anche essere formulato con parole che – decontestalizzate - costituirebbero meri insulti, ma che, viceversa, riferite a determinate vicende e/o situazioni, possono essere lette come sintetico giudizio negativo sull'operato del predetto avversario. Dunque, a prescindere dell'implicito e certamente ingiustificabile riferimento a terze persone i parenti del T. , i giudici del merito avrebbero dovuto verificare se le espressioni offensive utilizzate dal D.S. nei confronti del suo avversario in consiglio comunale, per quanto eccessive, fossero state pronunziate nell'ambito di una polemica politica avente attinenza con il contenuto dell'addebito denigratorio formulato a carico dell'ex sindaco. Si impone dunque annullamento con rinvio innanzi al medesimo Tribunale costituito da diverso magistrato per nuovo esame. Le spese per la PC vanno eventualmente liquidate al definitivo . P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Viterbo per nuovo esame.