Tributo non dovuto per contrasto con una direttiva self executing? 3 anni per chiedere il rimborso

di Leda Rita Corrado

di Leda Rita Corrado *Il caso. Una s.p.a. chiedeva la condanna dell'Amministrazione finanziaria al risarcimento del danno per omesso recepimento della direttiva CEE numero 335/69 per un importo pari all'imposta proporzionale di registro versata in occasione della registrazione di un atto di fusione nel 1991. La società contribuente sosteneva che, in base all'articolo 7 della direttiva richiamata, l'operazione avrebbe dovuto essere esente da imposta.Nella sentenza numero 13329 del 2011, la Corte di Cassazione cassa la sentenza della Corte di Appello e, decidendo nel merito, rigetta la domanda della società contribuente.Il Collegio ritiene che il divieto, scaturente dalla direttiva CEE numero 335/69, di sottoporre a tassazione le operazioni di fusione non richiedesse un espresso recepimento, trattandosi di norma comunitaria cogente e di immediata applicazione all'interno dello Stato. La società contribuente avrebbe dovuto presentare istanza di rimborso dell'imposta indebitamente versata nel termine triennale previsto dall'articolo 77 T.U. Registro.La disciplina della decadenza dell'azione del contribuente. L'articolo 77, comma 1, d.p.r. 26 aprile 1986, numero 131 T.U. Registro dispone quanto segue Il rimborso dell'imposta [ ] deve essere richiesto, a pena di decadenza, [ ] entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione .Decorso inutilmente tale termine, si verifica la decadenza dalla possibilità di ottenere una revisione del titolo di tassazione e, conseguentemente, rimane definitivamente preclusa, tanto per il contribuente quanto per l'amministrazione, l'invocabilità di diritti che presuppongono la modificazione del predetto titolo, mettendo in discussione il criterio di tassazione adottato in relazione alla natura dell'atto .Illegittimità ex iure comunitario la prescrizione decennale per la ripetizione dell'indebito cede il passo al termine triennale. Il Collegio osserva che la perdita del diritto al rimborso non può essere esclusa neppure per il fatto che l'illegittimità della pretesa tributaria derivi dal contrasto tra norma interna e norma comunitaria.L'illegittimità ex iure comunitario, infatti, non si traduce nell'operatività della disciplina generale della ripetizione dell'indebito e della relativa prescrizione decennale in luogo di quella della decadenza triennale specificamente prevista per l'azione del contribuente di restituzione dell'imposta indebitamente versata articolo 77 T.U. Registro .In senso contrario, non assume rilievo la circostanza che al momento della riscossione del tributo lo Stato Italiano non abbia ancora adeguato l'ordinamento interno alla normativa comunitaria.Il risarcimento del danno è escluso quando la direttiva è self executing. La Suprema Corte esclude che la restituzione dell'imposta indebitamente versata possa avere luogo con le modalità del risarcimento del danno per omesso recepimento di una direttiva comunitaria, qualora tale direttiva sia direttamente ed immediatamente applicabile nell'ordinamento nazionale, avendo un contenuto positivo, chiaro, preciso e dettagliato cosiddetta direttiva self executing .In siffatta ipotesi, infatti, non si richiede necessariamente una attività dello Stato di adeguamento dell'ordinamento interno alla normativa comunitaria. Il giudice nazionale e la Pubblica Amministrazione sono obbligati a non applicare la normativa interna contrastante con una direttiva che non richieda alcuna attività di adeguamento del diritto interno a quello comunitario perché del tutto incondizionata e precisa.* Giornalista pubblicistaDocumenti correlati Cass. numero 4571/2004 Cass. numero 5480/2004 Cass., SSUU, numero 9147/2009 Cass. numero 18276/2004, entrambe reperibili nella banca dati DeJure

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 17 giugno 2011, numero 13329Presidente Pivetti - Relatore ValituttiFatto1. Con sentenza numero 214/05, notificata il 14.11.05, la Corte di appello di Caltanissetta rigettava il gravame proposto dalla Presidenza del Consiglio di Ministri avverso la decisione di primo grado,con la quale l'amministrazione finanziaria era stata condannata al pagamento della somma di L. 69.690.000 a favore della società D.V. s.p.a., a titolo di risarcimento del danno per avere assoggettato all'imposta proporzionale di registro L. numero 904 del 1977, ex articolo 7, - in violazione della direttiva CEE numero 69/335, in forza della quale l'atto era fiscalmente esente - l'atto di fusione in data 16.12.91, con il quale la predetta società all'epoca GELCO s.p.a. aveva incorporato altre due società. 2. Il giudice di appello - confermando l'impugnata sentenza - riteneva, invero, applicabile, nella specie, la suindicata direttiva comunitaria, e - di conseguenza sussistente la responsabilità dello Stato nei confronti della società contribuente, per il pagamento di imposta non dovuto.3. Per la cassazione della sentenza numero 214/05, ha proposto ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, articolando due motivi, ai quali l'intimata ha replicato con controricorso.Diritto1. Con il primo motivo di ricorso, la Presidenza del Consiglio deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 2043, 2056 e 1227 c.c., nonché dei principi in tema di responsabilità dello Stato per violazione di norme comunitarie, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3. 1.1. Si duole,invero, l'amministrazione del fatto che la società D.V. s.p.a. abbia ottenuto, a titolo di risarcimento del danno per omesso recepimento della direttiva CEE numero 335/69, la condanna dello Stato al pagamento della somma di L. 69.690.000, pari all'imposta proporzionale di registro versata in occasione della registrazione dell'atto di fusione in data 16.12,91, con il quale la predetta società all'epoca GELCO s.p.a. aveva incorporato altre due società.La tesi sostenuta dalla contribuente - ed accolta nei primi due gradi del giudizio - era, invero, fondata sul rilievo che, ai sensi dell'articolo 7 della suddetta direttiva comunitaria, non recepita dallo Stato,l'operazione avrebbe dovuto essere esente da imposta, laddove - in applicazione della normativa nazionale, contenuta nella L. numero 904 del1977, articolo 7, comma 3, - l'atto era stato assoggettato ad imposta proporzionale di registro nella misura dello 0,50% del capitale e riserve.1.2. Per converso, ad avviso della Presidenza del Consiglio, il divieto - scaturente dalla direttiva CEE numero 335/69 - di sottoporre a tassazione le operazioni di fusione, non richiedeva un espresso recepimento, trattandosi di norma comunitaria cogente e di immediata applicazione all'interno dello Stato. Per il che la società contribuente avrebbe potuto, e dovuto, agire in ripetizione allo scopo di ottenere il rimborso delle somme indebitamente corrisposte, ai sensi del D.P.R. numero 131 del 1986, articolo 77. Non avendo, pertanto, la D.V. s.p.a. proposto l'azione di rimborso dell'imposta indebitamente versata nel termine triennale previsto dalla norma suindicato, sarebbe definitivamente precluso alla medesima - a parere della Presidenza del Consiglio - il diritto di ottenere la restituzione di quanto indebitamente pagato, sia pure sub specie del risarcimento del danno per omesso recepimento della direttiva numero 335/69. 2. Con il secondo motivo di ricorso - proposto espressamente in via subordinata - la Presidenza del Consiglio dei Ministri deduce, poi, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c., e dei principi in tema di responsabilità dello Stato per violazione di norme comunitarie, in relazione all'articolo 360c.p.c., numero 3, nonché la motivazione insufficiente su un punto essenziale della controversia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 5. 2.1. Osserva,infatti, l'amministrazione ricorrente che il giudice di appello,nell'impugnata sentenza, non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia in materia, avendo la Corte omesso di valutare l'insussistenza, nel caso concreto, del requisito della violazione grave e manifesta del diritto comunitario,indispensabile - secondo il costante insegnamento della Corte di Giustizia - per fondare una responsabilità dello Stato nei confronti dei propri cittadini.3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che il primo motivo di ricorso si palesa pienamente fondato e va, pertanto, accolto.3.1. In materia di imposta di registro, infatti, il D.P.R. numero 131 del1986, articolo 77, dispone che il rimborso dell'imposta in questione - in caso di indebito versamento - debba essere richiesto dal contribuente,a pena di decadenza, entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione .Decorso inutilmente tale termine, pertanto, si verifica la decadenza dalla possibilità di ottenere una revisione del titolo di tassazione e,conseguentemente, rimane definitivamente preclusa, tanto per il contribuente quanto per l'amministrazione, l'invocabilità di diritti che presuppongono la modificazione del predetto titolo, mettendo in discussione il criterio di tassazione adottato in relazione alla natura dell'atto Cass. 18276/04 .Ciò posto, va peraltro soggiunto che la perdita del diritto al rimborso, per decorso del predetto termine triennale, non può essere esclusa - o, in qualche modo, evitata - neppure per il fatto che l'illegittimità della pretesa tributaria derivi - come nel caso di specie - dai contrasto tra la norma interna e quella comunitaria.Osserva, invero, al riguardo la Corte che, sotto un primo profilo,tale contrasto, ed il prevalere della disciplina comunitaria su quella nazionale non finiscono per tradursi nell'operatività della disciplina generale della ripetizione dell'indebito e della relativa prescrizione decennale, in luogo di quella della decadenza triennale D.P.R. numero 131 del1986, ex articolo 77, per l'azione del contribuente di restituzione dell'imposta indebitamente versata. Ed infatti, anche i termini per contestare la pretesa tributaria affetta da illegittimità ex iure comunitario, e per chiedere - di conseguenza - la restituzione di quanto indebitamente corrisposto all'amministrazione finanziaria,restano perentori e di decadenza, e non mutano natura se l'illegittimità della pretesa di detta amministrazione derivi dal contrasto con una norma comunitaria cfr.Cass. 4571/04 .Sotto un diverso profilo, poi, la restituzione dell'imposta indebitamente versata non potrebbe neppure avere luogo - come ha erroneamente ritenuto, nella specie, la Corte di appello di Caltanissetta - sub specie di risarcimento del danno per omesso recepimento di una direttiva comunitaria, quando questa - come nel caso concreto - è direttamente ed immediatamente applicabile nell'ordinamento nazionale, avendo un contenuto positivo, chiaro,preciso e dettagliato direttiva c.d. self executing .3.2. Deve, invero, rilevarsi, al riguardo, che il diritto del cittadino di uno degli Stati dell'Unione Europea di ottenere il diritto al risarcimento del danno, in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie applicabili in una determinata materia, postula chele direttive stesse siano non auto esecutive, si che si richieda necessariamente un'attività dello Stato di adeguamento dell'ordinamento interno alla normativa comunitaria Cass. S.U.9147/09, Cass. 5842/10 .Per converso, le direttive self executing trovano applicazione immediata e diretta nello Stato, a prescindere dal loro recepimento da parte dell'ordinamento nazionale e, quindi, sia che lo Stato non abbia recepito la direttiva nel termine prescritto per il recepimento, e tale termine sia inutilmente decorso, sia che l'abbia recepita in modo inadeguato, sia che - infine - la direttiva non sia stata ancora recepita,ed il relativo termine non sia già scaduto.In tutte queste situazioni, invero, il giudice nazionale, e del pari la pubblica amministrazione, sono, in ogni caso, obbligati a non applicare la normativa interna contrastante con una direttiva che presenti i caratteri suindicati, che sia, cioè, del tutto incondizionata e precisa talché essa non richieda alcuna attività di adeguamento del diritto interno a quello comunitario Cass. 12716/04,18276/04, 3553/09 .3.3. Orbene, da tali premesse di principio consegue che, decorso il termine perentorio triennale D.P.R. numero 131 del 1986, ex articolo 77, e preclusa, quindi, per il contribuente la possibilità di ottenere una revisione del titolo di tassazione, rilievo alcuno può rivestire, a giudizio della Corte, la mancata trasposizione della menzionata direttiva numero 335/69 e successive modifiche nell'ordinamento interno dello Stato italiano.Ed invero, il contribuente che, in esecuzione di una norma interna,ha effettuato il versamento di un'imposta ritenuta contrastante con il diritto comunitario, ha la possibilità di chiedere il rimborso di quanto abbia indebitamente pagato anche prima che la direttiva comunitaria sia stata, recepita dallo Stato, e comunque a prescindere da tale recepimento, sempre che - è appena il caso di ribadirlo - la direttiva sia precisa ed incondizionata Cass. 18276/04, 4315/05 .In presenza di tali presupposti, dunque, il contribuente non può,invece, agire - come è accaduto nel caso concreto - per il risarcimento del danno da omesso recepimento della direttiva comunitaria, quantificato in misura pari all'ammontare dell'imposta indebitamente versata. Difatti, tale azione, per un verso, si traduce in un'elusione del termine di decadenza per la restituzione previsto dal D.P.R. numero 131 del 1986, articolo 77, per altro verso, è sfornita del presupposto essenziale per il suo accoglimento, costituito dall'illecito dello Stato, posto che la direttiva auto esecutiva va comunque applicata dagli organi dello Stato, a prescindere dalla sua trasposizione nell'ordinamento.3.4. Ebbene, non può revocarsi in dubbio che le disposizioni della direttiva CEE numero 335/69 - e segnatamente l'articolo 7 come modificato dall'articolo 1 della direttiva numero 303/85 , che viene in considerazione nel caso concreto -siano direttamente ed immediatamente applicabili nell'ordinamento nazionale Cass. 13849/04, 5480/04, 16876/03 .Ne discende, alla stregua dei rilievi che precedono, che il contribuente - in applicazione di detta direttiva - ben può chiedere al giudice nazionale - nel concorso di tutte le condizioni di fatto e di diritto richieste per l'applicazione dell'esenzione o della riduzione dell'imposta, ai sensi dell'articolo 7 della direttiva numero 335/69 - la restituzione delle somme già pagate in relazione all'imposta di registro, con l'azione di ripetizione nel predetto termine triennale di decadenza Cass. 116876/03 . In mancanza, per tutte le ragioni suesposte, la ripetizione degli importi indebitamente corrisposti deve ritenersi definitivamente preclusa, anche nella forma dell'azione risarcitoria nei confronti dello Stato.4. L'accoglimento della prima censura proposta dalla Presidenza del Consiglio comporta la cassazione della sentenza impugnata, restando assorbito il secondo motivo di ricorso. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'articolo 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente.5. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico dell'intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo.Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.P.Q.M.La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente condanna l'intimata al rimborso delle spese del presente giudizio, a favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che liquida in Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.