Incappa nel reato di esercizio abusivo della professione il consulente del lavoro che presta attività di consulenza tributaria a professionisti e imprese l'assistenza fiscale è un'attività tipica dei commercialisti.
La Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione - con sentenza numero 10100 depositata lo scorso 11 marzo - interviene sull'esercizio abusivo della professione blindando la consulenza tributaria il consulente del lavoro, che presta assistenza fiscale a professioni e imprese, deve essere munito dell'apposita abilitazione.La fattispecie. Un consulente del lavoro prestava assistenza fiscale non soltanto in favore di dipendenti ma anche di aziende e lavoratori autonomi, senza però essere iscritto all'albo dottori/ragionieri commercialisti conseguentemente, veniva disposto il sequestro preventivo del suo studio professionale, ritenuto bene pertinenziale al reato di esercizio abusivo della professione. Il tribunale del riesame convalidava la misura cautelare disposta.Lo studio professionale come strumento indispensabile all'attuazione della condotta illecita. Ricorrendo per cassazione, il consulente si difende dalle accuse escludendo qualsiasi esercizio abusivo della professione e la sussistenza del nesso pertinenziale tra i locali oggetto del sequestro e la fattispecie criminosa, poiché i fatti di reato contestati si fondano sul rapporto fiduciario che si instaura tra cliente e professionista, mentre l'immobile non rappresenterebbe uno strumento indispensabile ai fini dell'attuazione e protrazione della condotta illecita.Escluso il vincolo pertinenziale anche se lo studio è frequentato da funzionari del Fisco. Su quest'ultimo motivo nulla quaestio. Infatti, la S.C. ribadisce nel sequestro preventivo di un immobile, finalizzato a impedire la protrazione dell'attività illecita, il vincolo di pertinenzialità si esprime in un'indefettibile correlazione strumentale tra immobile e reato, nel senso che l'immobile non sia semplicemente il luogo di consumazione del reato, ma costituisca il mezzo strettamente indispensabile per l'attuazione e protrazione della condotta illecita. Infatti, i giudici di legittimità osservano come nell'ordinanza impugnata, a sostegno dell'affermata pertinenzialità, si rappresenta la sistematicità delle condotte di appropriazione indebita e l'esistenza di un rapporto privilegiato presso lo studio in questione con il concorrente pubblico ufficiale dell'Agenzia delle Entrate . Tali espressioni, se, da un lato, evidenziano la reiterazione di una condotta criminosa attuata in concorso con un pubblico ufficiale, dall'altro invece non assumono alcuna rilevanza ai fini della dimostrazione del rapporto di pertinenzialità strumentale.Presta assistenza fiscale? Il consulente del lavoro esercita abusivamente la professione di commercialista. Tuttavia, il nodo centrale della decisione riguarda la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione per il consulente del lavoro, che svolgere un'attività tipica dei commercialisti, senza però essere iscritto nell'apposito albo. Al riguardo, la Suprema Corte non lascia dubbi l'articolo 348 c.p. punisce l'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Per esercitare la professione di dottore/ragioniere commercialista la legge richiede il superamento dell'esame di Stato e l'iscrizione nell'apposito albo professionale e, pertanto, quella del commercialista è una professione protetta e le attività proprie di essa possono esplicarsi esclusivamente dal soggetto abilitato e iscritto all'albo. Ma non è tutto.Basta che l'attività prestata dal consulente del lavoro - privo della necessaria abilitazione - sia tipica dei commercialisti. Per stabilire se una determinata prestazione integri il reato ex articolo 348 c.p., non è necessario rinvenire nella legge che regola la professione in tesi abusivamente esercitata una clausola di riserva esclusiva riguardante quella specifica prestazione, ma è sufficiente l'accertamento che la prestazione erogata costituisce un atto tipico, caratteristico di una professione per il cui esercizio manca l'abilitazione.Sussiste il fumus delicti. Ergo, il consulente del lavoro, avendo competenza in materia di redditi di lavoro dipendente, può legittimamente occuparsi della liquidazione e del pagamento delle relative imposte. Tuttavia, l'indagato prestava assistenza fiscale e contabile anche a professionisti e imprese e, quindi, operava in un campo per il quale non aveva la necessaria abilitazione. Ne deriva che, allo stato, non può negarsi la sussistenza del fumus delicti.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 febbraio - 11 marzo 2011, numero 10100Presidente De Roberto - Relatore GarribbaMotivi della decisionep.1. Con ordinanza del 22 ottobre 2010 il Tribunale di Lucca rigettava la richiesta di riesame proposta da D.N. avverso il decreto di sequestro preventivo dello studio professionale, ritenuto bene pertinente ai reati di esercizio abusivo della professione di ragioniere commercialista e di appropriazione indebita aggravata di somme affidategli con l'incarico di pagare imposte e contributi.D. ricorre per cassazione e denuncia 1. violazione dell'articolo 348 cod.penumero , perché non commetterebbe esercizio abusivo della professione di dottore commercialista il consulente del lavoro - e tale egli era - che presti attività di consulenza tributaria e curi la redazione e il controllo dei bilanci d'imprese, attesa la natura non riservata delle anzidette attività 2. insussistenza del fumus commissi delicti per i residui reati di appropriazione indebita, perché la denuncia presentata da B.R. sarebbe stata smentita dai documenti prodotti dalla difesa, mentre quelle provenienti da altri clienti non sarebbero ancora state istruite 3. insussistenza del periculum in mora, perché, a partire dall'anno 2007, con l'entrata in vigore della regola che impone il pagamento di imposte e contributi con procedura telematica di addebito diretto sul c/c del contribuente, la commissione di appropriazioni indebite del tipo di quelle perseguite è divenuta impossibile 4. insussistenza del nesso pertinenziale tra i locali oggetto del sequestro e l'esercizio abusivo della professione, perché i fatti di reato per cui si procede si fondano sul rapporto fiduciario che si instaura tra cliente e professionista, mentre l'immobile non è mezzo indispensabile per l'attuazione e protrazione della condotta illecita.p.2.1 Il primo motivo di ricorso è infondato. L'articolo 348 cod.penumero punisce l'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Per esercitare la professione di dottore/ragioniere commercialista la legge richiede il superamento dell'esame di Stato e l'iscrizione nell'apposito albo professionale e, pertanto, quella del commercialista è una professione protetta e le attività proprie di essa possono esplicarsi esclusivamente dal soggetto abilitato e iscritto all'albo.Va precisato che, per stabilire se una determinata prestazione integri il reato previsto dall'articolo 348 cod.penumero , non è necessario rinvenire nella legge che regola la professione in tesi abusivamente esercitata una clausola di riserva esclusiva riguardante quella specifica prestazione, ma è sufficiente l'accertamento che la prestazione erogata costituisce un atto tipico, caratteristico di una professione per il cui esercizio manca l'abilitazione.Orbene il consulente del lavoro, avendo competenza in materia di redditi di lavoro dipendente, può legittimamente occuparsi della liquidazione e del pagamento delle relative imposte. Ma l'indagato prestava assistenza fiscale e contabile anche a lavoratori autonomi e imprese e, quindi, operava in un campo per il quale non aveva la necessaria abilitazione. Ne deriva che, allo stato, non può negarsi la sussistenza del fumus delicti.p.2.2 Il secondo motivo è infondato.Per l'adozione di un provvedimento di sequestro preventivo è sufficiente la sussistenza del fumus commissi delicti, vale a dire l'astratta sussumibilità del fatto nella fattispecie di reato considerata. Pertanto, in sede di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali, l'accertamento del fumus commissi delicti è limitato alla verifica della configurabilità, quale fattispecie astratta di reato, del fatto contestato così come può essere desunto dall'imputazione, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e alla gravità degli stessi v. Cass., Sez. VI, 28.2.1996 numero 932, Manelli, rv 204799 Sez. Unite, 23.2.2000, Mariano .Ne deriva che le doglianze sull'omesso esame dei documenti prodotti dalla difesa e sull'omessa acquisizione di ulteriori elementi a sostegno delle denunce presentate da Ba. e M. , comportando il sindacato - riservato al giudice della cognizione - sulla concreta fondatezza dell'accusa, non possono essere proposte nel presente giudizio cautelare.p.2.3 Il terzo motivo, chiedendo direttamente a questo giudice di legittimità di valutare la cessata attualità del periculum in mora sotto il profilo che è sopravvenuta una diversa disciplina delle modalità di pagamento delle imposte e contributi, che renderebbe impraticabile la reiterazione della condotta appropriativa, è inammissibile ai sensi dell'articolo 606, comma 3, cod.proc.penumero .Infatti la questione dedotta, comportando una valutazione di merito, doveva come tale essere sollevata nel giudizio d'appello, salva poi la possibilità di impugnare la relativa decisione con ricorso per cassazione nei limiti segnati dall'articolo 606, comma 1, lett. e , cod.proc.penumero .p.2.4 È fondato invece il quarto e ultimo motivo di ricorso. Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, nel sequestro preventivo di un immobile, finalizzato a impedire la protrazione dell'attività illecita, il vincolo di pertinenzialità si esprime in un'indefettibile correlazione strumentale tra immobile e reato, nel senso che l'immobile non sia semplicemente il luogo di consumazione del reato, ma costituisca il mezzo strettamente indispensabile per l'attuazione e protrazione della condotta illecita Cass., sez. VI, 24.9.2010 numero 36201, Musacchio, rv 248635 idem, 8.6.1998 numero 2098, Chiaberti, rv 212118 idem, 5.12.2002 numero 11892, Russano, rv 224790 .Nell'ordinanza impugnata, a sostegno dell'affermata pertinenzialità si rappresenta la sistematicità delle condotte di appropriazione indebita e l'esistenza di un rapporto privilegiato presso lo studio in questione con il concorrente pubblico ufficiale dell'Agenzia delle Entrate , espressioni che, però, mentre evidenziano la reiterazione di una condotta criminosa attuata in concorso con un pubblico ufficiale, appaiono invece silenti e insignificanti ai fini della dimostrazione del rapporto di pertinenzialità strumentale sopra delineato.Pertanto l'ordinanza impugnata deve essere annullata per mancanza di motivazione e violazione di legge, con rinvio allo stesso Tribunale che, in diversa composizione, accerterà se tra l'attività illecita esercitata dall'indagato e il bene sottoposto a sequestro esiste un rapporto di pertinenzialità nel senso sopra indicato.P.Q.M.La Corte di cassazione annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Lucca per nuovo esame.