Dichiarazione falsa per aiutare il suo collega, ma a farne le spese è solo lui

Il falso testimone, infatti, potrebbe essersi attivato spontaneamente per aiutare il suo compagno.

Manca, quindi, la prova della colpevolezza di uno dei 2 imputati, per questo la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di uno di essi sentenza n. 33126, depositata il 30 luglio 2013 . La fattispecie. Un uomo veniva processato per danneggiamento, poi derubricato in deturpamento e imbrattamento di cose altrui, e un suo amico aveva testimoniato il falso, dichiarando di esser stato in compagnia dell’imputato per tutto il pomeriggio in cui sarebbe stato consumato il reato. Falsa testimonianza dunque, e il testimone diventa imputato a sua volta. Vengono quindi entrambi condannati nei due giudizi di merito, ma in Cassazione qualcosa cambia. Gli Ermellini, infatti, confermano la responsabilità per falsa testimonianza, ma solo di uno dei 2 imputati di colui che ha effettivamente dichiarato il falso. Colpevole di non aver impedito la falsa testimonianza del collega? Questo perché manca la prova per affermare il concorso al delitto commesso dal falso testimone. In pratica, il falso testimone è ritenuto colpevole perché ha palesemente dichiarato il falso, ma non è altrettanto palese la responsabilità del compagno di lavoro – condannato per deturpamento e imbrattamento di cose altrui – in quanto il testimone potrebbe essersi attivato spontaneamente per aiutare il suo compagno.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 maggio – 30 luglio 2013, n. 33126 Presidente Agrò – Relatore Ippolito Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza di condanna per falsa testimonianza art. 372 cod. pen. emessa dal Tribunale di Ravenna, in data 8 ottobre 2008, nei confronti di D M. e S.G. , riformandola parzialmente per il M. con la concessione del beneficio della non menzione della condanna. A M. è stata addebitato di avere - deponendo in qualità di testimone dinanzi al Tribunale di Ravenna, nell'ambito di procedimento penale a carico di S. imputato di danneggiamento, poi derubricato in deturpamento e imbrattamento di cose altrui, per avere cosparso di vernice nera e reso inservibili i citofoni del condominio di via omissis verso le ore 20 - su induzione di S. , testimoniato il falso, affermando di avere trascorso l'intero pomeriggio e la serata del omissis in sua compagnia in 2. Ricorre per cassazione il difensore degli imputati, che deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione gli artt. 372 cod. pen. e 529 cod. proc. pen. e relativo vizio di motivazione. Considerato in diritto 1. Con esauriente e logica motivazione, i giudici del merito, in primo e in secondo grado, hanno affermato la colpevolezza di M.D. per la falsa testimonianza resa nel procedimento penale a carico di G S. , imputato del delitto di danneggiamento in danno di M C. . Essi hanno accertato che effettivamente era stato il S. , verso le ore 20 del omissis , a imbrattare i citofoni del condominio di ., in cui abitava la donna, e che erano false le dichiarazioni del M. sull'ora in cui il S. era partito da Tutti i motivi volti a mettere in discussione la ricostruzione della vicenda sono, perciò, inammissibili, in quanto si risolvono in apprezzamenti di fatto estranei alla competenza di questa Corte di legittimità. 2. Manifestamente infondato è il motivo con cui i ricorrenti assumono la non configurabilità del delitto previsto dall'art. 372 cod. pen. per mancanza di querela nel procedimento per il delitto di cui all'art. 635 cod. pen. a carico del S. e, comunque, in un processo che mai avrebbe dovuto essere celebrato per esistenza di una querela non valida in quanto presentata da soggetto non legittimato. Risulta dalla Recisione Impugnata che, con sentenza irrevocabile, la Corte d'appello di Bologna ha dichiarato non doversi procedere a carico del S. per sopravvenuta remissione di querela per il reato in danno della C. , respingendo tutti i motivi relativi alla responsabilità dell'imputato. Ne deriva che, nel momento in cui fu resa la falsa testimonianza non vi era alcun ostacolo di procedibilità e le false dichiarazioni del M. integrano la fattispecie del delitto di cui all'art. 372 cod. pen., avendo avuto ad oggetto circostanza decisive e rilevanti per l'affermazione o il diniego di addebitabilità del fatto al S. . In ogni caso, contrariamente all'assunto del ricorso, il procedimento penale non viene messo nel nulla per sopravvenuto riconoscimento di esistenza di una causa di improcedibilità, per cui tutti i fatti in esso accaduti eventi processuali dichiarazioni, testimonianze rilevano e possono costituire oggetto di valutazione giuridica a fini diversi da quelli relativi all'affermazione di responsabilità dell'imputato nel plesso definito con sentenza di non doversi procedere per esistenza di una causa di improcedibilità. 3. va, tuttavia, accolto il ricorso del S. , giacché manca nelle sentenza di merito ogni elemento di prova per affermare il concorso di tale imputato al delitto commesso dal M. . L'affermazione di colpevolezza per avere indotto il compagno di lavoro alla falsa testimonianza è fondata esclusivamente su una considerazione logica poiché beneficiario delle false dichiarazioni rese da M. era S. , è logico desumere che il delitto sia stato commesso per induzione ad opera di quest'ultimo. Ritiene il Collegio che, in mancanza di qualsiasi elemento fattuale cui ancorare l'affermazione di contributo concorsuale rilevante ex art. 110 cod. pen. la mera deduzione operata dai giudici del merito si risolve in congettura, non potendo fondatamente escludersi che il M. si sia attivato spontaneamente per aiutare il suo compagno e non potendo affermarsi la colpevolezza del S. per non aver impedito la falsa testimonianza del suo collega. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di S.G. per non aver commesso il fatto. Rigetta il ricorso di M.D. che condanna al pagamento delle spese processuali.