L’indennità estero ha natura retributiva

L’indennità estero, corrisposta in maniera continuativa nel periodo di applicazione all’estero del dipendente, svolge, in relazione a quel periodo, una funzione retributiva, seppur compensativa dei disagi durante la permanenza all’estero, per cui non vi sono ragioni per escluderla dal calcolo del trattamento di fine rapporto.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 15166, depositata l’11 settembre 2012. Il rilievo della volontà delle parti. La Corte ha tratto un elemento decisivo a favore della natura retributiva dell’indennità estero ai fini del calcolo del t.f.r. dalla circostanza che, nel caso di specie, le parti, accanto all’erogazione dell’indennità in esame, avevano previsto anche la corresponsione di un importo forfettario volto a ristorare le spese correlate al distacco all’estero, oltre che il rimborso delle spese per gli spostamenti per ragioni di servizio ciò induce a ritenere che i contraenti avevano ben chiara la differenza tra i meri rimborsi di spese effettuate per lo svolgimento della prestazione, da una parte, e la corresponsione di un’indennità erogata mensilmente in misura forfettaria, comprensiva di vitto e alloggio, dall’altra. L’indennità estero ha natura retributiva quando svolge una funzione compensativa. La sentenza in commento si pone in sostanziale continuità con la giurisprudenza della Cassazione secondo cui l’indennità estero ha natura retributiva quando viene corrisposta per compensare sia la maggiore gravosità dell’attività resa all’estero, sia le qualità professionali che concorrono a formare la professionalità del lavoratore richiesta per svolgere ivi l’attività lavorativa cfr. Cass. nnumero 3374/2009 24875/2005 3278/2004 15841/2003 . In particolare, la Suprema Corte ha precisato che l’erogazione di somme anche a titolo di adeguamento della retribuzione al costo della vita nel paese estero di destinazione, al fine di mantenere inalterato il potere d’acquisto della retribuzione all’estero, conferma il carattere retributivo di tale emolumento ai fini del t.f.r., pur permanendo la sua funzione compensativa della maggiore gravosità e del disagio ambientale dell’attività lavorativa prestata all’estero. Natura risarcitoria ed onere probatorio . In altre occasioni, peraltro, la Cassazione ha affermato che, quando il contratto di lavoro giustifichi l’erogazione delle somme ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per trasferirsi o per soggiornare all’estero insieme alla famiglia, grava sul lavoratore l’onere di provare che esse non siano riconducibili alla funzione di rimborso spese cfr. Cass. nnumero 23622/2010 e 10986/2008 . Per il carattere retributivo occorre il collegamento sinallagmatico della spesa sostenuta con la prestazione lavorativa all’estero . In un’altra importante pronuncia Cass. numero 6563/2009 , i Giudici di legittimità hanno chiarito che la linea di discrimine fra le opzioni prospettate natura retributiva – natura risarcitoria non è data dal carattere forfettario o meno del rimborso, bensì dal collegamento sinallagmatico della spesa sostenuta dal lavoratore con la prestazione lavorativa svolta all’estero, e, dunque, dalla funzione di salvaguardia della retribuzione a fronte delle condizioni ambientali in cui il lavoratore presta la propria attività all’estero ciò ricorre allorché una determinata somma viene erogata con continuità, quale rimborso di spese incontrate dal lavoratore per svolgere la propria attività all’estero e quindi, sia pur indirettamente, per adempiere agli obblighi della prestazione lavorativa contrattuale. Per contro, le erogazioni effettuate dal datore di lavoro hanno la natura di rimborso di spesa quando, non rivestendo i suddetti caratteri della continuità e determinatezza o determinabilità , consistono nella reintegrazione di somme effettivamente spese dal dipendente medesimo nell’interesse dell’imprenditore e non attinenti, perciò, all’adempimento degli obblighi impliciti nella prestazione lavorativa. L’indennità estero non spetta al lavoratore rimpatriato. Un’altra questione affrontata dalla sentenza in commento è quella relativa all’ipotetico diritto del lavoratore a percepire l’indennità estero anche dopo il rientro nel territorio nazionale. A tale proposito, la Suprema Corte, nel ribadire la natura retributiva dell’indennità estero ai fini del t.f.r., ha escluso il principio – invocato dal lavoratore – secondo cui detta indennità, rappresentando un trattamento legato alla professionalità intrinseca delle mansioni, rimarrebbe definitivamente acquisita alla retribuzione del lavoratore, il quale avrebbe, pertanto, diritto al mantenimento della suddetta indennità, anche una volta cessata l’attività lavorativa nello Stato straniero. In realtà, «la preminente funzione compensativa di disagi» assolta dall’indennità in esame esclude che la stessa, pur dovendo essere presa in considerazione ai fini del computo del t.f.r., possa essere «corrisposta anche nel periodo lavorativo susseguente al rientro del dipendente dall’estero».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 aprile - 11 settembre 2012, numero 15166 Presidente Lamorgese – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza dell'8/6/04 il giudice del lavoro del Tribunale di Roma respinse il ricorso proposto da L.C. nei confronti di T. s.p.a col quale il ricorrente aveva formulato le seguenti domande declaratoria del diritto alla conservazione del trattamento percepito a titolo di indennità estero quale parte integrante della retribuzione mensile, con condanna della resistente al pagamento delle relative differenze retributive accertamento del TFR maturato alla data del 31/5/02 diritto all'inquadramento nella qualifica di dirigente a far tempo dall'1/11/96 ed alle relative differenze retributive accertamento dell'avvenuta dequalificazione professionale a partire dall'1/10/01 reintegra nelle mansioni svolte sino a tale data e risarcimento del danno professionale ed all'immagine. A seguito di gravame interposto dal L. la Corte d'appello di Roma - sezione lavoro, con sentenza del 17/2 - 27/10/09, ha parzialmente riformato la sentenza impugnata, dichiarando che il TFR maturato dall'appellante alla data del 31/5/02 ammontava ad euro 52.657,02 per effetto del computo dei cosiddetti premi incentivi e dell'indennità estero. La Corte territoriale è pervenuta a tale decisione sulla base delle seguenti motivazioni - L'indennità estero, pur rivestendo carattere retributivo, era compensativa dei disagi correlati al fatto che l'attività lavorativa doveva essere prestata all'estero Chicago , come attestato dalle espressioni adoperate nelle pattuizioni del 13/11/96 e del 10/1/00, per cui non poteva essere più percepita una volta venuto meno il distacco all'estero unitamente alla erogazione di tale indennità erano stati previsti un rimborso forfettario per il ristoro delle spese all’estero ed un rimborso delle spese per gli spostamenti Se norme collettive di riferimento, vale a dire l'articolo 38 del ccnl 9/9/96 e l'art, 51 del ccnl 28/6/00, richiamavano senza alcuna previsione di deroga la disciplina legale di cui all'articolo 2120 c.c., per cui l'indennità estero ed i premi incentivi, percepiti con continuità, entravano a far parte della base di calcolo del TFR i compiti e le mansioni descritti nel ricorso risultavano proprio quelli del livello di appartenenza, per cui nessuna delle funzioni espietate era riferibile alla qualifica dirigenziale reclamata non si era avuto il lamentato demansionamento, in quanto la prova svolta in primo grado aveva evidenziato che al momento del rientro in Italia del L. l'intero settore al quale il medesimo era addetto era stato interessato da un processo organizzativo che aveva coinvolto tutti gli addetti le allegazioni formulate in ordine al danno alla professionalità ed all'immagine erano rimaste prive di specificazione. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L., il quale affida l'impugnazione a sei motivi di censura. Resiste con controricorso la T. S.p.A. che propone, a sua volta, ricorso incidentale al cui accoglimento si oppone il lavoratore. Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 cpc. 1. Col primo motivo il L. denunzia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362, 1363, 2103 e 2113 cod. civ., in riferimento all'articolo 360 numero 3 c.p.c., deducendo che la Corte d'appello, nel valutare se l'indennità estero perseguiva finalità remunerative della professionalità, come affermato da esso ricorrente, o meramente compensative dei disagi sostenuti per lo svolgimento dell'attività all'estero, aveva preso in esame esclusivamente una parte degli accordi intercorsi tra le parti, vale a dire quelli della lettera-contratto del 10.1.2000, trascurando, in tal modo, la disamina del contenuto delle altre due lettere-contratto del 13/11/96 e del 16/10/01 ed applicando, conseguentemente, in malo modo le norme generali di ermeneutica contrattuale. A conforto di tale critica il ricorrente aggiunge che il principio di garanzia della irriducibilità della prestazione comporta che ogni trattamento economico legato alla professionalità intrinseca delle mansioni, come nella fattispecie, rimane definitivamente acquisito alla retribuzione del lavoratore, per cui la Corte di merito non avrebbe dovuto limitare l'indagine alla interpretazione letterale di un solo documento, ma avrebbe dovuto accertare se da altri atti o comportamenti delle parti nel loro complesso discendevano elementi favorevoli al mantenimento della suddetta indennità, entrata ormai a far parte della retribuzione. Il motivo è infondato. Anzitutto, non è affatto vero che i giudici d'appello si siano imitati ad interpretare la fattispecie in esame alla luce della sola lettera-contratto del 10 gennaio 2000, dal momento che i medesimi hanno rilevato che, attraverso la pattuizione individuale scaturita dall'accettazione, da parte del L., della lettera del 13 novembre 1996, l'indennità estera mensile forfettaria era stata espressamente correlata al periodo di permanenza a Chicago , tanto che nello stesso documento era stato precisato che tale indennità forfettaria estera si intende a tutti gli effetti sostitutiva di quanto previsto al medesimo titolo nel CCNL nonché dell'Accordo di armonizzazione di T. spa, in particolare agli articolo 19 e 21 e che la corresponsione della stessa cesserà inoltre al suo rientro in Italia i giudici d'appello hanno, inoltre, evidenziato che la stretta correlazione tra l'erogazione dell'indennità in esame ed il distacco all'estero presse la T.U. risultava confermata nella pattuizione del 10.1.2000 e che, in occasione della concordata temporanea sospensione dei rapporto di lavoro, come da lettera T.I. del 16/10/2001, le parti avevano convenuto che al rientro in Italia sarebbe stato garantito al L. un trattamento economico non inferiore a quello in essere al momento della sospensione, con le modificazioni legali e contrattuali nel frattempo intervenute, e che le integrazioni economiche correlate al raggiungimento degli obiettivi che T.I.U.I avesse deciso eventualmente di corrispondergli in relazione al periodo lavorativo estero sarebbero state riconosciute al suo rientro ai fini della maturazione degli effetti collegati dalle norme di legge all'anzianità di servizio. Quindi, alla luce della lettura complessiva dei predetti accordi e non solo di quello del 10/1/2000, i giudici d'appello hanno tratto il libero convincimento, adeguatamente motivato, che la predetta indennità, pur rivestendo carattere retributivo, per essere correlata alla specifica attività da svolgersi all'estero, ed assumendo, nel contempo, natura compensativa dei relativi disagi, così come attestato dalle espressioni letterali utilizzate nelle summenzionate pattuizioni, non poteva essere più percepita una volta cessato il distacco all'estero, per cui non è dato ravvisare alcuna violazione dei canoni dell'ermeneutica contrattuale di cui si duole il ricorrente. 2. Col secondo motivo si denunzia l'insufficiente motivazione della pronuncia circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all'articolo 380 numero 5 c.p.c., rappresentato dall'oggetto della stessa domanda, cioè l'indennità estera, in quanto, a dire del ricorrente, le clausole che nelle sole pattuizioni del 13/11/96 e del 10/1/2000 prevedevano la sospensione del trattamento al momento del rientro in Italia non potevano costituire la ragione legittimante della contestata condotta datoriale. Ne consegue, secondo tale prospettazione, che anche le affermazioni della Corte tensoriale al riguardo appaiono apodittiche, non potendo considerarsi la funzione remunerativa del disagio, assicurata dalla predetta indennità, come insita nel solo fatto dello svolgimento del lavoro all'estero. Anche tale motivo, attraverso il quale si prospetta la stessa questione di cui alla precedente censura, sebbene dal diverso punto di vista di un supposto vizio motivazionale, è infondato. Invero, la motivazione della Corte territoriale sul punto non si rivela affatto insufficiente e non merita le censure di apoditticità atteso che la stessa ha correttamente interpretato il senso letterale degli accordi delle parti nel loro complesso, così come emerso dalla disamina delle espressioni letterali dei suddetti documenti, finendo per convincersi, con ragionamento immune da vizi di natura logico-giuridica e, perciò, sottratto ai rilievi di legittimità, che la preminente funzione compensativa dei disagi assolta dal sistema di erogazione dell'indennità in esame escludeva, nell'intento manifestato dalle parti nelle predette lettere-contratto, che la stessa potesse essere corrisposta anche nel periodo lavorativo susseguente al rientro del dipendente dall'estero, mentre poteva concorrere solo ai fini del computo del trattamento di fine rapporto. A quest'ultimo riguardo la Corte di merito ha constatato, con congrua motivazione, che accanto all'erogazione dell'indennità in esame era stata prevista dalle parti anche la corresponsione di un importo forfettario volto a ristorare le spese correlate al distacco all'estero, oltre che il rimborso delle spese per gli spostamenti per ragioni di servizio, per cui tutto ciò contribuiva a far ritenere che i contraenti avevano ben chiara la differenza tra rimborsi di spese effettuate per lo svolgimento della prestazione e l'erogazione di una indennità erogata mensilmente in misura forfettaria, comprensiva di vitto ed alloggio, evidenziandosi, ancora una volta, la differenza tra la giustificazione causale dell'indennità in questione, connessa esclusivamente al lavoro svolto all'estero, e la sua partecipazione, per quei periodi, al computo dell'anzianità di servizio ai fini del trattamento di fine rapporto. 3. Col terzo motivo è segnalata l'insufficiente motivazione della pronuncia circa un fatto controverso e decisivo, in riferimento all'articolo 360 numero 5 c.p.c., rappresentato dall'invocato inquadramento nella superiore qualifica di dirigente, sostenendosi che la motivazione sarebbe insufficiente quanto al confronto tra compiti effettivamente svolti e qualifica rivendicata, a fronte di un ricorso che conteneva gli elementi utili per i necessari approfondimenti istruttori. 4. Col quarto motivo è, invece, denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt 115, 116, 245 e 420 c.p.c., degli articolo 1362, 1363, 1369, 2095 e 2103 cod. civ., dell'articolo 1 del ccnl 1995-1998 per i dirigenti di aziende industriali e dell'articolo 14 del ccnl 9/9/1996 dei dipendenti delle aziende di telecomunicazione, in riferimento all'articolo 360 n 3 c.p.c. Viene, in pratica, riproposta la questione di cui al terzo motivo sotto l'aspetto della violazione di legge, sostenendosi che la Corte di merito, pur avendo correttamente ricondotto la fattispecie in esame nell'alveo della norma di riferimento di cui all'articolo 2103 c.c., avrebbe, tuttavia, omesso di effettuare il giudizio di equivalenza tra le mansioni concretamente svolte e la qualifica contrattuale rivendicata. Inoltre, secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe nemmeno tenuto conto delle declaratorie contrattuali di riferimento e non avrebbe identificato i requisiti scriminanti tra l'una e l'altra qualifica, operazione, questa, che le avrebbe consentito di ricondurre le mansioni svolte alla declaratoria appropriata. Il L. si duole, altresì, della mancata ammissione della prova testimoniale articolata sulle mansioni oggetto della domanda di inquadramento superiore, con conseguente omessa applicazione dei principi in materia di valutazione delle prove. Osserva la Corte che il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, data l'identità della questione trattata, seppur sotto le diverse angolazioni del vizio motivazionale e di quello di violazione di legge. Ebbene, entrambi i motivi sono infondati. La Corte d'appello ha, infatti, correttamente eseguito il necessario raffronto tra le mansioni che il ricorrente assumeva di aver svolto e quelle della declaratoria contrattuale dell'invocato superiore inquadramento dirigenziale, pervenendo, in tal modo, alla conclusione che quelle effettivamente espletate rientravano nella qualifica di appartenenza propria del ricorrente. Al riguardo, i giudici d'appello hanno posto l'accento sul fatto che i compiti, le attività, i margini di iniziativa ed i poteri discrezionali, nel livello e nel quadro, come descritti nel ricorso di primo grado, risultavano essere propri del livello di inquadramento, cioè della qualifica e del profilo professionale da ultimo attribuiti al L., vale a dire il livello H responsabile di struttura - professionista master , a sua volta rispondente alla relativa declaratoria del ccnl di riferimento. All'esito del suddetto accertamento i medesimi giudici hanno avuto, quindi, modo di verificare che nessuna delle funzioni che il L. aveva riferito di aver svolto era riconducibile alla qualifica dirigenziale che, nella previsione della contrattazione collettiva dei dirigenti delle aziende industriali dell'1/1/95 - 31/12/98, doveva essere connotata da poteri decisionali correlati alla specifica funzione della promozione, del coordinamento, della gestione e realizzazione degli obiettivi di impresa, mentre l'attività descritta in ricorso, indipendentemente da una eventuale conferma testimoniale, era in ogni caso priva di quell'ampiezza di poteri e di iniziativa da rapportare alla rappresentanza dell'intera azienda ovvero di una sua parte notevole. . D'altra parte è bene ricordare che Cass. sez. lav, numero 2272 del 2/2/2007 il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall'articolo 360, comma primo, numero 5 , cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l'obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest'ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame al fine di confutarle o condividerle tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi come accaduto nella specie le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse . Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale istruttorio operate dai giudici d'appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall'interpretazione delle declaratorie contrattuali di riferimento, per cui le stesse non meritano affatto le censure mosse coi predetti motivi di doglianza. 5. Col quinto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c., della insufficiente motivazione della pronuncia circa un fatto controverso e decisivo in relazione alla questione del demansionamento, il cui relativo materiale probatorio non sarebbe stato adeguatamente valutato dal collegio, il quale avrebbe fondato il suo convincimento su presupposti di fatto errati, escludendo numerose risultanze istruttorie ed errando nel giudizio sul grado di specificità delle allegazioni in ordine al lamentato danno alla professionalità ed all'immagine. 6. Col sesto motivo il ricorrente ripropone la questione del demansionamento, ma ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., denunziando la violazione e falsa applicazione degli articolo 115, 116 e 420 c.p.c., nonché degli articolo 2103, 1218 e 2697 c.c., in quanto assume che la Corte d'appello avrebbe potuto porre a fondamento della decisione le nozioni di comune esperienza con riguardo alla privazione delle mansioni per un periodo prolungato, mentre avrebbe trascurato diverse risultanze istruttorie e non avrebbe considerato che l'azienda non aveva assolto l'onere probatorio di dimostrare di aver assegnato il dipendente a compiti consoni alle mansioni di assunzione o al livello successivamente acquisito. Anche gli ultimi due motivi, che possono trattarsi congiuntamente in ragione della identica questione del presunto demansionamento ad essi sottesa, sono infondati. Invero, con adeguata motivazione logico-giuridica, come tale esente da vizi di legittimità, la Corte territoriale ha avuto modo di appurare che le prove espletate nel giudizio di primo grado avevano evidenziato che al momento del rientro in Italia del L. l'intero settore al quale il medesimo era addetto era interessato da un processo riorganizzativo che aveva coinvolto tutti gli addetti, i quali erano stati chiamati a provvedere a situazioni ed esigenze peculiari ed emergenti correlate alla fase di ristrutturazione. Inoltre, la stessa Corte ha spiegato che le allegazioni formulate dal L. in ordine al danno alla professionalità ed all'immagine erano rimaste prive della specificazione e della puntualità necessaria per fondare una richiesta di risarcimento del danno in via equitativa. Oltretutto, non può sfuggire a questa Corte che, anche in occasione della formulazione dell'ultimo motivo di censura del presente ricorso, il L., pur dolendosi della mancata disamina del materiale probatorio da parte dei giudici d'appello, omette di specificare quali furono in concreto i mezzi di prova che quei giudici non avrebbero esaminato e in che modo essi avrebbero potuto incidere sulle sorti della decisione. In definitiva, il ricorso principale va rigettato. Quanto al ricorso incidentale della società è da rilevare che lo stesso poggia sull'unico motivo della denunziata violazione e falsa applicazione dell'articolo 2120 c.c. e dell'articolo 1362 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., in quanto si contesta l'inclusione dell'indennità estero nel computo del trattamento di fine rapporto. In pratica, la società sostiene che una parte del compenso, cioè quella afferente il rimborso spese, non aveva natura retributiva e non poteva, pertanto, concorrere al calcolo del T.F.R. Il motivo è infondato. Invero, la norma di cui all'articolo 2120 c.c. non risulta essere stata erroneamente applicata dai giudici d'appello, i quali hanno spiegato che accanto all'indennità estero era stata prevista l'erogazione di un importo forfettario volto a ristorare le spese correlate al distacco all'estero punto 4, secondo paragrafo, della lettera 13/11/96 , oltre che il rimborso per le spese dovute agli spostamenti per esigenze di servizio, per cui l'indennità in esame, corrisposta in maniera continuativa nel periodo di applicazione all'estero del dipendente, finiva per avere in relazione a quel periodo una funzione retributiva, seppur compensativa dei disagi durante la permanenza all'estero, e non vi erano ragioni, data anche la mancata previsione di deroghe pattizie alla disciplina legale di cui all'articolo 2120 c.c., anzi richiamata dagli accordi collettivi articolo 38 del ccnl 9/9/96 ed articolo 51 del ccnl 28/6/00 , per escluderla dal calcolo del trattamento di fine rapporto. Inoltre, la Corte di merito ha puntualizzato che la circostanza per la quale tali somme venivano erogate anche a titolo di adeguamento della retribuzione al costo della vita nel paese estero di destinazione, al fine di mantenere inalterato il potere d'acquisto della retribuzione all'estero, confermava il carattere retributivo dell'emolumento in questione ai fini del T.F.R., pur permanendo la sua funzione compensativa della maggiore gravosità e del disagio ambientale dell'attività lavorativa prestata all'estero. In definitiva, la ratio decidendi posta dal giudice del gravame a base della contestata decisione sul punto resiste alla generica censura rivolta dalla difesa della società che, oltretutto, non investe la questione nella sua interezza, limitandosi a richiamare quella parte dell'indennità che, a suo giudizio, assolveva alla funzione di rimborso spese, quando, invece, i giudici del secondo grado hanno spiegato che dalle pattuizioni era emerso che i contraenti avevano mostrato di avere ben chiara la differenza tra rimborsi di spese effettuate per lo svolgimento della prestazione e l'erogazione di una indennità erogata mensilmente in misura forfettaria, comprensiva di vitto ed alloggio. Quindi, anche il ricorso incidentale va rigettato. La reciproca soccombenza delle parti induce la Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio. P.Q.M. Riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.