I poliziotti lo tirano giù dal letto, lui la prende male: condannato

Pomo della discordia è il mancato pagamento di un taxi, e la conseguente denuncia del tassista. I rappresentanti delle forze dell’ordine chiedono lumi al cliente col conto ancora da saldare, ma lui risponde con un pugno e insulti a iosa. Evidente la sproporzione della reazione dell’uomo, che era stato assolto in primo grado.

Blitz a casa l’uomo risponde in malo modo alle ‘pressioni’ dei poliziotti. Questi ultimi, difatti, lo obbligano a svegliarsi – per parlare del mancato pagamento di un taxi – e lui la prende male Eccessiva, però, la reazione, che si concretizza in un pugno e in strali verbali nei confronti dei due esponenti delle forze dell’ordine. Conseguenziale, e logica, la condanna per resistenza a pubblico ufficiale. Cassazione, sentenza numero 28144, sez. VI Penale, depositata oggi Sveglia forzata. A dare il ‘la’ all’episodio è la «denuncia» presentata da un tassista, che – in una scena fantozziana – ha «visto allontanarsi» il cliente, senza che poi «facesse ritorno per pagarlo», come, invece, «promessogli». Per questa ragione, due poliziotti vanno a chiedere conto all’uomo col conto ancora da saldare, arrivando a casa sua e svegliandolo per approfondire la vicenda. Eccessiva, però, è la reazione dell’uomo, che – infastidito per l’«essere stato svegliato» – colpisce «con un violento pugno ad un occhio uno dei poliziotti», poi provvedendo a «insultare e minacciare» gli esponenti delle forze dell’ordine, prima di «essere bloccato dopo una violenta colluttazione». Ma, a sorpresa, in primo grado, l’uomo viene liberato da ogni contestazione ciò alla luce del riconoscimento, secondo i giudici, che i poliziotti hanno ‘provocato’ la reazione dell’uomo, «eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni». Reazione eccessiva. Di avviso opposto, però, i giudici della Corte d’Appello, i quali, accogliendo il ricorso proposto dal pm, ribaltano la decisione assunta in primo grado e sanciscono la piena responsabilità dell’uomo per la propria condotta. E tale condanna viene condivisa anche dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, respingono le obiezioni mosse dall’uomo, obiezioni fondate sempre sulla presunta arbitrarietà del blitz compiuto dai due poliziotti. Per i giudici, in sostanza, si può ammettere la «discutibilità del comportamento» dei poliziotti ma «solo sul piano dell’opportunità». E tale considerazione non viene modificata neanche dalla «querela sporta» dall’uomo e da sua madre in merito alle «arbitrarie modalità di accesso degli operanti all’abitazione» e alla presunta «aggressione» compiuta ai danni dell’uomo. Ciò che rileva è la evidente mancanza di «proporzionalità tra offesa e reazione», tenuto conto che l’uomo – «a fronte del fastidio avvertito per essere stato svegliato» – «aveva colpito immediatamente con un violento pugno ad un occhio uno dei poliziotti, continuando ad insultare e minacciare i poliziotti, fino ad essere bloccato solo dopo una violenta colluttazione». Peraltro, aggiungono i giudici, «modalità e durata dei fatti» sono incompatibili con l’«ipotizzata opposizione all’accesso» sostenuta dall’uomo.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 – 30 giugno 2014, numero 28144 Presidente Di Virginio – Relatore Capozzi Considerato in fatto e ritenuto in diritto 1. Con sentenza del 13.6.2013 la Corte di appello di Venezia, a seguito di gravame interposto dal P.M. avverso la sentenza assolutoria emessa il 16.10.2009 dal Tribunale di Verona nei confronti di M.O., ha riformato detta sentenza affermando la responsabilità del predetto imputato in ordine al reato di cui all'articolo 337 c.p. e 582/585/576 numero 1 e 61 numero 2 c.p. condannandolo a pena di giustizia. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore deducendo con unico motivo erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta esclusione della scriminante ex articolo 393 bis c.p. ovvero di quella ex articolo 4 d.lgt. 288/44, risultando illogica l'affermata irrilevanza della querela sporta dall'imputato e da sua madre in ordine alle arbitrarie modalità di accesso degli operanti all'abitazione ed alla loro aggressione ai danni dell'imputato. Come pure erronea risulterebbe l'affermazione circa la discutibilità del comportamento degli operanti sul solo piano dell'opportunità, che non avrebbe dovuto escludere l'assoluzione ai sensi dell'articolo 530 co. 3 c.p.p 3. Il ricorso è inammissibile in quanto generico ed in fatto. 4. Invero, con motivazione priva di vizi logici e giuridici la Corte veneziana ha escluso la ipotesi esimente ravvisata in primo grado in favore del ricorrente sul duplice rilievo costituito dall'aver gli operanti agito nell'ambito dei doveri d'istituto siccome allertati dalla denuncia di un tassista che aveva visto allontanarsi il ricorrente, servitosi del suo taxi, senza che egli facesse ritorno per pagarlo come prospettatogli. In secondo luogo, negando la attualità e la proporzionalità tra offesa e reazione tenuto conto che l'imputato - a fronte del fastidio avvertito per essere stato svegliato - aveva colpito immediatamente con un violento pugno ad un occhio uno dei poliziotti, continuando ad insultare e minacciare i poliziotti fino ad essere bloccato solo dopo una violenta colluttazione. Del tutto correttamente è stata ritenuta ininfluente la diversa prospettazione contenuta nella querela proposta dall'imputato e dalla madre, oggetto di separato giudizio, ed a fronte della versione degli operanti che hanno assunto di aver avuto accesso alla abitazione dell'imputato con il consenso dei proprietari e considerata la modalità e durata dei fatti incompatibile con l'ipotizzata opposizione all'accesso. Nondimeno è corretta la osservazione della sentenza secondo la quale le lesioni patite dall'imputato risultano successive ai fatti oggetto del processo e, pertanto, non possono influire su di essi. 5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.