Giardino in comune: la cooperativa è “arbitro in terra del bene e del male”

Le cooperative edilizie perseguono lo scopo di costruire alloggi e di assegnarli, prima in godimento e poi in proprietà individuale, ai soci. Per attuare questo oggetto sociale, la previsione di spazi deputati al godimento comune dei soci è più o meno necessitata dalla natura stessa dell’edificio realizzato e dall’applicazione ad esso dell’articolo 1117 c.c., che indica le parti comuni di un edificio. In ogni caso, però, rientra nella discrezionalità della cooperativa individuarli e delimitarli, ampliando o diminuendo corrispondentemente delle aree destinate all’assegnazione in proprietà singola, contemperando tra loro interessi individuali e collettivi dei soci.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 6882, depositata il 24 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Napoli respingeva la domanda della proprietaria di un appartamento, realizzato da una cooperativa edilizia, che conveniva in giudizio una sua vicina, proprietaria di un altro alloggio, ubicato al piano rialzato del medesimo stabile, affinché venisse dichiarato inefficace un atto del 1975, con cui la cooperativa aveva assegnato alla convenuta un giardinetto. L’attrice deduceva che la società, con una precedente delibera del 1955, aveva stabilito che agli appartamenti del piano rialzato, tra cui quello della convenuta, sarebbe stata annessa una porzione di terreno antistante, purché tali alloggi non fossero stati costruiti oltre una certa altezza. L’appartamento della convenuta superava tale limite di una decina di centimetri, tuttavia, con l’atto del 1975, la cooperativa aveva attribuito alla convenuta l’intero giardinetto, disponendo, secondo l’attrice, di un bene che doveva considerarsi comune, in pregiudizio di tutti i soci. Viene violato l’oggetto sociale? L’attrice ricorreva in Cassazione, sostenendo che la sottrazione della parte in giardino in questione, con arbitraria assegnazione in proprietà ad uno solo dei soci, avrebbe violato il principio di parità tra i soci stessi, travalicando la natura e l’oggetto del patto sociale. Da ciò deriverebbe la violazione degli interessi generali dei soci e la violazione degli articolo 45 Cost. sulla tutela della funzione sociale della cooperazione e 2511 c.c. «Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico» , con conseguente illiceità dell’oggetto del deliberato assembleare, ai sensi dell’art 2379 c.c., relativo ai casi di nullità delle deliberazioni di s.p.a Annullabilità è normalità. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione affermava che nell’ambito dell’autonoma disciplina dell’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea delle s.p.a., in cui, in contrapposizione ai principi comuni, la regola generale è quella dell’annullabilità, la previsione della nullità è limitata, invece, ai soli casi, disciplinati dall’articolo 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell’oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela di interessi generali. Queste norme, quindi, trascendono l’interesse del singolo socio, in quanto sono dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società. Scopo e poteri di una cooperativa edilizia. Le cooperative edilizie perseguono lo scopo di costruire alloggi e di assegnarli, prima in godimento e poi in proprietà individuale, ai soci. Per attuare questo oggetto sociale, la previsione di spazi deputati al godimento comune dei soci è più o meno necessitata dalla natura stessa dell’edificio realizzato e dall’applicazione ad esso dell’articolo 1117 c.c., che indica le parti comuni di un edificio. In ogni caso, però, rientra nella discrezionalità della cooperativa individuarli e delimitarli, ampliando o diminuendo corrispondentemente delle aree destinate all’assegnazione in proprietà singola, contemperando tra loro interessi individuali e collettivi dei soci. Questo potere trova la propria fonte nel contratto sociale e, quanto all’edificio costruito dalla cooperativa, non incontra limiti ulteriori, rispetto a quelli desumibili dalle norme imperative dettate nell’ambito della disciplina sul condominio. Perciò, se si ipotizza un esercizio illegittimo di tale potere da parte dell’assemblea, l’unico rimedio è l’impugnazione della delibera per annullabilità, essendo, invece, esclusa quella per nullità, ex articolo 2379 c.c., che suppone statuizioni incompatibili con l’oggetto sociale. Di conseguenza, l’assegnazione di un’area esterna all’edificio, in favore di uno o più soci, come complemento delle loro unità immobiliari, piuttosto che la destinazione di essa al servizio o all’ornamento dell’edificio, esprime la normale attuazione dello scopo della cooperativa edilizia. Questa scelta non intacca l’interesse generale dei soci, cui non compete un diritto alla massima estensione possibile delle parti comuni, né lede, di per sé, il principio di parità di trattamento tra loro, previsto dall’articolo 2516 c.c., che si limita a dettare agli organi sociali una regola di comportamento, la cui ipotetica violazione non altera il nesso tra la causa cooperativistica e quella di scambio propria del contratto di cessione del singolo alloggio. Il nesso pertinenziale. Inoltre, la ricorrente sosteneva che l’area in questione era connotata, rispetto al fabbricato comune, da una pertinenzialità originaria, deliberata, a suo giudizio, dalla cooperativa con la delibera del 1955. Questo atto prevedeva, però, l’assegnazione del giardino alla convenuta, se il suo appartamento fosse risultato non superiore ad un certo livello. Non è oggettivo. Secondo i giudici di legittimità, escluse le pertinenze pubbliche, destinate al servizio dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili, e quelle di natura privata, ma aventi una destinazione di tipo pubblicistico quindi vincolate soltanto al bene principale , ogni pertinenza richiede un atto negoziale di destinazione ad un bene principale. Questo atto, nello stesso modo in cui può essere posto in essere dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale sulla cosa principale, così può successivamente essere posto nel nulla, assoggettando il bene principale e quello pertinenziale a rapporti giuridici separati. Non è, quindi, configurabile, una pertinenzialità oggettiva o naturale. Al contrario, il nesso pertinenziale può essere costituito e sciolto, senz’altro limite che quello derivante dalla volontà del titolare del bene principale. Per questi motivi, la Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 gennaio – 24 marzo 2014, numero 6882 Presidente Oddo – Relatore Manna Svolgimento del processo M.M.R. , comproprietaria per successione ereditaria di un appartamento sito in OMISSIS , realizzato dalla cooperativa edilizia CEPIS - Cooperativa edilizia pensionati e impiegati statali a r.l., agiva in giudizio nei confronti di G.T. , proprietaria di altro alloggio, ubicato al piano rialzato del medesimo stabile, affinché fosse dichiarato inefficace l'atto notaio Triola del 9.1.1975 col quale la cooperativa aveva assegnato alla G. un giardinetto sito innanzi al lato nord dell'alloggio di lei. A sostegno della domanda deduceva che la cooperativa, con una delibera del 1955, aveva stabilito che agli appartamenti al piano rialzato, tra cui quello poi assegnato alla G. , sarebbe stata annessa una porzione di terreno antistante agli stessi, purché detti alloggi non fossero risultati all'esito della costruzione ad un'altezza superiore a tre metri dal piano di campagna. Nonostante l'unità immobiliare della convenuta fosse risultata oltre tale altezza, la cooperativa, con altra delibera dell'assemblea adottata il 22.6.1973, aveva previsto che all'appartamento della G. fosse attribuito il giardinetto latistante, incorporato mediante una soletta poggiata su appositi pilastri in c.a. già esistenti. Precisava, quindi, che con l'atto notaio Triola del 9.1.1975, successivo a quello di assegnazione dell'alloggio effettuato in favore del proprio dante causa, la cooperativa cedendo anche il giardinetto alla G. aveva disposto di un bene che in realtà doveva considerarsi comune, in pregiudizio di tutti gli altri soci. Nel resistere in giudizio la convenuta deduceva che l'attrice non aveva impugnato la delibera 22.6.1973 con la quale la cooperativa aveva disposto l'assegnazione del giardinetto, il cui trasferimento in suo favore non era pertanto contestabile. La domanda era respinta dal Tribunale di Napoli, con sentenza poi confermata dalla Corte d'appello. Proposto ricorso per cassazione, questa Corte dichiarava la nullità del giudizio di merito in quanto svolto senza che fosse stata evocata in giudizio la cooperativa CEPIS. Riassunto il giudizio, senza che la cooperativa si costituisse, la domanda era dapprima accolta dal Tribunale e poi nuovamente respinta dalla Corte d'appello, con sentenza numero 2729/07. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la Corte partenopea escludeva che il giardino in questione fosse mai divenuto pertinenza del fabbricato condominiale. L'opposta volontà della cooperativa, infatti, era stata già espressa con la delibera del 1955, che sia pure a certe condizioni aveva previsto che il giardino fosse lasciato in proprietà esclusiva dei proprietari degli appartamenti del piano rialzato. Per la formazione di un nesso pertinenziale mancava comunque un atto di destinazione, e inoltre il giardino non aveva caratteristiche tali da renderlo necessario all'uso comune, il che escludeva la presunzione di appartenenza comune ai condomini ai sensi dell'articolo 1117 c.c Quindi, rilevava che la delibera del 22.6.1973 non poteva ritenersi nulla, ai sensi dell'articolo 2379 c.c., non essendo il suo oggetto né impossibile né illecito. In particolare, l'illiceità per contrarietà all'interesse generale dei soci era da escludere in quanto configurabile solo nel caso di deviazione dallo scopo essenziale del rapporto societario, mentre l'assegnazione del giardino ad un socio non si poneva in conflitto con lo scopo dell'assegnazione degli alloggi ai soci. Di conseguenza, non essendo nulla detta delibera - mai impugnata dal socio dissenziente M.N. , dante causa di M.M.R. - non poteva ritenersi nullo l'acquisto del giardino da parte della G. . Non solo, ma diveniva altresì irrilevante la circostanza che si fosse verificata o non la condizione apposta dalla delibera del 1955, ossia che gli alloggi al piano rialzato fossero risultati ad un'altezza non superiore a tre metri dal piano di campagna, atteso che la delibera del 1973 costituiva una nuova e diversa manifestazione di volontà della cooperativa non senza osservare, infine, che la minima differenza di quota rilevata, di appena 13 cm., ben poteva essere derivata dalla giacitura non perfettamente pianeggiante del terreno e dall'esecuzione dei pilastri in cemento armato su cui la G. era stata autorizzata a poggiare la passerella di collegamento del suo alloggio col giardino . Per la cassazione di tale sentenza D.B.A. e F. , quali procuratori generali della madre, M.M.R. , propongono ricorso in base a tre motivi, seguiti da memoria. Resiste con controricorso G.T. . La cooperativa CEPIS è rimasta intimata. La parte ricorrente all'esito della discussione ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del P.G Motivi della decisione 1. - Col primo motivo d'impugnazione è dedotta la violazione degli articolo 2697 e 2909 c.c., 112, 324, 342, 346 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c Sostiene parte ricorrente che la Corte d'appello avrebbe delibato la natura pertinenziale o non del giardino oggetto del contendere, nonostante il giudicato interno affermativo formatosi al riguardo e la relativa eccezione sollevata dalla parte odierna ricorrente nel giudizio di secondo grado. Formula al riguardo i seguenti quesiti di diritto ex articolo 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie dica la S.C. se, sollevata dalla parte specifica eccezione di giudicato interno su di una questione, inerente un punto decisivo del tema processuale, ex adverso tuttavia non posta negli specifici motivi d'appello e toccata solo in conclusionale, la Corte di merito non violi il disposto dell'articolo 112 c.p.c., incorrendo nel vizio di nullità della sentenza di cui all'articolo 360, numero 4, allorquando delibi la questione stessa, omettendo ogni disamina dell'eccezione pregiudiziale di rito al riguardo effettuata dica, in particolare, la S.C. se, eccepita da parte della M. l'inammissibilità di una delibazione da parte della Corte d'appello della pertinenzialità in sé dell’area/giardino in questione, per non essere stata la cosa, in tali termini, prospettata nel motivo di gravame sollevato dalla G. , la delibazione, di converso, dalla stessa effettuata, senza minimamente valutare tale pregiudiziale obiezione posta, abbia integrato una violazione del disposto dell'articolo 112 c.p.c. determinando - così - la nullità della sentenza resa dica, altresì, codesta S.C. se, prospettata da una parte l'esistenza di un giudicato interno su di un punto rilevante e decisivo del tema processuale, non costituisca violazione degli articolo 2909 c.c., 112-324-342 e 346 c.p.c., sanzionabile ex articolo 360, numero 3 c.p.c., la decisione adottata dalla stessa, pretermettendo - invece - ogni disamina al riguardo dica, infine, codesta S.C. se, prospettata dalla M. l'esistenza di un giudicato interno in ordine alla pertinenzialità in sé, all'intero edificio ed all'origine, dell'area/giardinetto in parola, non costituisca violazione degli articolo 2909 c.c., 112-324-342 e 346 c.p.c., sanzionabile ex articolo 360, numero 3 c.p.c., la decisione assunta - invece - dalla Corte di merito, pretermettendo ogni disamina al riguardo . 2. - Il secondo motivo espone la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 817, 818, 1117,1353 e 1362 c.c. e dell'articolo 115 c.p.c., in relazione all'articolo 360, nnumero 3 e 5 c.p.c Parte ricorrente deduce che la Corte territoriale non ha considerato che proprio con la delibera del 1955 la cooperativa aveva divisato ab origine la pertinenzialità del giardino, eccetto l'unico caso che si fosse verificata la condizione ivi prevista e in realtà non occorsa, atteso che l'appartamento della G. è stato realizzato con un'altezza in eccesso di 13 cm. rispetto al limite di tre metri previsti nella delibera stessa. Con la successiva delibera del 22.6.1973 la cooperativa non solo non superò la condizione originariamente imposta, ma neppure avrebbe potuto farlo legittimamente. A dimostrazione di ciò, prosegue parte ricorrente, il fatto che anche dopo l'atto notaio Triola del 1975, la cooperativa continuò a darsi carico della manutenzione del giardino in oggetto, come dimostrato da due ricevute di spesa che la Corte territoriale non ha esaminato. Seguono i quesiti dica la S.C. se non risulti violato il canone dell'articolo 115 c.p.c. in una decisione in cui sia stata pretermessa ogni disamina di documenti ritualmente affluiti in atti, inerenti un punto decisivo della controversia ed, in tali sensi, se nella specie la decisione della Corte d'appello venga ad essere strutturalmente inficiata dall'omesso esame ed - eo magis - dall'omessa valutazione in chiave probatoria del Verbale del 30.12.1969 di immissione della G. nell'appartamento senza il giardino in contestazione e delle ricevute di pagamento dell'11.12.1979 e del 2.11.1981 da parte dell'Amministrazione condominiale degli oneri di manutenzione del giardino in parola dica, poi, la S.C. se in un atto giuridico, in presenza di una condizione apposta, l'evento condizionato possa ritenersi comunque voluto in ragione della sua mera ipnotizzazione ed indipendentemente dall'effettiva verificazione della stessa ed in tali sensi se, nello specifico del caso in esame, costituisca corretta applicazione dei canoni degli articolo 1353 e 1362 c.c. un'interpretazione della volontà dell'assemblea dei soci del 27.7.1955 secondo cui la mera e sola previsione di un evento condizionante la scissione del naturale vincolo pertinenziale tra l'erigendo fabbricato e l'area/giardino in questione, comportasse e dimostrasse comunque la volontà di escludere in ogni caso lo stesso, indipendentemente dalla sua verificazione dica, altresì, la S.C. se in un atto giuridico, di fronte ad un'univoca condizione apposta e contemplata per la determinazione di uno specifico effetto negoziale, non sia assolutamente precluso all'interprete di inferirne, una volta accaduta la stessa, l’irrilevanza ai fini della verificazione dell'evento medesimo, così violando la volontà espressa dall'autore dica, ancora, la S.C. se, di fronte a un dato oggettivo di prova in atti, quale una misura accertata in loco da un c.t.u., non sia da parte dell'interprete violato il canone dell'articolo 115 c.p.c. il supporne ipotetiche e non dimostrate, modificazioni in chiave di azzeramento nel processo della valenza obiettiva istruttoria del dato stesso . 3. - Col terzo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 2379, 1422, 2511, 817, 1117 e 2644 c.c. e 45 Cost., in relazione all'articolo 360, nnumero 3 e 5 c.p.c La sottrazione della parte di giardino in questione, sostiene parte ricorrente, e la sua arbitraria assegnazione in proprietà ad uno solo dei soci, avrebbe violato il principio di parità fra i soci stessi, travalicando la natura e l'oggetto del patto sociale. Da ciò la violazione degli interessi generali dei soci e la violazione degli articolo 45 Cost. e 2511 c.c., con conseguente illiceità dell'oggetto del deliberato assembleare in contestazione, ai sensi dell'articolo 2379 c.c Segue il quesito dica la S.C. se non sia nulla per illiceità dell'oggetto una delibera di società cooperativa edilizia che, oggettivamente pregiudicando quantitativamente e qualitativamente l’interesse generale dei soci alla fruizione tutti di un immobile naturalmente pertinenziale e condominiale, a maggioranza lo assegni - invece - in proprietà esclusiva ad uno solo di essi . 4. - Quest'ultimo motivo, che va esaminato con priorità per la sua pregiudizialità logica, è infondato. In disparte la poco corretta formulazione del quesito, in cui sono inserite, nell'erroneo presupposto che ciò valga a ipotecarne la soluzione, valutazioni in fatto non derivate dalla ricostruzione operata dalla sentenza impugnata, ma proprie della parte ricorrente e per di più erronee in diritto sulle quali v. infra il paragrafo 4.2. che segue ciò a parte, la censura dilata in maniera gratuita l'ambito della nullità delle delibere assembleali per illiceità dell'oggetto. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che nell'ambito dell'autonoma disciplina dell'invalidità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni - nella quale, con inversione dei principi comuni articolo 1418, 1441 c.c. , la regola generale è quella dell'annullabilità articolo 2377 c.c. - la previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall'articolo 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell'oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio, risultando dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società cfr. Cass. nnumero 15721/05, 928/03, 14799/00, 3457/99 e 3458/93 analogamente, in motivazione, Cass. numero 16390/07 . Limitando l'esame alla sola fattispecie evocata dalla parte ricorrente, ossia la contrarietà della delibera all'interesse generale della società e al suo scopo pratico-economico, deve rilevarsi che le cooperative edilizie perseguono lo scopo di costruire alloggi e di assegnarli dapprima in godimento e poi in proprietà individuale ai soci. Nell'attuare tale oggetto sociale, la previsione di spazi deputati al godimento comune dei soci è più o meno necessitata dalla natura stessa del corpo di fabbrica realizzato e dall'applicazione ad esso dell'articolo 1117 c.c. in tema di parti comuni dell'edificio ma rientra in ogni caso nella discrezionalità dell'ente individuarli e delimitarli, e così ampliare o ridurre corrispondentemente aree e volumi destinati all'assegnazione in proprietà singola, contemperando fra loro gli interessi individuali e collettivi dei soci. Non mette conto ai fini del decidere stabilire se tale potere privato esprima una discrezionalità volitiva o solo tecnica. Nell'un caso come nell'altro il potere esiste, ripete la propria fonte dal contratto sociale e, quanto all'edificio costruito dalla cooperativa, non incontra limiti ulteriori rispetto a quelli desumibili dalle norme imperative dettate nell'ambito della disciplina sul condominio. Ipotizzazione un esercizio illegittimo da parte dell'assemblea, il rimedio è, pertanto, solo l'impugnazione della delibera per annullabilità, essendo per contro esclusa quella per nullità ai sensi dell'articolo 2379 c.c., che suppone statuizioni incompatibili con l'oggetto sociale. 4.1. - Traslando le considerazioni appena esposte al caso di specie, è di tutta evidenza che l'assegnazione di un'area esterna al fabbricato in favore di uno o più soci come complemento delle unità immobiliari loro singolarmente assegnate, piuttosto che la destinazione di essa al servizio o all'ornamento dell'edificio comune, esprime la normale attuazione proprio dello scopo della cooperativa edilizia. Una tale scelta non intacca l'interesse generale dei soci, cui non compete un diritto alla massima estensione possibile delle parti comuni, né lede di per sé il principio di parità di trattamento fra loro, previsto dall'articolo 2516 c.c., che si limita a dettare agli organi sociali una regola di comportamento la cui ipotetica violazione non altera il nesso fra la causa cooperativistica e quella di scambio propria del contratto di cessione dell'alloggio singolo cfr. su quest'ultimo aspetto, Cass. numero 5724/04 . 4.2. - Infine, la stessa questione della pertinenzialità del bene conteso dimostra da un lato l'assoluta inconsistenza della dedotta causa d'invalidità della delibera del 22.6.1973, e dall'altro la sua non inerenza a profili che involgano l'interesse generale dei soci al perseguimento dell'oggetto sociale. Si basa su considerazioni del tutto prive di fondamento giuridico la tesi per cui l'area in questione sarebbe connotata rispetto al fabbricato comune da una pertinenzialità originaria , che secondo parte ricorrente sarebbe stata divisata espressione ambigua e atecnica che si legge a pag. 16 del ricorso dalla cooperativa proprio con la delibera del 27.7.1955. Delibera che pure ne aveva previsto il venir meno in favore dell'appartamento oggi di proprietà G. , ove quest'ultimo a seguito dell'edificazione fosse risultato ad un livello non superiore a tre metri rispetto alla quota del terreno adiacente. Infatti, escluse le pertinenze pubbliche destinate al servizio dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili e quelle di natura privata ma aventi una destinazione di tipo pubblicistico e perciò soltanto vincolate al bene principale , ogni pertinenza richiede un atto negoziale di destinazione ad un bene principale articolo 817, cpv. c.c. , atto che come può essere posto in essere dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale sulla cosa principale, così può essere successivamente posto nel nulla assoggettando il bene principale e quello pertinenziale a rapporti giuridici separati articolo 818, 2 comma c.c. . Non è configurabile, pertanto, una res che sia oggettivamente o naturalmente pertinenziale, poiché la maggiore o minore sua vocazione al servizio o all'ornamento di altro bene non ne implica l'assoggettamento ipso iure al relativo regime giuridico. Il nesso pertinenziale può essere costituito e può essere sciolto senza altro limite che quello derivante dalla volontà del titolare del bene principale, giacché l'atto di destinazione non imprime alla cosa secondaria un'indelebile qualitas iuris cfr. sull'argomento Cass. nnumero 2702/78 e 1763/66, secondo cui il regime delle pertinenze, in base al quale gli atti e i rapporti giuridici aventi a oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, non può essere utilmente invocato quando la pertinenza sia stata separata dalla cosa cui era funzionalmente legata, con un autonomo atto di disposizione . Pertanto, sostenere che la circolazione separata del bene secondario espressamente disposta dal titolare della cosa principale sia invalida in ragione della pregressa destinazione, è un non senso giuridico che contraddice frontalmente il disposto dell'articolo 818, 2 comma c.c 5. - La reiezione del terzo mezzo d'annullamento assorbe l'esame dei primi due motivi. Esclusa la nullità della delibera del 22.6.1973, è vano stabilire se il giardino in oggetto sia stato in origine destinato al servizio del fabbricato comune o se si sia formato il giudicato interno su tale qualità asseritamente primigenia, perché detta delibera ha ad ogni modo disposto del giardino separatamente dal fabbricato comune. 6. - In conclusione il ricorso va respinto. 7. - Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge.