In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, in relazione al delitto di corruzione funzionale all’illegittima aggiudicazione di un appalto, il profitto illecitamente lucrato oggetto di confisca e quindi suscettibile di sequestro in via preventiva non può identificarsi con l’intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la Pubblica Amministrazione, ma con la sola componente di effettivo vantaggio economico che il corruttore abbia conseguito in forza del suo comportamento illecito, la quale certamente non comprende il valore a livello di costo delle prestazioni effettivamente fornite alla Pubblica Amministrazione, e di cui questa ha effettivamente beneficiato.
Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 12761, depositata il 18 marzo 2014. La confisca per equivalente La pronuncia in esame richiama diffusamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in merito all’istituto della confisca per equivalente, cioè a quella che è stata definita una vera e propria sanzione, disposta su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato. Mediante tale istituto, viene assolta una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Essa è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo, e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. La misura in parola non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché si impone la valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto. La confisca per equivalente può essere applicata unicamente con riguardo a somme percepite anteriormente all’entrata in vigore delle norme che la consentono. In altri termini, essa non può essere applicata retroattivamente, in quanto – come detto – ha natura sanzionatoria, e non di misura di sicurezza patrimoniale. Proprio su tali basi è stata ritenuta manifestamente infondata, dalla Corte Costituzionale sentenza numero 97/2009 , la questione di legittimità degli articolo 200, 322 ter c.p. e 1, comma 143, l. numero 244/2007, censurati, in riferimento all'articolo 117, comma 1, Cost., nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria cosiddetta per equivalente di beni di cui il reo abbia la disponibilità, con specifico riguardo ai reati tributari commessi anteriormente all'entrata in vigore della citata legge del 2007. Il problema si era posto, nella giurisprudenza di legittimità, sulla base della duplice considerazione che il comma 2 dell'articolo 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto, con i principi sanciti dall'articolo 7 CEDU, l'applicazione retroattiva di una confisca di beni, riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente. Al riguardo, si è confermato che la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un «rapporto di pertinenzialità» tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una natura eminentemente sanzionatoria, che impedisce l'applicabilità, a tale istituto, del principio generale dell'articolo 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive. Altra caratteristica fondamentale dell’istitutode quoè che la confisca non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, il che sta a significare che la motivazione del provvedimento che la dispone dovrà dare atto della valutazione della equivalenza fra il valore dei beni confiscati e l’entità del profitto riveniente dal reato. e il rapporto con le prestazioni comunque erogate in favore della Pubblica Amministrazione. La sentenza in commento appare particolarmente interessante, nella parte in cui precisa che il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall’articolo 322 ter c.p., presuppone che l’imputato abbia già conseguito il profitto illecito del reato e che, nell’ambito di un rapporto a prestazioni corrispettive, debba essere necessariamente scisso il profitto confiscabile, direttamente derivato dall’illecito penale, dal profitto determinato dal corrispettivo di una effettiva e corretta erogazione di prestazioni comunque svolte in favore della stessa Pubblica Amministrazione. Secondo i giudici della Seconda Sezione, tali prestazioni non possono considerarsi, di per sé stesse, connotate da illiceità per derivazione della causa remota, non potendosi includere, nella nozione di profitto, qualunque ricavo conseguito per effetto della stipula di un contratto d appalto illecitamente ottenuto nell’ambito di una relazione corruttiva.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 dicembre 2013 – 18 marzo 2014, numero 12761 Presidente Esposito – Relatore Cammino Considerato in fatto 1. In data 10 luglio 2012 il Tribunale di Pistoia con separate ordinanze - pronunciandosi sulle richieste di riesame presentate avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex articolo 322-tercod.penumero disposto il 18 giugno 2012 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia nei confronti di R.G. e O.S.A. sottoposti ad indagini per i reati previsti dagli artt.416, 321 e 353 cod.penumero , e avente ad oggetto quattro autovetture di lusso nella disponibilità del R. e, inoltre, un autoveicolo e la somma di Euro 10.000,00 nella disponibilità dell'O.S. - rigettava la richiesta del R. e accoglieva parzialmente quella proposta dall'O.S. disponendo la restituzione dell'autoveicolo. 2. Dette ordinanze, con sentenze emesse dalla sesta sezione penale di questa Corte in date 27 novembre 2012 sul ricorso del R. e 10 gennaio 2013 sul ricorso dell'O.S. , venivano annullate con rinvio per l'individuazione del valore del profitto confiscabile ai sensi del cpv. dell'articolo 322-ter cod.penumero . 3. Con ordinanza in data 28 febbraio 2013 il Tribunale di Pistoia -pronunciandosi in sede di rinvio, previa riunione delle richieste di riesame - respingeva i ricorsi individuando il profitto illecito nell’ utile dell'esecutore , determinato nel 10% degli importi di aggiudicazione delle gare che il R. e l'O.S. si erano complessivamente aggiudicate. 2. Avverso la predetta ordinanza gli indagati hanno presentato ricorso tramite il loro difensore. 2.1. Con il primo motivo si deduce l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 627, comma terzo, cod.proc.penumero e all'articolo 322-ter cod.penumero . Nelle sentenze di annullamento con rinvio la Corte di cassazione aveva ritenuto fondate le doglianze difensive in ordine alla determinazione del profitto dei contestati reati di corruzione, operata dal tribunale in misura pari al valore degli appalti che la Rosi Leopoldo s.p.a. e la Orsi Ilio s.p.a. erano riuscite ad aggiudicarsi, non potendosi detto profitto identificarsi con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la pubblica amministrazione, ma con la sola componente di effettivo vantaggio economico concretamente conseguito dal corruttore in forza del suo comportamento illecito. Il giudice di rinvio aveva ritenuto di individuare tale utile nel 10% rispetto al valore degli appalti ottenuti a seguito del reato di corruzione, in virtù della documentazione prodotta all'udienza camerale dal pubblico ministero. Il 10% rappresenta, tuttavia, l'utile che l'esecutore dei lavori percepisce lecitamente quale corrispettivo dell'attività svolta nell'interesse del suo contraente, depurato dai costi di natura lecita sostenuti dal soggetto appaltatore sul punto sarebbe stata necessaria una consulenza tecnica. 2.2. Con il secondo motivo si deduce l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 627, comma terzo, cod.proc.penumero sotto il profilo della mancata considerazione che l'illecito vantaggio economico da sequestrare deve essere stato conseguito in concreto, non sussistendo altrimenti alcun profitto confiscabile, e che quindi non bastava nel caso concreto per determinare il profitto la mera aggiudicazione dell'appalto occorrendo invece l'effettivo affidamento e svolgimento dei lavori e la riscossione del pagamento da parte del corruttore. Il Tribunale, invece, avrebbe tenuto conto di un profitto solo presunto 10% sul valore totale degli appalti, prescindendo totalmente dalle somme effettivamente incamerate dagli indagati. Ritenuto in diritto 4. Il ricorso è fondato. 4.1. Nelle sentenze di annullamento con rinvio emesse dalla sesta sezione penale di questa Corte in data 27 novembre 2012 sul ricorso del R. e in data 10 gennaio 2013 sul ricorso dell'O.S. si affermava - conformemente alla giurisprudenza di legittimità sul punto Cass. sez. VI 5 ottobre 2012 numero 42530, Diddi sez. VI 26 marzo 2009 numero 17897, P.M. in proc. Ferretti sez.VI 27 settembre 2007 numero 37556, P.M. in proc. De Petro Mazarino - che, nel caso di corruzione funzionale all'illegittima aggiudicazione di un appalto, il profitto illecitamente lucrato oggetto di confisca ex articolo 322-ter, secondo comma, cod.penumero e, quindi, suscettibile di sequestro in via preventiva non poteva identificarsi con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la pubblica amministrazione, ma con la sola componente di effettivo vantaggio economico che il corruttore avesse conseguito in forza del suo comportamento illecito, la quale certamente non comprendeva il valore a livello di costo delle prestazioni effettivamente fornite alla pubblica amministrazione e di cui questa aveva effettivamente beneficiato. La Corte ha più volte affermato che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché si impone la valutazione relativa all'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto Cass. Sez. VI 23 novembre 2010 numero 45504, Marini sez. III 4 aprile 2012 numero 3260, P.M. in proc. Curro sez. VI 10 gennaio 2013 numero 19051, Curatela fall. Soc. tecno hospital s.r.l. sez. VI 8 aprile 2013 numero 24277, Rolli . Il legislatore ha infatti esplicitamente previsto che il sequestro per equivalente colpisca soltanto beni per un valore corrispondente al profitto conseguito dall'indagato, volendo, con tale espressione, escludere un sequestro indiscriminato dei beni dell'indagato di valore eccedente il profitto del reato, stabilendo così un rapporto di congruità tra il profitto conseguito ed il valore dei beni sottoposti a vincolo e suscettibili di confisca Sez. U, numero 26654 del 27/03/2008 Fisia Italimpianti Spa, nella cui motivazione si chiarisce che l'espropriazione non può comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo del profitto accertato . Sul punto la Corte rileva che le Sezioni Unite sono intervenute successivamente con la sentenza numero 38691 del 2009 ric. Caruso precisando che all'espressione vantaggio economico non va attribuito il significato di utile netto o di reddito , bensì quello di beneficio aggiunto di tipo patrimoniale Cass. Sez. Unite 9 luglio 2004, numero 29951, Curatela fall., in proc. Focarelli 9 luglio 2004, numero 29952, Curatela fall., in proc. Romagnoli , non potendo il termine profitto essere inteso come espressione di una grandezza residuale o come reddito di esercizio, determinato attraverso il confronto tra componenti positive e negative del reddito Sez. Unite 2 luglio 2008, numero 26654, Fisia Italimpianti . Le Sezioni Unite hanno affermato che la delineata nozione di profitto del reato può peraltro subire un ridimensionamento quando il reato, come nel caso in esame, non si inserisca nell'ambito di un'attività totalmente illecita. Infatti allorché la condotta penalmente rilevante venga attuata nell'ambito di un'attività contrattuale e non coincida con la stipulazione del contratto in sé, ma vada ad incidere unicamente sulla fase di esecuzione del programma negoziale, è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall'obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire, pertanto, una componente del profitto da reato, perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale vedi cit. Sez. Unite numero 26654/2008 e, in tema di corruzione, sez. VI 29 aprile 2009 numero 17897, P.M. in proc. Ferretti . Altro principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità è che il profitto del reato presuppone l'accertamento della sua diretta derivazione causale dalla condotta dell'agente, nel senso che occorre una correlazione diretta del profitto con il reato ed una stretta affinità con l'oggetto di questo, escludendosi qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, che possa comunque scaturire, pur in difetto di un nesso diretto di causalità, dall'illecito Cass. Sez. Unite, 19 gennaio 2004 numero 920, Montella . Nella motivazione della sentenza impugnata il giudice di rinvio si è solo formalmente adeguato al principio di diritto espresso nelle sentenze di annullamento con rinvio pronunciate da questa Corte ed ha ritenuto di individuare nei casi concreti il profitto sequestrabile nell' utile dell'esecutore , calcolato sulla base della percentuale di utile desumibile dalla documentazione prodotta dal pubblico ministero costituita 1 dal d.P.R. 5 ottobre 2010 numero 207 che all'articolo 32 elenco dei prezzi unitari, computo metrico estimativo e quadro economico del progetto definitivo elenca le varie voci del quadro economico del progetto definitivo comprendendovi una percentuale del 10% dell'utile dell'esecutore 2 da un estratto del bollettino ingegneri in cui all'articolo 4 prezzi delle opere compiute per nuove costruzioni edili si indica una maggiorazione del 10% per utili d'impresa 3 dal preziario dei lavori pubblici della regione Toscana del 2012 in cui si fa riferimento, al punto 10, di un utile del 10% 4 dalla documentazione relativa all'applicazione in sede locale della percentuale del 10% per la determinazione dell'utile di impresa in relazione ad altri lavori dati in appalto da pubbliche amministrazioni a imprenditori del pistoiese, tra cui lo stesso R. . Il giudice di rinvio ha quindi calcolato la percentuale del 10% degli importi di aggiudicazione delle gare menzionate nei capi d'incolpazione provvisoria rispettivamente contestati all'O.S. e al R. , concludendo che il profitto confiscabile così determinato superava ampiamente il valore di quanto sequestrato ai ricorrenti. La Corte rileva tuttavia che nelle sentenze di annullamento con rinvio sopra citate si precisava anche quanto segue L'illecito vantaggio economico deve poi ovviamente essere stato conseguito in concreto non sussistendo altrimenti alcun profitto confiscabile e, a tal fine, non basta evidentemente la mera aggiudicazione dell'appalto ma occorre l'effettivo affidamento e svolgimento dei lavori e la riscossione del pagamento da parte del corruttore . Non risulta che il giudice di rinvio, il quale si è limitato ad effettuare una mera operazione matematica calcolando la percentuale di utile determinato in astratto e presuntivamente, abbia accertato in concreto se i lavori relativi alle gare in cui risultavano aggiudicatari fossero stati effettivamente eseguiti, se gli importi di aggiudicazione delle gare fossero stati pagati e in quale misura e, di conseguenza, se l'utile fosse stato realmente percepito dai ricorrenti. Si tratterebbe comunque di utili lecitamente percepiti e non del profitto confiscabile, che è quello illecito. La Corte non può fare a meno di rilevare che nella motivazione delle sentenze di annullamento con rinvio era chiaramente ribadito il principio Sez. Unumero numero 26654 del 27/03/2008 sez. VI 26 giugno 2008 numero 42300, P.M. in proc. Finanziaria Tosinvest s.p.a. sez. VI 5 ottobre 2012 numero 42530, Diddi che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall'articolo 322-ter cod. penumero , presuppone che l'imputato abbia già conseguito il profitto illecito del reato e che nell'ambito di un rapporto a prestazioni corrispettive debba essere necessariamente scisso il profitto confiscabile, direttamente derivato dall'illecito penale, dal profitto determinato dal corrispettivo di una effettiva e corretta erogazione di prestazioni comunque svolte in favore della stessa pubblica amministrazione, prestazioni che non possono considerarsi, di per se stesse e per immediato automatismo traslativo, colorate di illiceità per derivazione dalla causa remota, non potendosi includere, nella nozione di profitto, qualunque ricavo conseguito per effetto della stipula di un contratto di appalto illecitamente ottenuto nell'ambito di una relazione corruttiva. Anche il profitto in senso giuridico - inteso come compendio di tutti i vantaggi, patrimoniali e non, diretti o indiretti, derivanti dal reato - non può quindi prescindere, a parere della Corte, dalla considerazione che il profitto del reato, inteso come vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato cfr. citata sentenza Sez. Unite numero 26654 del 2008 , debba essere determinato tenendo conto dell'utilità eventualmente conseguita in concreto , non sussistendo altrimenti alcun profitto confiscabile sez. VI 5 ottobre 2012 numero 42530, Diddi sez. V 14 dicembre 2011 numero 3238, Società Valore s.p.a. sez. VI 26 marzo 2009 numero 17897, P.M. in proc. Ferretti . Nella motivazione della sentenza impugnata espressamente si esclude, invece, la rilevanza dell'effettiva percezione o meno della somma complessiva dal momento che l'articolo 319 c.p. fa riferimento a chi riceve denaro od altra utilità o ne accetta la promessa, per cui il reato sarebbe ugualmente perfezionato . Tale considerazione appare priva di coerenza logica, in quanto dal decreto di sequestro preventivo si evince che al R. e all'O.S. venivano attribuite specifiche e concrete dazioni di denaro o altre utilità in favore di pubblici funzionari e amministratori pubblici in cambio di trattamenti di favore per l'aggiudicazione di gare pubbliche da parte delle amministrazioni locali. Peraltro allorché l'annullamento con rinvio, come nel caso in esame, è stato disposto per violazione od erronea applicazione della legge penale, il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la vantazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato e, ove non prospetti una questione di costituzionalità della norma applicata dalla Corte di cassazione con la statuizione del principio di diritto, nella interpretazione della stessa deve conformarsi al principio di diritto Cass. sez. III 10 gennaio 2012 numero 7882, Montali sez. IV 29 aprile 2009 numero 48352, Savoretti sez. VI 9 gennaio 2009 numero 4546, Sassi . 5. Si impone quindi l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato al Tribunale di Pistoia che, nel puntuale e completo rispetto dei criteri valutativi indicati nelle sentenze di annullamento con rinvio emesse dalla sesta sezione penale di questa Corte in data 27 novembre 2012 sul ricorso del R. e in data 10 gennaio 2013 sul ricorso dell'O.S. , dovrà procedere ad un nuovo esame per l'individuazione del profitto confiscabile ai sensi dell'articolo 322-ter c.p P.Q.M. annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Pistoia per nuovo esame.