Il marito geloso taglia i capelli alla moglie: non è cortesia, ma violenza privata

La condotta del marito non ha costituito, come sostenuto dalla difesa, un aiuto alla moglie che cercava di tagliarsi i capelli da sé, ma l’imposizione di un comportamento in violazione della libertà morale della donna.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10413/13, depositata il 6 marzo. Il caso. Un uomo viene condannato in entrambi i gradi di merito per violenza privata aggravata art. 610 c.p. , in quanto, per gelosia, aveva imposto alla moglie, brandendo le forbici, di subire il taglio dei capelli. Un semplice aiuto? L’imputato ricorre allora per cassazione, sostenendo che in realtà i fatti da lui compiuti integrerebbero i reati di ingiuria e minacce queste ultime, inoltre, non sarebbero state finalizzate al taglio dei capelli, ma ad ottenere chiarimenti su un presunto tradimento della moglie la donna, infatti, voleva tagliarsi i capelli da sé e il marito l’avrebbe semplicemente aiutata. Violata la libertà morale della donna. Secondo gli Ermellini, tuttavia, il ricorso non è fondato i giudici di merito hanno correttamente ricostruito la vicenda, concludendo che effettivamente l’imputato ha minacciato la moglie con le forbici per poi imporle il taglio dei capelli. Tale condotta va inquadrata nella fattispecie dell’art. 610 c.p., che, come ricorda la S.C., punisce non solo il mero atto di umiliazione della persona offesa, ma quello compiuto ricorrendo alla violenza o alla minaccia, imponendo così un comportamento o un’omissione in violazione della libertà morale. La gravità del fatto e l’ostinazione dell’imputato, infine, fanno sì che non possano essere considerate prevalenti le attenuanti generiche per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 gennaio 6 marzo 2013, n. 10413 Presidente Marasca Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione A.G. , persona appartenente all'Arma dei Carabinieri, avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova in data 8 febbraio 2012 con la quale è stata - per quanto qui di interesse-confermata la condanna in ordine al reato di violenza privata aggravata, commesso, per gelosia, il omissis , in danno della moglie C.M. , alla quale imponeva, brandendo le forbici, di subire il taglio dei capelli. Deduce il vizio della motivazione. La difesa aveva sostenuto che i fatti accertati dovessero integrare, separatamente, il reato di ingiuria quanto al taglio dei capelli inflitto per umiliare ed il reato di minacce quanto alla minaccia di sfregio con l'uso delle forbici attese le diverse causali accertate. Ed invece, del tutto illogicamente, a tanto non si era proceduto, per giunta attestandosi in sentenza che il secondo episodio, verificatosi anche con la rottura degli apparecchi cellulari della vittima, non costituisse reato e senza che si facesse discendere da tale rilievo la mancanza dei presupposti per l'applicazione dell'articolo 81 cp. Era stato anche trascurato il rilievo della difesa che aveva fatto notare come le minacce, realizzate brandendo le forbici, non fossero finalizzate al taglio dei capelli ma solo al conseguimento di chiarimenti su quello che l'imputato riteneva essere stato un tradimento da parte della moglie. L'imputato, dal canto suo, aveva dichiarato di avere effettivamente colpito la moglie con un pugno-fatto per il quale non era stata presentata querela - ma di avere operato il taglio dei capelli soltanto per aiutare la moglie che a ciò intendeva provvedere autonomamente. Il difensore eccepisce altresì il vizio della motivazione sulla diniego della concessione con bilanciamento di prevalenza delle attenuanti generiche. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le censure del ricorrente si sostanziano, infatti, prevalentemente, in una doglianza a proposito della ricostruzione accreditata dal giudice del merito ed a proposito, altresì, del mancato accoglimento della versione difensiva una denuncia che non è apprezzabile nella sede della legittimità posto che, in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento rv 215745 . Invero, la sentenza impugnata ha dato atto, con dovizia di particolari, della ricostruzione della vicenda, narrata dalla persona offesa col conforto delle dichiarazioni di ulteriori testi, a proposito della condotta dell'imputato consistita nel minacciarla con le forbici e nell'imporle, per gelosia, il taglio dei capelli. Tale condotta correttamente è stata ritenuta inquadrata nella cornice normativa dell'articolo 610 cp, norma che si differenzia del tutto da quella di ingiuria invocata dal ricorrente in quanto punisce non già il mero atto di umiliazione della persona offesa ma quello posto in essere facendo ricorso alla violenza o alla minaccia ed estrinsecatosi nella imposizione di un comportamento o di una omissione in violazione della libertà morale con ciò distinguendosi anche dal delitto di minaccia il quale perimetra un'area di illecito più ampia, rispetto alla quale risulta speciale quella, più ristretta, prevista dal delitto di cui all'articolo 610 e consistente non già nella mera prospettazione del male ingiusto ma nella utilizzazione di tale prospettazione per costringere altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa. La denuncia della mancata considerazione della versione difensiva, d'altra parte, si sostanzia in una censura sulla valutazione dell'esito di prova non consentita dinanzi alla Corte di cassazione una volta che il giudice dell'appello abbia dato conto, come nel caso di specie, in maniera esaustiva, delle ragioni dell'apprezzamento di una ricostruzione del fatto rispetto alla quale la tesi dell'imputato si pone in insanabile contrasto. Inammissibile, perché ugualmente versato in fatto e illustrato senza il rispetto dei criteri previsti dall'articolo 581 c.p. p., è il rilievo circa il mantenimento dell'aumento di pena ex articolo 81 c.p. Per quel che può rilevare, questa Corte osserva che la contestazione dell'art. 81 cp. contenuta nella imputazionenon ha prodotto effetti nel caso di specie nel quale - escluso il reato sub A per difetto di querela reato la cui sussistenza aveva portato il giudice di 1 grado a procedere all'aumento di pena per continuazione col reato sub B - si è proceduto ex novo alla rideterminazione della pena per il residuo reato sub B , senza che, in tale ottica, sia stato calcolato alcun aumento per continuazione. Infine la censura sul rigetto della richiesta di un'incidenza maggiore, ai fini del computo della pena, delle concesse attenuanti generiche merita rigetto perché si infrange contro la ricostruzione della gravità del fatto e della pervicacia dimostrata dall'imputato in termini negativi, tali da risultare prevalenti rispetto alle tematiche poste a sostegno della richiesta della difesa. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.