Magistrato assolto per prescrizione in sede penale? I fatti accertati possono comunque dar luogo a provvedimenti disciplinari

La prescrizione del delitto non costituisce affermazione di responsabilità del magistrato, da nessun punto di vista, né penale, né disciplinare, ma i fatti che emergono come accertati, dalla sentenza penale che dichiara estinto il reato per prescrizione, possono essere sicuramente valutati in altra sede giudiziaria e ad altri fini.

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza n. 1522 depositata il 27 gennaio 2014, si sono occupate della responsabilità disciplinare dei magistrati, con particolare riferimento alla sospensione delle funzioni e dello stipendio come misura cautelare. Il caso. Un magistrato veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere adottata da un GIP, su istanza del Procurato Generale presso la Corte di cassazione e del Ministro della Giustizia. In ragione di tale carcerazione il magistrato, da un punto di vista disciplinare, veniva sospeso dal diritto delle funzioni e dallo stipendio. All’esito della fase della custodia cautelare, il magistrato era assoggettato alla sospensione provvisoria facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio revocata implicitamente per effetto del suo trasferimento d’ufficio ad altra Corte d’appello. Nel processo penale iniziato nel 1997 il magistrato veniva condannato nel 2008 dal Tribunale competente per favoreggiamento aggravato”, così peraltro modificando l’originaria imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa. Accusa ovviamente estremamente grave. Ma nel merito il Tribunale assolveva il magistrato quanto al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. In appello la sentenza di assoluzione veniva confermata, quanto al profilo poco fa richiamato, mentre gli altri delitti venivano dichiarati estinti per prescrizione siamo nel 2012 . La motivazione della sentenza veniva però depositata nel 2013. Peraltro, in attesa del deposito delle motivazioni, il magistrato, sulla scorta del solo dispositivo di assoluzione, chiedeva al CSM la revoca della misura della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio richiesta che però la Sezione Disciplinare rigettava, confermando la misura sospensiva e il collocamento fuori dall’organico della magistratura. Del resto, la Sezione Disciplinare aveva svolto una valutazione autonoma emergeva la prova di rapporti di frequentazione del magistrato con un certo personaggio e la piena consapevolezza da parte del magistrato stesso della natura e dell’entità delle vicende giudiziarie di cui l’altro era protagonista e della mafiosità” dello stesso. Contro questa decisione il magistrato proponeva ricorso per cassazione. Sette motivi di ricorso, tutti rigettati. Sono sette i motivi di ricorso proposti dal magistrato condannato dalla sezione Disciplinare del CSM. Anticipando l’esito del giudizio, la Sezioni Unite hanno rigettato tutte le doglianze sollevate. Il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura è oggi previsto come sanzione collegata a quella della sospensione dalle funzioni e dello stipendio. Nella fattispecie era incontestata l’applicabilità della sanzione della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, e si impugnava solo il disposto collocamento fuori dal ruolo organico, che, oggi, è disciplinato unitamente alla sospensione e non costituisce in astratto una autonoma sanzione, ma solo una misura cautelare e provvisoria in caso di provvedimenti restrittivi della libertà del magistrato soggetto a procedimento disciplinare nella pendenza di questo, soltanto per il caso che, al magistrato imputato e arrestato, sia irrogabile la sanzione della rimozione o destituzione. Legittimo il collocamento fuori dalla magistratura misura di tutela per lo stesso magistrato. Secondo il Supremo Collegio è quindi legittimo il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, applicabile anche prima del d. lgs. n. 109/2006, ai sensi dell’art. 233 dell’ordinamento giudiziario previgente del 1946 , come misura accessoria che garantisce il magistrato sottoposto a procedimento penale soggetto a misura restrittiva della libertà, di poter ricevere tutto o parte di quanto ad esso di regola spetta quale sua retribuzione e in corrispettivo delle funzioni sospese per ragioni di disciplina, per la sola qualifica di giudice ancora rivestita. Infatti, l’istituto, pur se connesso alla eventuale futura sanzione, è a garanzia del magistrato, cui possono corrispondersi gli emolumenti da lavoro anche se non svolge più le funzioni per le quali viene retribuito. Gli effetti della dichiarata prescrizione del reato in sede penale. In appello alcuni reati erano stati dichiarati estinti per prescrizione. Tra questi il delitto di abuso d’ufficio. Secondo il ricorrente sarebbero emersi quindi presupposti incompatibili con la irrogazione delle misure cautelari della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio e del collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura. Ma le Sezioni Unite sono molto chiare sul punto. Infatti, la rilevata prescrizione del delitto non costituisce affermazione di responsabilità del magistrato, da nessun punto di vista, né penale, né, disciplinare, ma i fatti che emergono come accertati, dalla sentenza penale che dichiara estinto il reato per prescrizione, possono essere sicuramente valutati in altra sede giudiziaria e ad altri fini e, in caso di impugnazione per i soli loro effetti civili. Sotto altro profilo, le Sezioni Unite, nel rigettare una ulteriore doglianza, affermano che se è indubbio che solo il giudicato della sentenza penale di assoluzione per prescrizione può dare certezza dei fatti emergenti dalle pronunce assolutorie del giudice penale, ma gli elementi che da questa pronuncia emergono possono di certo costituire indizi, anche al fine di chiarire i fatti contestati in sede disciplinare, di certo in gran parte corrispondenti a quelli oggetto di imputazione del processo penale concluso con la declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione. La gravità dei fatti contestati in sede penale non poteva essere ignorata. Del resto, e in questo solco, viene altresì precisato che in sede disciplinare e ai fini della sospensione dalle funzioni e del collocamento provvisoria fuori dal ruolo organico della magistratura, la sezione disciplinare può valutare anche i fatti ricostruiti in una sentenza ancora non passata in giudicato, valutandoli, ovviamente, come meri indizi di attribuibilità dell’incolpazione disciplinare al magistrato, rilevanti ai fini del procedimento in corso dinanzi al CSM. In sostanza, in ragione della gravità dei comportamenti contestati al magistrato in sede penale, anche se lo stesso è stato poi assolto per prescrizione dai delitti a lui ascritti, non poteva non tenersi conto di tali fatti in sede disciplinare. Per cui l’applicazione delle sanzioni disciplinari ricordate è apparsa come del tutto

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 14 - 27 gennaio 2014, n. 1522 Presidente Rovelli – Relatore Forte Premesso in fatto Il dr. L.G. , magistrato attinto da misura cautelare di custodia in carcere adottata dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania in data 18 marzo 2000, su istanza del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e del Ministro della Giustizia e per effetto di tale carcerazione veniva sospeso di diritto dalle funzioni e dallo stipendio, con provvedimento del 24 marzo 2000. Successivamente, all'esito della fase di custodia cautelare, lo stesso magistrato era assoggettato alla sospensione provvisoria facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio revocata implicitamente per effetto del suo trasferimento di ufficio ad altra Corte d'appello. Nel processo penale iniziato nel 1997 e a base della misura di custodia in carcere del dr. L. , dopo un conflitto negativo di competenza tra i Tribunali di Catania e di Reggio Calabria risolto da sentenza della Cassazione del 21 giugno 2001 a favore dei giudici siciliani, il Tribunale catanese, con sentenza del 10 gennaio 2008, condannava il dr. L. per favoreggiamento aggravato, così modificando l'originaria imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa. Lo stesso tribunale assolveva nel merito il magistrato dal delitto di concorso esterno sopra indicato, con sentenza confermata dalla Corte d'appello che, all'udienza dell'11 aprile 2012, pronunciava il dispositivo con cui dichiarava prescritti gli altri delitti contestati in primo grado e negava l'aggravante dell'agevolazione delle attività di associazioni di tipo mafioso art. 416 bis c.p. a carico dell'imputato. La motivazione della sentenza della Corte d'appello era depositata in data 1 luglio 2013, oltre un anno dopo la lettura del dispositivo e nelle more, in base solo a quest'ultimo, il dr. L. chiedeva al C.S.M. la revoca della misura della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, istanza che, con ordinanza del 25 luglio 2013, è stata rigettata dalla Sezione disciplinare, che ha confermato la misura sospensiva di cui sopra e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura del ricorrente. Nella domanda di revoca della misura sospensiva dalle funzioni e dallo stipendio e del collocamento fuori ruolo, il dr. L. , premesso che alla presente vicenda era applicabile ratione temporis il solo R.D. 31 maggio 1946 n. 511 ai sensi dell'art. 32 bis del D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, perché i fatti contestati erano stati commessi tutti nel vigore della previgente disciplina, domandava ancora una volta la revoca della misura cautelare in ragione del dispositivo parzialmente assolutorio della sentenza di appello, che aveva confermato, in particolare, l'esclusione della agevolazione di attività mafiose per l'imputato. La Sezione disciplinare del C.S.M., come accennato, ha respinto le istanze di ci sopra del dr. L. , con ordinanza del 12 - 25 luglio 2013, che basa il rigetto sui comportamenti plurimi contestati al magistrato dai quali emergeva la prova di rapporti di frequentazione dello stesso con tale A. e la piena consapevolezza da parte del primo della natura e dell'entità delle vicende giudiziarie di cui l'altro era protagonista e della mafiosità dello stesso. Tali condotte erano potenzialmente compatibili con la sanzione della rimozione del magistrato art. 233 n. 4 del R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 , per cui la misura cautelare di cui era chiesta la revoca appariva legittima e adeguata, e non poteva di conseguenza revocarsi. Per la cassazione dell'ordinanza che precede della Sezione disciplinare del C.S.M. del 25 luglio 2013, L.G. ha proposto ricorso di sette motivi, presentato il 29 agosto 2013 al C.S.M. e depositato presso la Sezione disciplinare di questo il 3 settembre successivo. Analogo e autonomo ricorso per cassazione della indicata ordinanza della sezione disciplinare del C.S.M. datato 23 settembre 2013 è stato proposto dall'avv. M.G. , difensore del L. , sia nel procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare del C.S.M. che nel presente giudizio di cassazione i due ricorsi che precedono sono identificati con distinti numeri di R.G. ma sono stati riuniti prima della udienza di discussione per l'identità di oggetto e di domande proposte nelle distinte impugnative. Considerato in diritto 1. In via preliminare deve dichiararsi inammissibile il ricorso dell'avv. M.G. che si dichiara titolare di potere autonomo di impugnativa , mentre non è legittimato a proporre in proprio il ricorso contro l'ordinanza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore da ora C.S.M. , che solo l'interessato non privato della capacità di agire per altre ragioni e destinatario della misura cautelare e provvisoria della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio prevista nel provvedimento, cioè il dr. L.G. , può impugnare. Come questa Corte ha affermato, già prima della disciplina novellata del procedimento disciplinare dei magistrati S.U. 7 ottobre 1965 n. 2077 e ribadito anche di recente così S.U. 11 marzo 2013 n. 5942 , anche l'applicazione di dette misure provvisorie è impugnabile dal magistrato che da esse è attinto oltre che dal procuratore generale con il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione. Va peraltro precisato che il c.d. collocamento fuori dal ruolo organico del magistrato non costituisce da solo una sanzione disciplinare, consentendo invece al magistrato che, per qualsiasi ragione prevista dalla legge, non possa svolgere le sue funzioni, di percepire gli emolumenti che gli competono eventualmente ridotti , indipendentemente dalla esecuzione delle sue prestazioni di lavoro, oggetto delle funzioni dalle quali è sospeso. 1.1. Il primo motivo del ricorso denuncia violazione di legge dalla sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., e degli artt. 30 e 31 del D. Lgs. 11 maggio 1946 n. 511, sia in ordine al disposto collocamento del L. fuori dal ruolo organico della magistratura per effetto della carcerazione, che al ricollocamento dello stesso in tale ruolo alla fine del periodo di sospensione - obbligatoria e di diritto - dalle funzioni e dallo stipendio. Invero, dopo la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, effetto automatico della custodia cautelare in carcere del L. , non appariva corretta la medesima misura cautelare successiva discrezionale decisa dopo l'escarcerazione del giudice imputato, in applicazione della nuova disciplina del procedimento disciplinare dei magistrati. Nell'ordinanza impugnata si legge che, visto l'art. 22 del D. Lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006 nuova disciplina disciplinare dei magistrati , il C.S.M. ha respinto le istanze del dr. L. e confermato la misura della sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio e quella del collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura di detto giudice, con misura quest'ultima che, come già rilevato, non era prevista come sanzione nel già vigente ordinamento giudiziario applicabile ratione temporis in questa vicenda. Della indicata misura, del resto, lo stesso Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione aveva chiesto, con nota del 19 luglio 2000, la revoca e, contestualmente, il rinnovo della sospensione provvisoria, ai sensi dell'art. 30 del R.D. Lgs. n. 511 del 1946 art. 242 dell'ord. giud. , che fu disposto dal C.S.M. con provvedimento del 3 ottobre 2000, che, ad avviso del ricorrente, costituisce revoca implicita del collocamento fuori ruolo, per effetto della trasformazione con lo stesso disposta della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio da obbligatoria, ai sensi della norma già citata, in facoltativa, ex art. 31 dello stesso ordinamento giudiziario di cui al R.D. da ultimo citato. Invece il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, di cui all'art. 22 del D. Lgs. n. 109 del 2006, non era stato inserito tra le sanzioni nella previgente legislazione e, ai sensi dell'art. 32 bis del D. Lgs n. 109 del 2006, era inapplicabile per fatti commessi prima della entrata in vigore di tale complesso normativo. Anteriori alla citata normativa del 2006 erano i fatti di cui al presente procedimento disciplinare e quindi l'aver disposto lo stesso collocamento fuori ruolo che precede costituisce atto illegittimo, perché al di fuori di ogni attuale disposizione di legge. 1.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione dal C.S.M. degli artt. 606, comma 1, lett. b, c.p.p., in relazione all'art. 578 dello stesso codice, che regolano la decisione di appello sugli effetti civili della sentenza, in caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione. Il C.S.M. afferma che la declaratoria di prescrizione dei delitti di favoreggiamento e abuso di ufficio, di cui il dr. L. era stato imputato, non esclude che la conferma della condanna al risarcimento del danno dell'imputato comporti comunque un giudizio di responsabilità del magistrato che emerge dalla sentenza di proscioglimento del tribunale. Afferma il ricorrente che, a differenza di quanto ritiene la sezione disciplinare, l'abuso di ufficio era stato dichiarato estinto per prescrizione già in primo grado, mentre la Corte d'appello ha esteso tale causa di estinzione del delitto al favoreggiamento, dopo aver escluso l'aggravante della commissione dei fatti per agevolare attività di associazioni mafiose, per cui la condanna di risarcimento del danno in favore dell'Amministrazione dello Stato riguardava il solo favoreggiamento e non l'abuso, per il quale il L. era stato assolto già in primo grado ed era quindi inapplicabile alla fattispecie la norma dell'art. 578 c.p.p., per la quale il giudice dell'appello doveva decidere solo sui capi relativi agli interessi civili. Tale norma prevede invero un caso palese in cui il giudice di appello, qualora vi sia una causa di estinzione del reato, sempre che non ricorra una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. di assoluzione perché il fatto non sussiste, deve decidere sul gravame ai soli effetti delle statuizioni civili, non implicando tali pronunce, a differenza di quanto afferma la sezione disciplinare, un implicito accertamento della responsabilità quanto alla commissione del fatto per cui pendeva il giudizio penale. Ad avviso del ricorrente, la stessa motivazione della Corte d'appello in sede penale determinava l'assoluzione del dr. L. dal delitto di cui era stato imputato nel merito, mentre erroneamente il C.S.M. ha rilevato che l'affermazione di cui a pag. 22 della motivazione della sentenza d'appello penale la intervenuta prescrizione non esclude il fatto , conteneva un giudizio di responsabilità a conferma di quanto deciso a carico del magistrato in primo grado. Esclusa ogni affermazione di responsabilità penale del dr. L. , l'applicata estinzione dei reati ascritti al magistrato per prescrizione, escludeva solamente che, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., l'imputato doveva essere condannato a risarcire il danno al Ministero della giustizia. La sentenza di condanna non poteva rilevare anche in sede disciplinare in ordine ai fatti da essa emergenti, una volta che i reati sui quali essa si pronunciava, erano dichiarati estinti. 1.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia ancora violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e/o dell'art. 606, comma 1, lett. b, c.p.p., in rapporto all'art. 653 c.p.p. che riconosce rilievo di giudicato, nel giudizio disciplinare, alle sole sentenza penali irrevocabili di assoluzione e di condanna, come sancito dall'art. 2 del D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109 e 29 del R.D. n. 511 del 1946, quest'ultimo costituente l'art. 240 del vigente ordinamento giudiziario. Ad avviso del C.S.M., vi era la prova dei fatti costituenti abuso di ufficio, sia pure con la caducazione dell'aggravante di aver compiuto il fatto al fine di agevolare attività mafiose, desumendo, da tali statuizioni della pronuncia penale, l'affermazione della esistenza della prova dei fatti per cui fu formulata l'imputazione penale, in violazione dell'art. 653 c.p.p. e del citato art. 20 del D.Lgs. n. 109 del 2006, che al 3 comma, da rilievo alla sola assoluzione penale, perché il fatto non sussiste o l'imputato non l'ha commesso. Si è quindi erroneamente statuito che l'accertamento del reato di abuso ai sensi dell'art. 323 c.p. fa stato sul fatto storico e sulla responsabilità ai fini disciplinari , anche se la prescrizione dichiarata del reato nel procedimento penale prima della pronuncia definitiva, nessun rilievo può avere del tipo di quello indicato, dovendosi nuovamente valutare il fatto nella nuova sede in cui assume rilevanza per quanto attiene ai rapporti tra giudizio civile e penale di responsabilità, il ricorrente cita S.U. 26 gennaio 2011 n. 1768 . Tutti i reati contestati al dr. L. , anche senza applicare la Legge Cirielli L. 5 dicembre 2005 n. 251 , essendo stata la prescrizione interrotta dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere del magistrato, datata 19-22 marzo 2000, non potevano che essere dichiarati estinti per prescrizione, allorché fu iniziato il procedimento penale a carico del ricorrente, potendosi far giungere la prescrizione alla data massima del 28 dicembre 2007. È stata erronea la conferma in appello delle statuizioni civili in favore del Ministero e a danno del dr. L. , nessun rilievo potendo avere i fatti accertati in sede penale nel procedimento disciplinare oggi sospeso, salvo il caso di assoluzione nel merito dalla Corte d'appello, all'esito del giudizio di cassazione che il ricorrente si riserva di instaurare, al solo fine di impedire ogni effetto della sentenza di proscioglimento penale sui fatti contestati al ricorrente in sede disciplinare. Allo stato il giudice penale, se non può assolvere l'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il reato, è tenuto comunque al proscioglimento, quando il delitto sia prescritto secondo gli indirizzi totalitari della giurisprudenza, per cui le sentenze che dichiarano la estinzione per prescrizione dei delitti, non possono incidere comunque in sede disciplinare. Dopo avere censurato per altri profili, in questa sede irrilevanti, la sentenza di appello che ha condannato il dr. L. per il solo abuso, con valutazioni negative dell'attività della Corte d'appello che lo ha condannato, anche per le non condivise valutazioni degli elementi di prova emersi dalla istruttoria espletata a suo carico, il dr. L. insiste nel censurare la Sezione disciplinare del C.S.M. per non avere tenuto conto del dibattimento penale di primo grado nel processo a suo carico, e delle prove da esso emerse in sede disciplinare. 1.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta disapplicazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., come sostituito dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, per l'omesso esame dal C.S.M. di un fatto decisivo, oggetto della discussione tra le parti, e per difetto o contraddittorietà della motivazione, là dove questa afferma che, alla luce delle sentenze penali di primo e secondo grado, si sarebbe raggiunta la prova dei fatti per i quali fu formulata l'imputazione penale, che la sezione disciplinare desume invece dalle sentenze di proscioglimento per prescrizione, senza considerare il mutamento degli stessi fatti, come accertati in appello rispetto a quanto emerso in primo grado e quindi, non considerando la motivazione della pronuncia di appello, attesa prima della decisione disciplinare per il lungo periodo dal dicembre 2012 al luglio del 2013. In realtà, l'originaria accusa di concorso esterno in associazione mafiosa si è dissolta sia in primo che in secondo grado, e la disposta sospensione dalle funzioni e dallo stipendio si fondava esclusivamente sui fatti oggetto del detto originario capo di imputazione. La istanza di revoca della misura cautelare della sospensione dalle funzioni e di collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, si fondava quindi su una serie di fatti nuovi in particolare, era stato ritenuto insussistente il delitto di cui all'art. 416 bis c.p., con rigetto dell'impugnativa sul punto delle Procure di Catania e il reato di favoreggiamento s'era dichiarato prescritto, con esclusione dell'aggravante della agevolazione dell'attività mafiosa, anche per il reato di abuso già ritenuto estinto per prescrizione in primo grado, per cui è stata revocata l'interdizione dai pubblici uffici dell'incolpato. Riprodotti alcuni punti della motivazione della sentenza della Corte d'appello di Catania, che aveva mandato assolto per estinzione per prescrizione dai reati allo stesso ascritti, il dr. L. , la Corte d'appello rileva come, nei confronti di quest'ultimo, si era trasformato in indizio un semplice sospetto, escludendosi che il magistrato avesse indotto alcuni collaboranti a rendere dichiarazioni negative nei confronti di terzi e rilevando la speciosità delle posizioni degli accusatori del magistrato, con esclusione di ogni prova del delitto di cui all'art. 416 bis c.p. e la sostanziale insoddisfacente prova dell'agevolazione allo stesso L. contestata, evitando ogni altro approfondimento sull'accusa per la prescrizione del delitto che poteva escludere altre valutazioni dei fatti, in tal modo non approfondendo la assente o difettosa motivazione della pronuncia di appello a carico del ricorrente. 1.5. Con il quinto motivo di ricorso il dr. L. lamenta violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in rapporto all'art. 32 bis del D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109 come modificato dalla L. 24 ottobre 2006 n. 26, per avere la sezione disciplinare del C.S.M. disapplicato la disciplina di cui al citato d. Lgs. n. 109 del 2006, per un procedimento disciplinare iniziato prima dell'entrata in vigore di detto decreto per fatti antecedenti alla stessa. Per un abuso di diritto dichiarato prescritto del ricorrente, s'è applicata la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio durata oltre dodici anni solo nel giudizio di merito disciplinare, potrà essere valutata eventualmente anche la sospensione come sanzione disciplinare subita per un periodo lunghissimo dal ricorrente. 1.6. Si lamenta poi la violazione dell'art. 360, 1 comma, n.ri 3 e 5, c.p.c., in rapporto all'art. 32 bis del D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, come poi modificato con la legge n. 26 del 2005 e degli artt. 28 e ss. del R.D. 31 maggio 1946 n. 511 e 57 e ss. del D.P.R. 16 settembre 1958 m. 916. Del tutto generica è la motivazione dell'applicazione della grave misura oggetto di impugnazione in questa sede, in ordine alla valutazione prognostica della irrogazione della rimozione o della destituzione del dr. L. , cioè delle sole sanzioni definitive che uniche possono giustificare la misura cautelare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. Lamenta il ricorrente che la prescrizione dichiarata in sede penale per i reati di favoreggiamento e di abuso dichiarati estinti, avrebbe dovuto comportare una nuova valutazione dei fatti in sede disciplinare, non comprendendosi donde il C.S.M. abbia desunto l'elemento psicologico del comportamento contestato al ricorrente, non avendo la sezione disciplinare neppure esaminato i fatti oggetto della incolpazione. Il mancato rilievo dato ai buoni precedenti professionali del ricorrente costituivano elementi di cui doveva tenersi conto, per escludere la irrogazione della misura cautelare della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, compatibile solo con la rimozione, essendo inapplicabile quella del collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura neppure prevista dal precedente sistema di cui all'art. 29 del R.D. n. 511 del 1946. 1.7. Con il settimo motivo di ricorso si censura l'omesso esame dal C.S.M. del fatto decisivo del rapporto di frequentazione tra il dr. L. e l'A. , la cui mafiosità egli non poteva ignorare, per la natura e l'entità delle varie vicende giudiziarie in cui lo stesso era implicato. Afferma il ricorrente che non vi sono elementi nella sentenza sulla responsabilità penale del L. , dai quali emergano i rapporti di frequentazione di cui sopra con l'A. , essendosi comunque escluso la prova dell'associazione mafiosa del ricorrente con quest'ultimo. In sostanza, il C.S.M. nessun rilievo ha dato alla sentenza di appello in sede penale e alla sostanziale riforma da questa della pronuncia di primo grado, non prendendo posizione specifica sulla frequentazione contestata al ricorrente in questa sede. 2.1. Il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura è oggi previsto come sanzione collegata a quella della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio art. 10, 1 comma, D.Lgs. n. 109 del 23.2.2006 . In precedenza, era regolato dagli artt. 210 e ss. dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, nel testo successivamente coordinato in conformità alle norme della Costituzione con il r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511 e con altre norme. Esso non costituiva, per il previgente ordinamento, una sanzione come potrebbe essere invece nell'attuale disciplina degli illeciti dei magistrati, ma era solo misura cautelare e provvisoria, strumentale in rapporto alla sanzione eventuale della rimozione o destituzione del magistrato, ai sensi dell'art. 233 dell'ord. giud. del 1946. L'art. 241 dell'ordinamento citato prevedeva la sospensione di diritto dalle funzioni e dallo stipendio del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e che lo stesso fosse collocato fuori dal ruolo organico della magistratura dal giorno in cui, nei suoi confronti, fossero state emesse misure restrittive della libertà personale. Sia la sospensione dalle funzioni che il collocamento fuori ruolo costituiscono oggi sanzioni disciplinari collegate tra loro art. 10 D.lgs. n. 109 del 2006 e S.U. 25 novembre 2008 n. 28046 , e possono applicarsi anche per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 109 del 2006, ai sensi dell'art. 32 bis di tale decreto, solo se più favorevoli all'incolpato di quelle irrogabili in base alla normativa previgente. Nella fattispecie, è incontestata l'applicabilità della sanzione della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, e si impugna solo il disposto collocamento fuori dal ruolo organico che, oggi, è disciplinato unitamente con detta sospensione e non costituisce in astratto una autonoma sanzione, ma solo misura cautelare e provvisoria, da applicare in caso di provvedimenti restrittivi della libertà del magistrato soggetto a procedimento disciplinare nella pendenza di questo, soltanto per il caso che, al magistrato imputato e arrestato, sia irrogabile la sanzione della rimozione o destituzione, già prevista dall'art. 233 dell'ordinamento giudiziario previgente ed, oggi, dall'art. 11 del D.Lgs. n. 109 del 2006. L'istituto, pur se connesso alla eventuale futura sanzione è a garanzia del magistrato, cui possono corrispondersi gli emolumenti da lavoro anche se non svolge più le funzioni per le quali viene retribuito. È quindi legittimo il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, applicabile anche prima del D.Lgs. n. 109 del 2006, ai sensi dell'articolo 233 sopra citato dell'ordinamento giudiziario, come misura accessoria che garantisce al magistrato sottoposto a procedimento penale e soggetto a misura restrittiva della libertà personale, di poter ricevere tutto o parte di quanto ad esso di regola spetta quale sua retribuzione e in corrispettivo delle funzioni sospese per ragioni di disciplina, per la sola qualifica di giudice ancora rivestita. Il primo motivo del ricorso deve quindi rigettarsi perché infondato. 2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché non autosufficiente, non rinvenendosi in esso elementi, tratti dalla sentenza penale di appello, che ha dichiarato prescritto il delitto di abuso di ufficio, da cui possano rilevarsi circostanze incompatibili con la irrogazione delle misure cautelari della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio e del collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, essendo comunque in astratto possibile la rimozione del magistrato, anche come sanzione finale del procedimento disciplinare. La rilevata prescrizione del delitto non costituisce affermazione di responsabilità del dr. L. , da nessun punto di vista, né penale né disciplinare, ma i fatti che emergono come accertati, dalla sentenza penale che dichiara estinto il reato per prescrizione, possono essere sicuramente valutati in altra sede giudiziaria e ad altri fini e, in caso di impugnazione per i soli loro effetti civili. L'art. 578 c.p.p. relativo all'impugnazione della sentenza penale, con condanna in favore della parte civile, è certamente inapplicabile alla fattispecie, in cui assume rilievo il solo art. 653 c.p.p., che disciplina l'efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione nel giudizio disciplinare, in cui possono certamente essere ricostruiti i fatti contestati all'incolpato, sulla base di una sentenza penale di assoluzione per prescrizione del reato contestato. Il secondo motivo di ricorso è pertanto, come detto, inammissibile, non chiarendo i fatti erroneamente valutati in sede disciplinare e desunti dalla sentenza penale di assoluzione per prescrizione del reato. 2.3. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché non autosufficiente o specifici in ordine alla individuazione dei fatti accertati in sede penale, che il ricorrente ritiene rilevanti e segnala per giungere ad una diversa conclusione del giudizio disciplinare. Se è indubbio che solo il giudicato della sentenza penale di assoluzione per prescrizione, può dare certezza dei fatti emergenti dalle pronunce assolutorie del giudice penale, gli elementi che da questa pronuncia emergono possono di certo costituire indizi, anche al fine di chiarire i fatti contestati in sede disciplinare, di certo in gran parte corrispondenti a quelli oggetto di imputazione nel processo penale concluso con la declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione. Anche il terzo motivo di ricorso è stato proposto senza indicare gli elementi di fatto che consentano di negare il rilievo indiziario dato alla sentenza d'appello penale in sede disciplinare, certamente limitato, come afferma lo stesso ricorrente, che deduce anzi che, nella fattispecie, il C.S.M. non avrebbe tenuto conto dei fatti come ricostruiti nel giudizio di appello penale, ma solo di quelli emersi dalla sentenza di primo grado del tribunale sempre nello stesso processo penale, senza chiarire gli elementi che avrebbero scagionato il dr. L. dinanzi alla sezione disciplinare del C.S.M. anche il terzo motivo di ricorso deve quindi dichiararsi precluso, coinvolgendo solo valutazioni di merito e di fatto, cui non può darsi accesso nel giudizio di cassazione. 2.4. In sede disciplinare e ai fini della sospensione dalle funzioni e del collocamento provvisorio fuori dal ruolo organico della magistratura, la sezione disciplinare può valutare anche i fatti come ricostruiti in una sentenza ancora non passata in giudicato, valutandoli, ovviamente, come meri indizi di attribuibilità dell'incolpazione disciplinare al magistrato, rilevanti ai fini del procedimento in corso dinanzi al C.S.M In sostanza, l'abuso dichiarato prescritto del dr. L. , costituiva comportamento disciplinarmente rilevante e di gravità peculiare, in rapporto alle delicate funzioni svolte dal dr. L. , quale magistrato. Dei comportamenti contestati a quest'ultimo in sede penale, anche se il dr. L. è stato assolto per prescrizione dai delitti a lui ascritti, non poteva non tenersi conto in sede disciplinare, nella quale furono correttamente applicate le sanzioni della sospensione dallo stipendio e dalle funzioni e del connesso collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura dell'incolpato, quest'ultimo non classificabile come sanzione. Complessivamente dal processo penale per fati gravissimi da cui il dr. L. risulta assolto, sono emersi comunque fatti disciplinarmente rilevanti a carico di quest'ultimo, che hanno giustificato le sanzioni irrogate e il ricorso non indica quali elementi, risultanti dai provvedimenti emessi nel giudizio penale e dalle sentenze pronunciate in quella sede, abbiano evidenziato esimenti o cause di non responsabilità anche in sede disciplinare, per il dr. L. . 2.5. In realtà anche la disciplina del D. lgs. 109 del 2006 se più favorevole all'incolpato poteva applicarsi e il confronto tra tale normativa e l'art. 30 del R.D. legislativo 31 maggio 1946 n. 511 evidenzia chiaramente che la previgente disciplina era da applicarsi ratione temporis, salvo a ritenere più favorevole quella attualmente vigente. Non è dubitabile che, quanto meno per gli effetti automatici in sede disciplinare delle assoluzioni in sede penale, doveva applicarsi la nuova regolamentazione più favorevole all'incolpato ed esattamente fu applicato nella fattispecie dalla sezione disciplinare. Per il profilo indicato, pertanto, anche il quinto motivo di ricorso è infondato. 2.6. Il sesto motivo di ricorso censura in realtà le valutazioni di merito della sezione disciplinare del C.S.M. ed è per tal profilo inammissibile. Con esso è censurata una valutazione della sezione disciplinare in ordine alla previsione che dalla sentenza di questa si ricava, della possibile sanzione della rimozione, unica idonea a giustificare la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, così entrando inammissibilmente nelle ragioni di merito della decisione della sezione disciplinare, per tale profilo non impugnabile per cassazione. 2.7. Anche l'ultimo motivo di ricorso censura il merito dell'ordinanza impugnata che non costituisce giudizio di responsabilità ma solo prognosi necessaria della irrogazione di tale eventuale sanzione della rimozione, per giustificare l'applicazione della misure cautelari patrimoniali e professionali oggetto del presente processo. L'ultimo motivo di ricorso è quindi anche esso inammissibile, censurando l'ordinanza del C.S.M. per sole ragioni di merito. 3. In conclusione, il ricorso del dr. L. deve rigettarsi e quello dell'avv. M. va dichiarato inammissibile, nulla disponendosi per le spese, non essendosi l'intimato Ministero della Giustizia difeso in questa sede. La causa è esente da contributo unificato e comunque ad essa non può applicarsi ratione temporis l'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, rilevante nei soli procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di tale ultima legge. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso proposto da L.G. e dichiara inammissibile quello dell'avv. M.G.R. .