Insulta il capo dandogli dell’«ignorante»: solo la prescrizione salva il dipendente

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto l’imputato colpevole del reato a lui ascritto per questo, rilevata l’intervenuta prescrizione, i giudici di legittimità rigettano il ricorso per quanto attiene agli interessi civili.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza numero 7901/13, depositata il 18 febbraio. Il caso il datore è «ignorante»? Il dipendente di una società viene riconosciuto colpevole del reato di ingiuria per aver definito «ignorante» il proprio datore di lavoro. L’imputato ricorre allora per cassazione, lamentando il fatto che i giudici di merito non avrebbero valutato correttamente le deposizioni dell’offeso e dei testi l’espressione usata intendeva semplicemente stigmatizzare il comportamento del datore, il quale ignorava che la moglie dell’imputato, in congedo per gravidanza, aveva diritto di ritirare i propri effetti personali. Inoltre, a giudizio del ricorrente, gli atteggiamenti assunti dalla parte offesa nei confronti della coppia potrebbero fondare le esimenti della provocazione o della reciprocità. La motivazione è corretta, ma è maturata la prescrizione. Rilevato che il reato è ormai estinto per intervenuta prescrizione, la S.C., pur riconoscendo il contesto di forte contrapposizione tra il datore di lavoro e i due dipendenti, ritiene che le censure prospettate siano volte, in sostanza, a proporre una ricostruzione della vicenda alternativa a quella operata in sede di merito e congruamente motivata. Per questo motivo, gli Ermellini annullano senza rinvio la sentenza limitatamente alle statuizioni penali, rigettando il ricorso agli effetti civili.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 luglio 2012 – 18 febbraio 2013, numero 7901 Presidente Zecca – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. V M. ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza del 7-4-2011 che, confermando quella del Tribunale di Melfi in data 8-2-2010, lo aveva ritenuto responsabile del reato di ingiuria nei confronti di S.B D., amministratore della società Stampi 4 spa, di cui l'imputato e la moglie erano dipendenti. 2. Il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito fatto malgoverno delle deposizioni della persona offesa, che inizialmente aveva prospettato anche reati più gravi per i quali era intervenuta assoluzione, e degli altri testi dell'accusa, tutti dipendenti della società, nonché trascurato il contesto e il significato della parola ignorante nell'uso che l'imputato aveva inteso farne per stigmatizzare il comportamento del datore di lavoro il quale ignorava che la moglie, in congedo per gravidanza, aveva il diritto di ritirare i propri effetti personali dalla postazione di lavoro. 3. Inoltre la sentenza non aveva tenuto conto che gli atteggiamenti del D. nei confronti della coppia, potevano dar luogo alle esimenti della provocazione o della reciprocità. Comunque il reato era prescritto. Considerato in diritto 1. Poiché alcune doglianze non presentano profili di inammissibilità agli effetti penali, non essendo ravvisabile la prova evidente dell'innocenza del prevenuto, va dichiarata l'estinzione del reato essendone maturato il termine massimo di prescrizione alla data del 1-6-2011, successivamente alla sentenza di secondo grado. 2. Agli effetti civili, ex articolo 578 cod. proc. penumero , il gravame è nel complesso infondato e va disatteso. 3. Per quanto, infatti, la vicenda sia effettivamente maturata in un contesto di forte contrapposizione tra il datore di lavoro persona offesa e l'imputato e sua moglie, dipendenti, nel quale, in ottica difensiva, M. avrebbe inteso soltanto stigmatizzare la mancata conoscenza da parte del primo di alcuni profili della normativa sul congedo per gravidanza, di cui la moglie intendeva usufruire, le censure di violazione di legge e malgoverno delle prove si muovono, a ben vedere, sostanzialmente nell'orbita di censure di merito, intese ad accreditare una ricostruzione della vicenda alternativa a quella, coerente con le risultanze e non manifestamente illogica, condivisa dalla corte territoriale. 4. È poi inammissibile la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle esimenti della ritorsione e della provocazione, non formulata nell'atto di appello, in cui si era sostenuta la ricorrenza della legittima difesa o dello stato di necessità. 5. La sentenza va quindi annullata senza rinvio, limitatamente alle statuizioni penali, per intervenuta prescrizione del reato, essendo il ricorso da rigettare agli effetti civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio le statuizioni penali della sentenza impugnata perché estinto per intervenuta prescrizione il reato addebitato Rigetta l'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi che concernono gli interessi civili.