Nella verifica delle soglie di punibilità, il giudice penale non è vincolato alla misura dell’imposta concordata tra contribuente ed ufficio in sede di adesione.
Il caso. A seguito della contestazione del reato di dichiarazione infedele ex articolo 4, d.lgs. numero 74/2000, il Gip disponeva il sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un importo pari a circa 130.000 euro. Il Tribunale del Riesame annullava il decreto, osservando che, in esito alla procedura di accertamento con adesione, l’ammontare dell’imposta evasa era stato rideterminato in misura inferiore 30.000 euro alla soglia di punibilità prevista in relazione alla fattispecie di reato contestata 103.291,38 euro . Con la sentenza numero 5640/2012, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dalla Procura della Repubblica. Il reato di dichiarazione infedele. L’articolo 4, d.lgs. numero 74/2000, condiziona la rilevanza penale della condotta di dichiarazione infedele al superamento di due soglie. È necessario che ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni - l’imposta evasa deve essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila - l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, deve essere superiore a euro due milioni. Questi importi sono stati modificati dall’articolo 2, d.l. numero 138/2011. Nel caso di specie, sono applicabili le soglie contemplate nel testo previgente della disposizione, vale a dire, rispettivamente, 103.291,38 euro e 2.065.827,60 euro. Il superamento della soglia quale condizione oggettiva di punibilità. Secondo costante giurisprudenza di legittimità cfr., per tutte, Cass. numero 25213/2011 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa costituisce una condizione oggettiva di punibilità, sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente. Al di sotto di tale soglia, la violazione dell’obbligo tributario non determina conseguenze penali ma soltanto civilistiche, vale a dire interessi di mora e sanzioni amministrative. La verifica del superamento della soglia di punibilità. Per verificare se la soglia di punibilità sia stata o meno superata, in prima battuta rileva la misura del debito tributario così come accertata dall’Amministrazione finanziaria cfr. Cass. numero 24811/2011 . Le interferenze del giudizio tributario. È anche possibile che il giudice tributario rimoduli al ribasso o addirittura cancelli la pretesa tributaria. Secondo la Corte di Cassazione, l’esito del contenzioso tributario non vincola il giudice penale, il quale può «eventualmente pervenire – sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario – ad un convincimento diverso e ritenere nondimeno superata la soglia di punibilità per essere l’ammontare dell’imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario» Cass. numero 21213/2008 . Le interferenze dell’accertamento con adesione. Nel caso di accertamento con adesione, la pretesa tributaria viene rideterminata attraverso un accordo tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Il Collegio osserva che, come nel caso in cui si sia espresso il giudice tributario, anche nell’ipotesi in esame il giudice penale non è vincolato all’importo concordato, ma, per poter discostarsi da esso, «occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta». Nel caso di specie, la ricorrente Procura della Repubblica non aveva allegato alcuna circostanza di fatto che smentisse l’attendibilità dell’importo concordato in sede di adesione.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 dicembre 2011 – 14 febbraio 2012, numero 5640 Presidente Petti – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Il P.M. presso il tribunale di Napoli procedeva nei confronti di M.N. per il reato di evasione d'imposta di Euro 127.514,82 per l'anno 2008 articolo 4 d. lgs. 10/3/2000 numero 74 . In data 12 aprile 2011 il GIP del Tribunale di Napoli disponeva il sequestro preventivo dei beni mobili ed immobili nel possesso dell'indagato per un ammontare di valore complessivo equivalente alla imposta evasa. Avverso tale decreto la difesa del M. proponeva rituale e tempestiva istanza di riesame in data 2.5.2011. All'udienza del 10 maggio 2011, il difensore dell'indagato depositava memoria con allegata documentazione tributaria per dimostrare come l'ammontare della imposta evasa era stato più concretamente determinato dall'Ufficio dell'Agenzia delle entrate di Pozzuoli definizione bonaria della vertenza tributaria, verbale del 16 marzo 2011 in Euro 31.685,64, somma da corrispondere attraverso un piano d'ammortamento, la cui prima rata risultava già versata dal contribuente. Concludeva quindi per l'annullamento dell'impugnato decreto di sequestro per difetto dei presupposti di legge, ponendosi l'ammontare della imposta evasa ben al di sotto della soglia di punibilità prevista dalla legge Euro 103.291, 38 . Il tribunale del riesame con ordinanza del 10 maggio 2011 accoglieva l'istanza dell'indagato e per l'effetto annullava il decreto di sequestro preventivo e disponeva l'immediata restituzione all'avente diritto dei beni sottoposti a sequestro in esecuzione del decreto impugnato. Osservava il Tribunale che la difesa aveva dimostrato che l'ammontare della somma evasa, ad un più corretto ed approfondito accertamento svolto in contraddittorio, era ampiamente inferiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge per il delitto contestato. 2. Avverso questa pronuncia il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli propone ricorso per cassazione con un unico motivo. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in un unico motivo. Deduce il Procuratore della Repubblica ricorrente che la rideterminazione dell'importo da recuperare a tassazione fatta dall'Agenzia delle Entrate, a seguito della quale l'imposta evasa è scesa al di sotto della soglia legale, si fonda su un accertamento con adesione fatto dal contribuente indagato con l'Ufficio finanziario. Il ricorrente invoca il principio sancito dall'articolo 20 d.lgs. 74/00 secondo cui il procedimento amministrativo tributario e il giudizio tributario, in caso di contenzioso, non possono condizionare l'indagine penale in corso. Ciò implica che le evidenze raccolte in sede di indagine preliminare vanno sottoposte al vaglio tipico della procedura penale il che può comportare la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti di frode al fisco o di dichiarazione infedele, nonostante ogni diversa valutazione fatta l'Ufficio finanziario. Nel caso concreto il Tribunale - sostiene il Procuratore della Repubblica ricorrente - ha omesso di verificare se le risultanze fornite dalla Guardia di Finanza costituissero comunque indizi gravi precisi e concordanti sulla sussistenza del reato e dunque sull'ammontare dell'imposta evasa per come calcolata dalla GdF, sulla base delle prove documentali raccolte e della ricostruzione svolta. La negoziazione tra il contribuente e il Fisco è invece valutabile penalmente soltanto all'atto dell'irrogazione delle pena, come circostanza attenuante, ma non incide sulla verifica della prova del fatto. 2. Il ricorso è infondato. Il reato per il quale si procede è quello di dichiarazione infedele contemplato dall'articolo 4 d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, che prevede che, fuori dei casi di dichiarazione fraudolenta di cui agli articolo 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi. La condotta quindi consiste nella dichiarazione non veritiera id est infedele . Tale condotta è però penalmente rilevante solo quando, congiuntamente a l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a Euro 103.291,38 b l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a Euro 2.065.827,60. Il superamento di tale soglia rappresentata dall'ammontare dell'imposta evasa costituisce - come già riconosciuto questa corte Cass., sez. III, 26 maggio 2011 - 23 giugno 2011, numero 25213 - una condizione oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente. Una soglia di punibilità analoga, ma meno elevata, è fissata dal successivo articolo 5 del d.lgs. numero 74 del 2000 che prevede l'ipotesi dell'omessa dichiarazione dei redditi. Al di sotto di tale soglia di punibilità l'interesse dell'amministrazione finanziaria all'esattezza delle dichiarazioni annuali dei redditi e dell'IVA è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione dell'obbligo posto a carico del contribuente interessi di mora e sanzioni . Rileva quindi, in linea di massima, l'accertamento del quantum dell'obbligo tributario. Cfr. Cass., sez. III, 28 aprile 2011 - 21 giugno 2011, numero 24811 che ha affermato che al fine del superamento della soglia di punibilità il giudice può legittimamente avvalersi dell'accertamento induttivo dell'imponibile compiuto dagli uffici finanziari. Ma non è ipotizzabile il reato laddove la pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria si collochi al di sotto della soglia suddetta. Ciò non toglie però che - come ha affermato Cass., sez. III, 26 febbraio 2008 - 28 maggio 2008, numero 21213 - che ai fini dell'individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario. Quindi è ben possibile che la pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria venga ridimensionata o addirittura invalidata nel giudizio innanzi al giudice tributario. Ciò però non vincola il giudice penale e quindi non può escludersi che quest'ultimo possa eventualmente pervenire - sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario - ad un convincimento diverso e ritenere nondimeno superata la soglia di punibilità per essere l'ammontare dell'imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario. Ma i possibili esiti del giudizio tributario, che può definirsi anche con una pronuncia meramente in rito, costituiscono un dato ben distinto dalla pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria che fissa il limite della soglia di punibilità il giudice penale non è vincolato all'accertamento del giudice tributario, ma non può prescindere dalla pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria. L'accertamento con adesione e ogni forma di concordato fiscale si collocano sul crinale della distinzione appena tracciata c'è un'iniziale pretesa tributaria che poi viene ridimensionata non già dal giudice tributario, ma da un atto negoziale concordato tra le parti del rapporto. Nondimeno il giudice penale non è vincolato all'imposta così accertata ma per discostarsi dal dato quantitativo risultante dall'accertamento con adesione o dal concordato fiscale per tener conto invece dell'iniziale pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria al fine della verifica della soglia di punibilità prevista dagli articolo 4 e 5 citati occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l'iniziale quantificazione dell'imposta dovuta. Nella specie il tribunale ha verificato che l'imposta risultante dall'accertamento con adesione era sensibilmente inferiore alla soglia di punibilità e correttamente ha ritenuto venir meno, al fine della cognizione dei fatti in sede cautelare, il fumus commissi delicti . Laddove il Procuratore della Repubblica ricorrente, pur esattamente deducendo l'autonomia di valutazione del giudice penale, non ha allegato alcuna circostanza di fatto, risultante dagli atti di indagine e non considerata dal tribunale, per poter ritenere che l'imposta evasa fosse di importo maggiore e raggiungesse la soglia di punibilità. 3. Pertanto il ricorso va rigettato. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso.