Italia condannata per non aver impedito la rottura dei rapporti tra padre e figlio, causata dalla madre

La CEDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art 8 Cedu, ma non dell’art 13 non ha adottato misure atte a tutelare l’esercizio del diritto di visita ed a ricostruire il legame familiare tra padre e figlio, definitivamente deteriorato dall’ostilità della madre e dall’inerzia delle autorità competenti al rispetto di questi diritti fondamentali e delle sentenze del Tribunale dei Minori.

La sentenza della CEDU, sez. II, relativa al caso Nicolò Santilli comma Italia ricomma 51930/10 , una delle poche favorevoli al padre separato o divorziato, è stata emessa il 17 dicembre 2013, pochi giorni dopo che lo Stato ha varato una legge che parifica i figli legittimi a quelli naturali ed ha garantito il diritto di visita anche ai nonni. Il caso. Un padre, residente ad Urbino, si separava dalla madre di suo figlio Y, trasferendosi da Ancona, ove la famiglia risiedeva, dai suoi genitori a Foligno. Nel 2006 il Tribunale dei Minori di Perugia e non di Foligno come erroneamente indicato in sentenza , competente a giudicare l’affidamento dei minori nati da una convivenza more uxorio , decretò, nell’esaminare la richiesta dei genitori, che la madre ne avesse la custodia e che il padre avesse il diritto di visita un giorno alla settimana e quello di trascorrere assieme 15 giorni durante le vacanze. Incaricava i servizi sociali di Foligno di seguire gli incontri e di preparare una relazione sulla situazione della famiglia. Questo diritto, però, non veniva rispettato, come dato atto dalle autorità giudiziarie e la relazione evidenziava che la madre denigrava il padre, sì che il figlio non voleva avere rapporti con lui e, perciò, aveva un equilibrio psicofisico precario, mentre il ricorrente aveva un atteggiamento passivo. Si consigliava, perciò, di revisionare i termini delle visite, portandole a due volte a settimana senza la presenza della donna, ma l’ordine è stato disatteso perché continuava a presenziare agli incontri anche telefonicamente ed aveva sempre un atteggiamento aggressivo. Sono stati sospesi perché il figlio odia il padre ed ogni tentativo di mediazione è fallito. L’odissea del piccolo, nel frattempo affidato ai servizi sociali, si è giudizialmente conclusa il 7/12/12 quando la procura ha ordinato al Tribunale di emettere un provvedimento che confermasse il diritto di visita secondo le modifiche richieste. Si noti che il bimbo, pur essendo esclusa la PAS, ha sviluppato un’avversione nei confronti del padre tale da rendere vano ogni tentativo di sottoporlo a terapie come suggerito dal neuropsichiatra nominato dal giudice. Tutte le istanze presentate dall’uomo al G.T. sono restate inevase. Il padre è, quindi, ricorso alla CEDU chiedendo la condanna dell’Italia per la violazione del suo diritto alla vita privata e familiare articolo 8 e per la carenza di rimedi interni atti a tutelare i suoi diritti e le sue libertà fondamentali articolo 13 , quest’ultima doglianza, però, è stata respinta. È discriminatorio preferire la madre al padre. Premesso che la materia è delicata e che il diritto sulla stessa è in continua evoluzione, non si può negare che in genere la giurisprudenza e le leggi italiane tendono a preferire la figura materna a quella paterna, soprattutto in tema di affidamento. La legge sull’affidamento condiviso non ha mutato questa situazione, perché la convivenza è quasi sempre con la madre. Nella fattispecie Santilli critica l’inerzia dei servizi sociali e del Tribunale dei Minori che, pur rilevando la compromissione del legame padre-figlio, dovuto alla condotta ostile della donna, che ha perseverato a presenziare agli incontri malgrado il divieto dello stesso, de facto non hanno adottato misure atte a ricostruirlo nell’interesse del minore ad avere un legame familiare con entrambi. In breve hanno violato l’obbligo positivo di fungere da garanti della tutela della genitorialità e dei diritti del minore ad avere una famiglia, id est un rapporto con entrambi i genitori, fondamentale per il suo sviluppo psicofisico e per evitargli ulteriori traumi. Il Tribunale doveva vigilare sull’operato dei servizi sociali e sulla madre, mantenendo un atteggiamento equidistante nell’interesse del minore, ma ciò non è avvenuto ed è per questo che il governo è stato condannato ex articolo 8 Cedu. Invero la CEDU rileva questi oneri negativi e positivi finalizzati al rispetto della vita familiare, che si concretizza nel proteggere e nel favorire le relazioni interpersonali tra gli individui che la compongono, adottando misure atte a raggiungere questo fine, tra cui la creazione di un arsenale giuridico adeguato e sufficiente a garantire i legittimi diritti delle persone interessate nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o opportune misure specifiche che, vista la delicatezza della materia e degli interessi in gioco, devono essere adottate con la massima cautela possibile X. comma Lettonia del 26/11/13, Lombardo comma Italia del 29/1/13, Piazzi comma Italia del 2/11/10 e Bianchi comma Svizzera del 22/6/06 voci Children Rights e Parental Rights nei factsheets . Saranno efficaci nella misura in cui garantiranno rapidamente tali diritti e libertà, senza tuttavia prescindere dalla collaborazione dei genitori il benessere del figlio prevale su ogni altro interesse, anche personale, confliggente. Nella fattispecie le autorità preposte non sono state in grado di evitare, con un pronto intervento, le conseguenze della rivalità tra i due, innescata dal diritto di visita del padre, a danno del reciproco legame affettivo con Y. Violazione dell’articolo 13 Cedu. Non dipende dall’effettivo esito positivo dell’azione giudiziaria, ma dalla carenza di strumenti per tutelare i propri diritti, stante la discrezionalità dei singoli stati membri di prevederli. Nel nostro caso non si può ravvisare, perché il ricorrente poteva far valere le proprie ragioni presentando nuove istanze al Tribunale dei Minori e querelando la moglie. Infine per la lamentata eccessiva lentezza della giustizia è legittimato a chiedere un equo indennizzo ex L. 89/01 Legge Pinto , perciò le sue critiche sul punto sono state respinte. Risarcimento danni. Per la lesione del suo diritto alla vita familiare è stato riconosciuto un risarcimento per danni morali pari ad € 10.000 ed un rimborso spese pari ad € 5.000 oltre interessi ed oneri legali.

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