Confermato il contributo a carico dell’ex marito. Respinte le rimostranze di quest’ultimo sulla valutazione delle effettive condizioni economiche della donna. Non si può addebitare all’ex moglie il fatto di aver lavorato ‘in nero’ e di aver così ottenuto soltanto una pensione ridotta. Lapalissiana quindi la precaria posizione economica della donna rispetto all’uomo.
Disoccupazione in aumento, opportunità ‘durature’ di lavoro sempre più rare, e pensione che acquista i contorni del miraggio Questo è il quadro che emerge dalla realtà. E di certo non può essere una colpa la scelta – forzata – di lavorare ‘in nero’. Neanche se tale opzione si ripercuote sui rapporti economici tra moglie e marito post divorzio Cassazione, ordinanza numero 3605/2013, Sesta Sezione Civile, depositata oggi . Contributo obbligato. Una volta chiuso definitivamente, col divorzio, il rapporto matrimoniale, rimane aperta la questione economica. Anche in questo caso è la giustizia a dover intervenire, dando soddisfazione, seppur solo parziale, alle richieste avanzate dalla donna a quest’ultima, difatti, viene riconosciuto il diritto a un assegno «a carico» dell’ex marito. Maggiore il quantum fissato in Tribunale, minore quello stabilito in Corte d’Appello. Ma, come detto, nessun dubbio è possibile sull’assegno a favore della donna, alla luce della sua più debole posizione economica rispetto all’uomo, testimoniata da una «pensione annua limitata». ‘Nero’ obbligato. Ad avviso dell’uomo, però, il nodo della ridotta pensione percepita dall’ex moglie va affrontato in maniera completamente diversa da quella adottata dai giudici. Per una ragione semplicissima la sua ex moglie ha «lavorato ‘in nero’», e questa è la «ragione di una pensione così limitata». Non a caso, aggiunge l’uomo, ella ha anche «contratto un mutuo per l’acquisto di un’abitazione», operazione, questa, molto superiore alle «possibilità» della donna». Chiara l’ottica proposta dall’uomo alla luce di questi due elementi, ossia «lavoro ‘in nero’» e «mutuo», la posizione economica della donna va riveduta e corretta verso l’alto, con conseguenze, ovviamente, sulla materia dell’assegno post divorzio. Ma questa visione viene respinta dai giudici di Cassazione, i quali condividono in pieno la linea di pensiero delineata in secondo grado, confermandone la decisione anche l’eventuale «lavoro ‘in nero’» non potrebbe «addebitarsi esclusivamente alla lavoratrice». E, in aggiunta, i «ratei del mutuo sono assai limitati», addirittura «inferiori al canone d’affitto».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 29 novembre 2012 – 13 febbraio 2013, numero 3605 Presidente Vitrone – Relatore Dogliotti In un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio, il Tribunale di Messina, con decreto in data 30 gennaio 2009, dispone assegno a carico di P.F. per la moglie M.G. La Corte d’Appello di Messina, con decreto in data 28 gennaio 2010, determina un importo inferiore dell’assegno stesso. Ricorre per cassazione il marito. Resiste, con controricorso, la moglie, Il provvedimento impugnato presenta una motivazione congrua e non illogica. Il ricorrente propone nella sostanza profili e valutazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede. E’ pacifico che, attualmente, la moglie goda di pensione annua limitata, avendo svolto precedentemente attività lavorativa. Lamenta il ricorrente che essa abbia lavorato “in nero”, e che questa sia la ragione di una pensione così limitata e che abbia contratto un mutuo per acquisto di abitazione, al di là delle sue possibilità. Con motivazione adeguata, il Giudice a quo precisa che un eventuale lavoro “in nero” non potrebbe addebitarsi esclusivamente alla lavoratrice e che in ratei di mutuo sono assai limitati sarebbero addirittura inferiori ad canone d’affitto . Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 1.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge. A norma del D.lgs. n° 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli atti identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.