Condanna definitiva per 3 persone. Respinta l’obiezione difensiva secondo cui si sarebbe dovuto parlare di semplice truffa. Definitiva la condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione a testa.
Si son spacciati per carabinieri, chiedendo e ottenendo denaro in contante. Una volta beccati, i 3 attori hanno sperato di cavarsela con una condanna per truffa, ma i giudici, invece, li hanno ritenuti responsabili di rapina. Ognuno di loro dovrà scontare 2 anni e 4 mesi di reclusione Cassazione, sentenza n. 45300/2017, Sezione Seconda Penale, depositata il 2 ottobre . Minaccia. Nonostante le obiezioni mosse dai difensori, il GUP del Tribunale prima e i Giudici della Corte d’Appello poi si sono mostrati rigidi le condotte addebitate alle 3 persone sotto accusa sono state catalogate come rapina . Nessun dubbio sui fatti. In sostanza, 3 uomini si sono finti carabinieri , ottenendo denaro con l’inganno dalle persone da loro avvicinate e raggirate. E proprio per questo, secondo i difensori, i 3 episodi sul tavolo dei giudici vanno considerati lampanti esempi di truffa , vista l’assenza di violenza o di minaccia nei confronti delle vittime. Questa visione non è però condivisa dai magistrati della Cassazione. A loro parere, difatti, va precisato che la condotta del soggetto che si spaccia falsamente come agente di polizia costituisce un atto di coazione idoneo a comprimere la libertà psichica della vittima e, quindi, ad integrare l’elemento della minaccia costitutivo del delitto di rapina . Tale ragionamento comporta, ovviamente, la conferma della condanna decisa in Appello i tre finti carabinieri dovranno scontare 28 mesi di reclusione a testa e pagare ognuno una multa di 600 euro .
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 settembre 2 ottobre 2017, n. 45300 Presidente Davigo Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12/02/2016, la Corte di appello di Milano, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Milano, in data 20/09/2010, che aveva condannato Ca. Ma., Pr. Da. e Ma. An. alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro. 600,00 di multa ciascuno per tre episodi di rapina legati dal vincolo della continuazione. 2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine ai reati a loro concorsualmente ascritti e corretta la qualificazione giuridica dei fatti. 3. Avverso tale sentenza propongono separati ricorsi Ca. Ma. e Pr. Da., e Ma. An. per mezzo dei difensori di fiducia, articolando un analogo motivo con il quale si dolgono della qualificazione giuridica dei fatti che, ad avviso dei difensori integrerebbero il reato di truffa, anziché di rapina per l'assenza di violenza o minaccia, dal momento che gli imputati avevano ottenuto il denaro con l'inganno, fingendosi carabinieri. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi manifestamente infondati. 2. La decisione assunta dalla Corte d'Appello in punto di qualificazione giuridica dei fatti, si pone perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio segnatamente, proprio con riguardo al criterio differenziale tra il delitto di rapina mediante minaccia e quello di truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario, merita di essere ribadito il principio già affermato da questa Corte sez. 2 n. 10182 del 16/5/1988, Rv. 179447 Sez. 2 n. 51732 del 19/11/2013 , in base al quale occorre rifarsi al diverso modo in cui viene prospettato il danno in particolare ricorre la truffa aggravata, quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e non proviene mai, direttamente o indirettamente, dall'agente, nel senso che la persona offesa non viene coartata nella sua volontà, ma si determina all'azione o all'omissione in conseguenza dello stato di errore in cui è venuta a trovarsi viceversa ricorre il delitto di rapina mediante minaccia, quando il danno, come nel caso di specie, viene prospettato come certo e sicuro, ad opera del reo o di altri soggetti ad esso collegati, con la conseguenza che la persona offesa è posta nell'alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento o di incorrere nel danno minacciato. Più specificamente la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente occupata proprio di fattispecie concrete analoghe a quelle oggetto del presente ricorso, pervenendo alla conclusione che la condotta del soggetto che si spaccia falsamente come agente di polizia costituisce un atto di coazione idoneo a comprimere la libertà psichica della vittima e quindi ad integrare l'elemento della minaccia costitutivo del delitto di rapina Sez. 1 n. 116 del 30/1/1964, Rv. 099188 sez. 4 n. 11407 del 1/8/1985, Rv. 171231 Sez. 2 n. 948 del 16/12/2009, Rv. 246265 Sez. 2, Sentenza n. 20216 del 06/05/2016 Ud. dep. 16/05/2016 Rv. 266751 . 3. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.500,00 ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento ciascuno a favore della Cassa delle ammende.