Le conseguenze “eccessive” delle autocertificazioni mendaci

Le conseguenze decadenziali definitive dal beneficio, legate alla non veridicità obiettiva delle autocertificazioni e, a fortiori, l’impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi dell’articolo 75 d.P.R. numero 445/2000, secondo il TAR Puglia sono irragionevoli e incostituzionali. Ciò in quanto contrastano con il principio di proporzione, che è alla base della razionalità che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex articolo 3 della Costituzione.

La vicenda. A ben guardare, la decisione del Giudice amministrativo, ordinanza 1346/18, depositata il 17 settembre di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di una disposizione così tranchant alla luce del caso posto alla sua attenzione, merita davvero un approfondimento. La colpevole mancata ammissione, infatti, e probabilmente incolpevole, di non aver ancora saldato il pagamento di una sanzione amministrativa per una infrazione al codice della strada ha comportato, per il titolare di una rivendita di tabacchi, la decadenza del cosiddetto patentino. E tutto ciò, in relazione al fatto che l’interessato nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, prescritta dalla normativa di riferimento, aveva dichiarato «la mancata sussistenza a suo carico di eventuali pendenze fiscali e/o morosità verso l’Erario o verso il Concessionario della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili». Mentre da successivi riscontri era stata accertata l’esistenza, a carico del ricorrente, di una cartella di pagamento, emessa da Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., per l’omesso pagamento di una sanzione amministrativa per violazione al codice della strada, dell’importo totale di euro 217,18, di cui euro 196,91 per “Totale tributi in debito”, oltre euro 5,88 per “Diritti di notifica”, euro 11,95 per “Aggio” ed euro 2,44 per “Interessi di mora” . In sostanza, il tabaccaio era incorso nella fattispecie prevista dall’articolo 75 del D.P.R., 445/2000 il quale, al comma 1, prevede che qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera. Fermo restando che, prevede l’articolo successivo, «Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, [] è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia». Le valutazioni alla base della rimessione. Il meccanico automatismo legale del tutto “slegato” dalla fattispecie concreta e l’assoluta rigidità applicativa della norma che da un lato impone tout court senza alcun distinguo, né gradazione la decadenza dal beneficio o l’impedimento al conseguimento dello stesso , a prescindere dall’effettiva gravità del fatto contestato sia per le fattispecie in cui la dichiarazione non veritiera riveste un’incidenza del tutto marginale rispetto all’interesse pubblico perseguito dalla P.A., sia per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto contrasto con tale interesse. Riservando, quindi, il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravità , e dall’altro non consente di escludere nemmeno le ipotesi di non veridicità delle autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta come, appunto, nel caso posto all’attenzione della Sezione , con ogni possibile e finanche prevedibile abnormità e sproporzione delle relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso. Sotto altro profilo, inoltre, - aggiunge l’ordinanza - l’assoluta rigidità applicativa dell’articolo 75 d.P.R. numero 445/2000 appare eccessiva, in quanto non consente parimenti irragionevolmente e inadeguatamente di valutare l’elemento soggettivo dolo - la c.d. coscienza e volontà di immutare il vero - ovvero colpa, grave o meno - nell’ipotesi di fatto dovuto a mera leggerezza o negligenza dell’agente della dichiarazione oggettivamente non veritiera, nella naturale e contestuale sede del procedimento amministrativo o anche, laddove la P.A. lo ritenga, nell’ambito del pertinente giudizio penale . Le dichiarazioni nell’ambito della SCIA. Le conseguenze dirette di un dichiarazione mendace, peraltro, non sono connesse soltanto alla sanzione prevista dall’articolo 75 del D.P.R. 445/2000. Infatti, l’articolo 19 della legge 241/1990 che regolamenta l’istituto di semplificazione della Scia, al comma 6, dispone che «Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni». Va puntualizzato, peraltro, che la SCIA a seguito della l. numero 122/2010 conv. del d.l. 78/2010 , rappresenta oggi lo strumento principale di semplificazione amministrativa sia per il settore dell’edilizia che per l’esercizio dell’attività di impresa nel settore commerciale. E ciò con riferimento principalmente al d.lgs. numero 222/2016 il quale nella “tabella A” ha individuato lo specifico procedimento autorizzatorio per le diverse fattispecie. Successivamente, con intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 4 maggio 2017, è stata definita la modulistica da utilizzare sia per il settore edilizio che quello per l’attività di impresa. Dalla lettura dell’articolo 19 l. numero 241/1990 che disciplina l’istituto di semplificazione, sembrerebbe che l’elemento caratterizzante del nuovo istituto sia quello di rendere possibile l’immediato inizio dell’attività, tenuto conto che la SCIA stessa dovrebbe essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive per le fattispecie normativamente ammesse e dalle asseverazioni per gli aspetti tecnici. E ciò, in sostanziale innovazione rispetto alla originaria formulazione dell’articolo 19, il quale prevedeva che requisiti e presupposti dovevano soltanto essere dichiarati. Rimanendo, quindi, successivamente a carico della PA il compito di accertarne la sussistenza. Sta di fatto che la tabella A prevista dal d.lgs. numero 222/2017 e la relativa modulistica approvata in sede di Conferenza unificata il 4 maggio del 2017 nulla hanno innovato rispetto alla modulistica ufficiale risalente ancora alla fine degli anni 90 che, per l’apertura di un negozio, seppur di vicinato, prevedeva una mera comunicazione. E, quindi, con riferimento agli aspetti tecnici edilizi ed urbanistici gli stessi vengono tuttora dichiarati dal futuro prestatore. L’interpretazione del Giudice penale. Ma il privato, in occasione della presentazione della Scia per l’apertura di un negozio o di un esercizio pubblico, non può dichiarare di aver rispettato i presupposti tecnici previsti dalla legge, ovvero il rispetto delle norme edilizie e di quelle urbanistiche. Ciò in quanto le dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atti di notorietà di cui agli articolo 46 e 47, previste dal d.P.R. numero 445/2000, ed espressamente richiamate dall’articolo 19 l. numero 241/1990 che ha introdotto la segnalazione certificata di inizio attività, possono riguardare soltanto gli stati, qualità personali o fatti «che siano a diretta conoscenza dell'interessato». Lo aveva già stabilito il Tribunale di Rovigo nel disporre, con provvedimento del GIP 447/13 l’archiviazione di un procedimento avviato dal Comune che aveva rilevato una dichiarazione mendace e, pertanto, aveva inoltrato il tutto alla competente procura. Secondo il Giudice, non si può esigere che l'indagato, consapevolmente, attesti la conformità dei locali ai regolamenti comunali in materia edilizia ed igienico-sanitaria perché ciò richiede una specifica competenza professionale che, evidentemente il futuro imprenditore non può avere. Peraltro, la Procura nel richiedere al GIP l’archiviazione del procedimento, aveva anche sollevato questioni a proposito della modulistica, la quale prevede la spunta nei moduli prestampati. Secondo il Giudice, la norma prescrittiva contenuta nell’articolo 19 l. numero 241/1990 punisce colui il quale correda la Scia con la certificazione non veritiera. Ma non può essere, invece, punito, perché la fattispecie non è prevista dalla norma, colui il quale si limita a barrare una casellina in una modulistica all’uopo predisposta. Ciò in forza del principio generale di tassatività, ovvero il divieto di applicazione analogica di una disposizione incriminatrice. Più di recente, La Quinta Sezione Penale, con la sentenza 26575 dell’11 giugno 2018, ha affermato che integra il reato di cui all'articolo 496 c.p. false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o di altri - e non quello di cui all'articolo 495 c.p. falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri - la condotta di colui che dichiari falsamente, in sede di SCIA, di possedere i prescritti requisiti morali, in quanto, in tal caso, la dichiarazione del privato costituisce ex se condizione di legittimazione all'esercizio dell'attività e non è destinata ad incidere, direttamente o indirettamente, anche sulla formazione di un atto pubblico. L’accordo della Conferenza unificata del 4 maggio 2017 è disponibile online.

TAR Puglia - Lecce, sez. III, ordinanza 3 luglio – 17 settembre 2018, numero 1346 Presidente d’Arpe – Estensore Rotondano Fatto e diritto 1. - Con l’atto introduttivo del presente giudizio, ritualmente notificato il 28 settembre 2017 e depositato il 17 ottobre 2017, il ricorrente - già titolare di patentino per la vendita di generi di monopolio, nell’esercizio bar ubicato all’interno di stazione di servizio automobilistica sita su S.S. 172 Km 52+175 in Martina Franca TA - ha impugnato, domandandone l’annullamento 1 il provvedimento numero 216 del 27 luglio 2017, prot. numero 56640, notificatogli in data 9 agosto 2017, con cui l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio dei Monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione Operativa Territoriale di Taranto, in riscontro all’istanza presentata in data 12 maggio 2017 per il rinnovo biennale del citato patentino & lt Atteso che il Consiglio di Stato, decidendo in caso analogo, nella sentenza di rigetto di appello numero 2028/15 ha motivato “il rinnovo non è altro, in relazione alla durata biennale del titolo, che un rinnovato rilascio, onde devono logicamente ritenersi necessari a tal fini anche i presupposti normativi richiesti per quest’ultimo alla data in cui il rinnovo è richiesto tale considerazione trova fondamento nella stessa lettera del D.M. numero 38/2013, laddove, evidentemente alla scopo della verifica della sussistenza di tali requisiti, l’articolo 9 richiede una dichiarazione sostitutiva che riporti i dati e le informazioni di cui all’articolo 8, comma 3” Vista la dichiarazione sostitutiva di atto notorio nella quale l’interessato dichiarava al punto 7 la mancata sussistenza a suo carico di eventuali pendenze fiscali e/o morosità verso l’Erario o verso il Concessionario della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili Vista la verifica della veridicità di quanto dichiarato nel succitato punto con nota protocollo numero 36947 del 18/05/2017, inviata a mezzo pec al concessionario Equitalia Sud SpA Considerato che dal riscontro della suddetta nota pervenuta, stesso mezzo, con protocollo numero 41206 del 5/06/2017, è emersa la non corrispondenza di quanto dichiarato dalla parte& gt & gt precisamente, l’esistenza, a carico del ricorrente, di una cartella di pagamento, emessa da Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., per l’omesso pagamento di una sanzione amministrativa per violazione al Codice della Strada, dell’importo totale di euro 217,18, di cui euro 196,91 per “Totale tributi in debito”, oltre euro 5,88 per “Diritti di notifica”, euro 11,95 per “Aggio” ed euro 2,44 per “Interessi di mora” & lt & lt .verificato che la cartella esattoriale al momento della presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio era ancora pendente ed è stata liquidata solo successivamente a quanto comunicato da questo ufficio all’interessato ai sensi dell’articolo 76 del D.P.R. numero 445/2000 Considerato che, così come previsto dal D.M. 38/13 comma 3 articolo 7 , ai fini dell’adozione del provvedimento gli Uffici competenti devono valutare - lettera g - l’assenza di eventuali pendenze e/o di morosità verso l’erario o verso l’agente di riscossione definitivamente accertate indicate, così come previsto alla lettera f comma 3 articolo 8 del succitato decreto ministeriale, nell’atto notorio presentato a corredo dell’istanza Considerato quanto emerso dal controllo della veridicità presso l’agente della riscossione in merito a quanto dichiarato nell’atto notorio presentato ovvero la presenza di pendenze verso il concessionario “ancora non pagati o pagati parzialmente alla data del 5/06/2017” Considerato che nell’atto notorio la presenza di tali situazioni debitorie non erano state segnalate al punto f dello stesso Considerato che per quanto sopra l’istante è incorso in quanto previsto dall’articolo 76 del D.P.R., 445/2000 in merito ad una dichiarazione risultata non veritiera& gt & gt ha determinato “il rigetto dell’istanza di rinnovo dell’autorizzazione numero 503039/TA per i motivi sopra indicati e la decadenza dell’autorizzazione provvisoria alla vendita rilasciata nelle more dell’istruttoria” 2 ove dovesse occorrere, tutti gli atti presupposti, consequenziali e con il citato provvedimento connessi. Ha chiesto, altresì, “la immediata restituzione del patentino per la vendita di generi di monopolio”. A sostegno dell’impugnazione interposta ha dedotto 1 violazione e/o falsa applicazione di Regolamento, e, in particolare, degli articolo 7, 8 e 9 Decreto Ministero dell’Economia e delle Finanze numero 38/2013, falsa presupposizione, eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia 2 violazione e/o falsa applicazione del D.M. 38/2013 in particolare, degli articolo 7, 8 e 9, eccesso di potere per sviamento e contraddittorietà 3 violazione e/o falsa applicazione di principi generali di imparzialità e correttezza della P.A., come rinvenienti dall’articolo 97 Costituzione, violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa 4 violazione e/o falsa applicazione degli articolo 75 e 76 del DPR 445/2000. Si è costituita in giudizio, per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale Erariale, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio dei Monopoli di Taranto, contestando in toto le avverse pretese e chiedendo la reiezione del gravame. Con “Note d’udienza” depositate agli atti del giudizio in data 26 giugno 2018, parte ricorrente ha prospettato dubbi di costituzionalità in ordine all’articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000, chiedendo che l’adito Tribunale “Voglia sollevare questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 75 DPR 445/00 per contrasto con l’articolo 3 Cost.” essenzialmente, sotto il profilo della violazione dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza , “nonché per contrasto con l’articolo 117, primo comma, Cost. con riferimento all’articolo 49, terzo comma, della CDFUE” & lt & gt . Alla pubblica udienza del 3 luglio 2018, su richiesta di parte, la causa è stata introitata per la decisione. 2. - Rileva, innanzitutto, il Collegio che l’impugnato diniego risulta motivato dalla P.A. sulla scorta dell’omessa dichiarazione, da parte dell’istante, di taluni debiti verso l’Erario e cioè, la preesistenza di una cartella di pagamento, emessa da Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., per l’omesso pagamento di una sanzione amministrativa per violazione al Codice della Strada, dell’importo totale di euro 217,18 , ai sensi, sostanzialmente a ben vedere , dell’articolo 75 del D.P.R. 28 dicembre 2000 numero 445. E’ opportuno rammentare che l’articolo 75 “Decadenza dai benefici” del D.P.R. 28 dicembre 2000, numero 445 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” dispone che “1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”. La granitica giurisprudenza formatasi in “subiecta materia” ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 9 aprile 2013, numero 1933 ha osservato che il su riportato articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 & lt Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla L. numero 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio”. Pertanto, & lt & gt Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., numero 1933/2013 , “poiché, se così fosse, verrebbe meno la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante” Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 27 aprile 2012, numero 2447 sicchè ogni eventuale ulteriore circostanza, “senz’altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell’ambito della L. numero 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto” Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., numero 1933/2013 . Ai sensi della normativa generale di cui all’articolo 75 del D.P.R. numero 445 del 2000, quindi, “la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l'autodichiarazione non veritiera” così la sent. 13 settembre 2016, numero 9699 ” T.A.R. Lazio, Roma, Sezione Terza ter, 24 maggio 2017, numero 6207 , “senza che tale disposizione lasci margine di discrezionalità alle Amministrazioni cfr. ad es. CdS 1172\2017 ” T.A.R. Liguria, Genova, Sezione Prima, 14 giugno 2017, numero 534 . In definitiva, per effetto della suddetta esegesi consolidata tale da assurgere al rango di “diritto vivente”, sicchè neppure è possibile per il Tribunale operare una c.d. “interpretazione costituzionalmente conforme” - l’applicazione dell’articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 comporta l’automatica decadenza dal beneficio eventualmente già conseguito, non residuando, nell’applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle PP.AA. che, in sede di controllo d’ufficio ex articolo 71 del medesimo Testo Unico, si avvedano della oggettiva non veridicità delle autodichiarazioni, posto che tale norma prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi unicamente sul dato oggettivo della non veridicità, rispetto al quale risulta, peraltro, del tutto irrilevante il complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo - parimenti, tale disposizione, nel contemplare la decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base delle dichiarazioni non veritiere, impedisce ovviamente e a fortiori, come nel caso di specie anche l’emanazione del provvedimento ampliativo di accoglimento dell’istanza tendente ad ottenere i benefici dalla P.A 3. - Tuttavia, la predetta norma articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 , intesa alla stregua dell’illustrato “diritto vivente”, nel suo meccanico automatismo legale del tutto decontestualizzato dal caso specifico e nella sua assoluta rigidità applicativa che non conosce eccezioni , sembra al Collegio incostituzionale, per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione. 4. - Ed invero, “il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. Sicché, l’impossibilità di fissare in astratto un punto oltre il quale scelte di ordine quantitativo divengono manifestamente arbitrarie e, come tali, costituzionalmente illegittime, non può essere validamente assunta come elemento connotativo di un giudizio di merito, essendo un tratto che si riscontra anche nei giudizi di ragionevolezza. Del resto,, le censure di merito non comportano valutazioni strutturalmente diverse, sotto il profilo logico, dal procedimento argomentativo proprio dei giudizi valutativi implicati dal sindacato di legittimità, differenziandosene, piuttosto, per il fatto che in quest’ultimo le regole o gli interessi che debbono essere assunti come parametro del giudizio sono formalmente sanciti in norme di legge o della Costituzione” Corte Costituzionale, 22 dicembre 1988, numero 1130 . In conclusione - per un verso, il giudizio di ragionevolezza della norma di legge deve essere necessariamente ancorato al criterio di proporzionalità, rappresentando quest’ultimo “diretta espressione del generale canone di ragionevolezza ex articolo 3 Cost. ” Corte Costituzionale, 1° giugno 1995, numero 220 - per altro verso, la ragionevolezza va intesa come forma di razionalità pratica tenuto conto, appunto, “delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” - Corte costituzionale, cit., numero 1130/1988 , non riducibili alla mera e sola astratta razionalità sillogistico - deduttiva e logico - formale, laddove invece la ragione pratica e concreta deve essere aperta all’impatto che su di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realtà che diventa esperienza giuridica , solo così potendo doverosamente valutarsi l’adeguatezza del mezzo al fine, la ragionevolezza “intrinseca”, in uno agli eventuali esiti ed effetti sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare da una regola generale apparentemente ed astrattamente logica. In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal limitarsi alla sola valutazione della singola situazione oggetto della specifica controversia da cui sorge il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si appalesa idoneo traendo spunto da quest’ultima a vagliare gli effetti della Legge sull’intera realtà sociale che la Legge medesima è chiamata a regolare, anche in funzione dell’& lt & lt “esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità” . ed a criteri di coerenza logica, teleologica . , che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa» sentenza numero 87 del 2012 & gt & gt Corte Costituzionale, sentenza 10 giugno 2014, numero 162 . E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall’adozione, per dir così, “neutra” del provvedimento con i suoi “costi”, e valutando l’eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e interessi di rango costituzionale contestualmente in gioco bilanciamento . 5. - Orbene, l’illustrata fattispecie di “automatismo legislativo” di cui all’articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000, intesa alla stregua del “diritto vivente”, non sfugge, ad avviso meditato del Collegio, a forti dubbi di incostituzionalità per violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza, di cui all’articolo 3 della Costituzione. 5.1 - Ed invero, le conseguenze decadenziali definitive dal beneficio peraltro, latu sensu sanzionatorie , legate alla non veridicità obiettiva della dichiarazione, e, a fortiori, l’impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000, appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali, contrastando con il principio di proporzione, che è alla base della razionalità che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex articolo 3 della Costituzione. E tanto ove si considerino innanzitutto e in via dirimente il meccanico automatismo legale del tutto “slegato” dalla fattispecie concreta e l’assoluta rigidità applicativa della norma in questione, che da un lato impone tout court senza alcun distinguo, né gradazione la decadenza dal beneficio o l’impedimento al conseguimento dello stesso , a prescindere dall’effettiva gravità del fatto contestato sia per le fattispecie in cui la dichiarazione non veritiera riveste un’incidenza del tutto marginale rispetto all’interesse pubblico perseguito dalla P.A., sia per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto contrasto con tale interesse, riservando, quindi, il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravità , e dall’altro non consente di escludere nemmeno le ipotesi di non veridicità delle autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta come, appunto, nel caso di cui al presente giudizio , con ogni possibile e finanche prevedibile abnormità e sproporzione delle relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso. 5.2 - Sotto altro profilo, inoltre, l’assoluta rigidità applicativa dell’articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 appare eccessiva, in quanto non consente parimenti irragionevolmente e inadeguatamente di valutare l’elemento soggettivo dolo - la c.d. coscienza e volontà di immutare il vero - ovvero colpa, grave o meno - nell’ipotesi di fatto dovuto a mera leggerezza o negligenza dell’agente della dichiarazione oggettivamente non veritiera, nella naturale e contestuale sede del procedimento amministrativo o anche, laddove la P.A. lo ritenga, nell’ambito del pertinente giudizio penale . 5.3 - Né può ritenersi che i suddetti dubbi di costituzionalità possano essere superati facendo leva sulla ratio sottesa alla disposizione di che trattasi, rinvenibile, secondo il diritto “vivente” cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., numero 2447/2012 , nel principio generale di semplificazione amministrativa cui si accompagna l’affermazione dell’autoresponsabilità - “oggettiva” - del dichiarante . E’ ben vero, infatti, che l’articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 debba qualificarsi quale norma generale di semplificazione amministrativa. Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma, se, da un lato, è sicuramente volta a rendere più efficiente ed efficace l’azione dell’Amministrazione pubblica buon andamento, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione , dall’altro è altrettanto inequivocabilmente finalizzata a garantire i diritti dei singoli costituzionalmente tutelati e di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo attivato e nell’ambito del quale sono state rese le autodichiarazioni medesime si pensi, ad esempio, al diritto allo studio articolo 34 , al diritto alla salute articolo 32 , al diritto al lavoro articolo 4 e 35 , al diritto all’assistenza sociale articolo 38 , al diritto di iniziativa economica privata articolo 41, come nel caso di specie . Sicchè, anche nella prospettiva del necessario bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti nonché della massima espansione possibile delle relative tutele , il rigido automatismo applicativo in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi e/o decadenziali si rivela, in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo alla cui migliore e più rapida realizzazione la norma di semplificazione de qua è, in definitiva, finalizzata. E tanto vieppiù allorchè si consideri che l’articolo 40 “Certificati” del D.P.R. 28 dicembre 2000, numero 445 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” , come modificato dall’articolo 15, comma 1, lett. a , L. 12 novembre 2011, numero 183, ha disposto che “01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47” e che & lt & lt 02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi”& gt & gt sicchè, in definitiva, essendo il privato obbligato, e non più meramente facultato, a presentare alle PP.AA. le “dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”, la semplificazione de qua si risolve, in ultima analisi, per un verso, nella sicura diminuzione degli adempimenti a carico dell’Amministrazione Pubblica a fronte dei controlli d’ufficio, “anche a campione”, ai sensi dell’articolo 71 del D.P.R. numero 445/2000 , e, per altro verso, nell’eccessiva considerate le conseguenze automatiche derivanti dall’eventuale dichiarazione non veritiera, ex articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 autoresponsabilità “oggettiva” del privato medesimo. 6. - Pertanto, rispetto ad una disposizione - l’articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 -, nel significato in cui essa “vive” nella costante applicazione giudiziale, il Collegio non può che sollevare la questione di legittimità costituzionale, tenuto conto, per quanto innanzi esposto, che la stessa appare non superabile in via interpretativa in ragione, appunto, del “diritto vivente” e non manifestamente infondata. 7. - Inoltre, l’intervento del Giudice delle Leggi appare assolutamente necessario nella presente controversia, non potendosi prescindere dalla definizione necessariamente e logicamente pregiudiziale di tale questione ai fini della decisione del presente giudizio, in quanto, nell’ipotesi in cui il citato articolo 75 del D.P.R. numero 445/2000 dovesse essere dichiarato incostituzionale, verrebbe meno l’unico presupposto normativo posto, sostanzialmente a ben vedere , a fondamento del gravato diniego, nel mentre, in caso contrario, il gravame sarebbe infondato alla stregua delle censure formulate dalla parte ricorrente. 8. - Il Collegio, in conclusione, ritiene che la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, dell’articolo 75 del D.P.R. 28 dicembre 2000, numero 445, sia rilevante sussistendo, appunto, il nesso di assoluta pregiudizialità tra la soluzione della prospettata questione di legittimità costituzionale e la decisione del presente giudizio e non manifestamente infondata, e debba, conseguentemente, essere rimessa all’esame della Corte Costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso fino alla decisione della Consulta. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza, pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, sospende il giudizio e solleva questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, nei sensi e termini di cui in motivazione, dell’articolo 75 del D.P.R. 28 dicembre 2000, numero 445. Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.