Depenalizzato l’illecito “distacco” dei lavoratori, il fatto non è (più) reato ma illecito amministrativo

Il recente provvedimento di depenalizzazione, derogando al principio di legalità, consente la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti concernenti un fatto che non costituisce più reato ma solo illecito amministrativo nonostante sia stato commesso in epoca anteriore al suddetto provvedimento legislativo.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 10484/16, depositata il 14 marzo. Il caso. Gli imputati erano condannati per concorso di persone per avere, l’uno come rappresentante di una società a responsabilità limitata, l’altro quale titolare di una società in nome collettivo, posto in essere il distacco di quattro lavoratori per oltre cento giornate lavorative senza i requisiti previsti dalla legge per il “distacco” previsto dall’articolo 30 d.lgs. 10 settembre 2003 numero 276 Attuazione deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro . Il distacco di lavoratori. La norma prevede che il distacco si configura quando un datore di lavoro “somministratore” , per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto “utilizzatore” per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa, rimanendo però responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. La sanzione penale. La norma incriminatrice articolo 18, comma 5- bis, d.lgs. cit. prevede che, nei casi di appalto privo dei requisiti ex articolo 29 comma 1 e di distacco privo dei requisiti ex articolo 30 comma 1 d.lgs. cit., l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena dell’ammenda determinata in Euro 50,00 per ciascun lavoratore occupato e per ogni giornata lavorativa qualora vi sia sfruttamento di minori la pena è aggravata arresto fino a diciotto mesi e ammenda aumentata fino a sei volte . Tutti i motivi assorbiti dall’avvento del provvedimento di depenalizzazione. Gli imputati hanno censurato la decisione articolando plurime doglianze tutte fondate sulla critica dell’applicazione del d.lgs. numero 276/2003 inosservanza o erronea applicazione . Tutti questi profili non vengono considerati dalla Suprema Corte che prende atto dell’avvento del decreto legislativo che ha disposto la depenalizzazione, ritenuti tutti i motivi articolati nel ricorso assorbiti nell’annullamento senza rinvio imposto dal sopravvenuto provvedimento legislativo di cui riconosce sussistere i presupposti applicativi. La scure della depenalizzazione si abbatte sulla fattispecie-base. La fattispecie è stata oggetto di depenalizzazione ad opera del più recente intervento legislativo in tale senso decreto legislativo 15 gennaio 2016 numero 8, in vigore dal 6 febbraio 2016 che ha sottratto alla sanzione penale la fattispecie-base punita con la sola ammenda , talché attualmente l’intermediazione illecita di manodopera per violazione delle disposizioni in materia di appalto e distacco non costituisce reato mentre l’ipotesi dello sfruttamento di minori rimane oggetto di attenzione penale. Il decreto di depenalizzazione ha infatti disposto che non costituiscono reato tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, ipotesi che vengono perciò assoggettate alla sola sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro. Neppure vale considerare – per sottrarre alla depenalizzazione l’ipotesi de qua – la circostanza che l’ipotesi aggravata sfruttamento di minori preveda pure l’arresto accanto all’ammenda. Ciò perché il decreto di depenalizzazione precisa che la norma citata si applica anche ai reati che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. È espressamente previsto che in siffatte circostanze, l’ipotesi aggravata è da considerarsi fattispecie autonoma di reato. In altri termini, se il fatto di appalto o distacco privo di requisiti sia commesso mediante sfruttamento di lavoratori minori età inferiore a quindici anni o minori che non abbiano concluso il periodo di istruzione obbligatoria oppure minori con età compresa tra i quindici e i diciotto anni per adibirli a lavori espressamente vietati dalla legge utilizzatore e somministratore sono puniti con la sanzione penale arresto e ammenda . L’ipotesi aggravata, precisa la Corte di Cassazione, deve essere considerata titolo autonomo di reato perciò sottratta alla depenalizzazione che investe l’ipotesi-base. Sanzione amministrativa per fatti pregressi e il principio di legalità? Il decreto di depenalizzazione stabilisce expressis verbis che le sanzioni amministrative introdotte si applicano anche alle violazione commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto. È richiesto, tuttavia, che il procedimento penale non sia già stato definito con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabile. Si tratta, come evidente, di una espressa deroga al principio di legalità fissato, in materia, dall’articolo 1 l. numero 689/81 che riproduce analogo divieto di retroattività della pena e della misura di sicurezza sanciti dal codice penale . Coordinare la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente. Il decreto si preoccupa altresì di coordinare il passaggio di competenza stabilendo la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente che va individuata in quella prevista dalla legge che disciplina la violazione o, in mancanza di specifica previsione, in quella competente a ricevere il rapporto e ad irrogare la sanzione. Nel caso in scrutinio tale autorità è la Direzione territoriale del lavoro, quale articolazione periferica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Agricole, nel cui ambito la violazione si è verificata. La Corte di Cassazione ha pertanto annullato la sentenza senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato e ha disposto la trasmissione degli atti alla Direzione provinciale del lavoro competente in merito alla violazione amministrativa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 febbraio – 14 marzo 2016, numero 10484 Presidente Fiale – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. B.G. ed P.O. ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Trieste li ha condannati alla pena di 21.200,00 euro di ammenda ciascuno per il reato previsto dagli articoli 110 codice penale, 18, comma 5-bis, decreto legislativo 10 settembre 2003, numero 276 perché, in concorso tra loro, P.O. , in qualità di legale rappresentante della P. S.r.l. e B.G. in qualità di titolare della Bioclima di B.G. & amp C. Snc, ponevano in essere il distacco dei lavoratori M.M. , S.R. , N.P. e Pe.Gi. per numero 106 giornate lavorative senza i requisiti di cui all’articolo 30 del sopraindicato decreto. In Trieste, dal maggio 2011 al 7 ottobre 2011, 2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, i ricorrenti, con separati ricorsi e tramite il comune difensore, articolano i quattro comuni motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, con riguardo agli articoli 29, 30 e 79 del decreto legislativo numero 276 del 2003 nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione articolo 606, comma 1, lettere b ed e , codice di procedura penale . Sostengono che il verbale unico di accertamento del 16 novembre 2011 riferisce che l’impresa P. S.r.l. e l’impresa Bioclima avevano stipulato in data 2 maggio 2011 un contratto, qualificato come accordo di distacco. È anche risultato che la P. S.r.l. aveva attraversato un momento di crisi e che l’impresa aveva comunque uno specifico interesse a non perdere le maestranze e le professionalità possedute dai suoi dipendenti. Alla luce di ciò, posto che il distacco è stato poi notificato al centro per l’impiego, la sentenza impugnata applicherebbe erroneamente l’articolo 30 del decreto legislativo numero 276 del 2003, ritenendo che nel caso di specie non sussistesse alcun interesse della ditta P. S.r.l. a distaccare il proprio personale perché operasse presso il cantiere della Bioclima di B.G. Snc, ritenendo che il distacco fosse avvenuto al di fuori dei casi consentiti dal predetto articolo 30 secondo il quale il distacco può essere legittimamente disposto quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa . Ne consegue che quello che la sentenza impugnata qualifica atecnicamente ed erroneamente parcheggio sarebbe invece un tipico caso di distacco conservativo, nel quale l’interesse del distaccante è quello di non disperdere il patrimonio delle professionalità dei propri dipendenti durante una situazione di crisi e ciò anche nell’interesse della conservazione dell’azienda. Posto che nel corso del procedimento è emerso pacificamente un interesse conservativo dell’impresa distaccante, l’articolo 30 del decreto legislativo 276 del 2003 non doveva essere applicato e il suo ambito di operatività doveva essere circoscritto solamente alla sussistenza di un interesse formativo del distaccante. Ne consegue pure che la sentenza impugnata disapplicherebbe anche l’articolo 79 del decreto legislativo 273 del 2003 nella misura in cui il distacco è stato certificato in itinere ed è stata ritenuta sussistente l’interesse della distaccante quantomeno per il suo effetto conservativo, come risulta dalle certificazioni dismesse e depositata in causa. Ribadiscono che il distacco ha avuto luogo anche a fronte di un interesse conservativo del distaccante il distacco è stato notificato agli enti previdenziali e alla direzione provinciale del lavoro, la quale nulla ha eccepito il distacco non è stato contestato dalle organizzazioni sindacali, come riconosce la sentenza impugnata l’impresa distaccante ha regolarmente retribuito i lavoratori distaccati, come risulta dall’estratto del libro unico del lavoro i lavoratori distaccati sono stati regolarmente contribuiti, come risulta dai Durc prodotti ed infine è intervenuto un provvedimento di certificazione del distacco. 2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ed in particolare dell’articolo 18, comma 1, decreto legislativo 276 del 2003, di cui si sarebbe dovuto tenere conto nell’applicazione della legge penale articolo 606, comma 1, lettera b , codice di procedura penale . Osservano che, se anche la fattispecie concreta dovesse essere qualificata come somministrazione illecita, piuttosto che come distacco o come appalto, comunque la sentenza impugnata sarebbe errata nel calcolo di applicazione della pena in quanto la sanzione è stata fissata in euro 21.200,00 pena calcolata in ragione di quattro lavoratori occupati per 106 giornate, dunque in totale 424 giornate, per ciascuna delle quali la pena edittale è stata ritenuta quella di euro 50 di ammenda . Tuttavia sono state contestate ai ricorrenti, per tutti i lavoratori interessati, solo 106 giornate e non 106 giornate ciascuno , sicché, sulla base di un erroneo presupposto, si è giunti ad un inammissibile quadruplicazione della pena disattendendo l’articolo 18, comma 5-bis, del decreto legislativo 276 del 2003. 2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la mancata concessione delle attenuanti generiche nonché la contraddittorietà ed illogicità della motivazione in parte qua , sul rilievo che le attenuanti generiche dovevano essere riconosciute in ragione del comportamento complessivamente tenuto ed in considerazione del fatto che comunque il distacco non aveva pregiudicato il diritto alla retribuzione dei lavoratori e alla contribuzione degli enti. 2.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la mancata concessione del beneficio della non menzione e della sospensione condizionale della pena sulla base degli stessi rilievi formulati con la precedente censura. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato. 2. L’articolo 18, comma 5-bis, prima parte, del decreto legislativo 10 settembre 2003, numero 276 prevede che nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, e di distacco privo dei requisiti di cui all’articolo 30, comma 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo . Il decreto legislativo del 15 gennaio 2016, numero 8 - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2016 e in vigore dal 6 febbraio 2016 - ha depenalizzato l’ipotesi base del reato di intermediazione illecita di manodopera per violazione delle disposizioni in materia di appalto e distacco articolo 18, comma 5-bis , non anche invece l’ipotesi aggravata relativa allo sfruttamento dei minori, nel caso di specie non contestata e neppure astrattamente configurata. A tale conclusione si giunge considerando che l’articolo 1 d.lgs. numero 8 del 2016 dispone al primo comma che non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda . Nel caso di specie, il reato di cui all’articolo 18, comma 5-bis, d.lgs. numero 276 del 2003 è punito nella fattispecie base con la pena della sola ammenda. Il comma 2 dell’articolo 1 d.lgs. numero 8 del 2016 precisa che la disposizione del comma 1 si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato . Pertanto, qualora il reato de quo appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, e di distacco privo dei requisiti di cui all’articolo 30, comma 1 sia commesso mediante lo sfruttamento di minori che, di regola, si ha con l’avviamento al lavoro di soggetti minori di 15 anni o che non abbiano concluso il periodo di istruzione obbligatoria, o ancora minori compresi tra i 15 e i 18 anni per adibirli ai lavori espressamente vietati dall’articolo 6, L. 17 ottobre 1967, numero 977, come modificato dal D.Lgs. 4 agosto 999, numero 345 e quindi dal D.Lgs. 18 agosto 2000, numero 262 , l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo. In siffatto caso, la circostanza aggravante deve essere considerata titolo autonomo di reato e la fattispecie aggravata si sottrae perciò alla depenalizzazione, al contrario dell’ipotesi base che invece ne rimane, come nella specie, investita, non essendo ravvisabili neanche le ipotesi di esclusione previste dal comma 3 dell’articolo 1 d.lgs. numero 8 del 2016 secondo cui la disposizione del comma 1 non si applica ai reati previsti dal codice penale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, e a quelli compresi nell’elenco allegato al presente decreto . Ne consegue che, in assenza di un’espressa esclusione, sono depenalizzate le fattispecie disciplinate dall’articolo 18 del D.lgs. numero 276 del 2003 punite con la sola pena pecuniaria, tra cui il reato di appalto illecito e di distacco illecito articolo 18 comma 5-bis, in relazione, rispettivamente, all’articolo 29, comma 1, e all’articolo 30 comma 1 , essendo tali fattispecie di reato, nella loro ipotesi-base, punite con l’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. L’articolo 8 del d.lgs. numero 8 del 2016, derogando al principio di legalità fissato dall’articolo 1 L. 24 novembre 1981, numero 689, stabilisce espressamente che le sanzioni amministrative, ivi introdotte, si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto numero 8 del 2016, purché il procedimento penale non sia già stato definito con sentenza o decreto penale irrevocabili, mentre l’articolo 9, che disciplina la fase di trasmissione degli atti all’autorità amministrativa, stabilisce, per quanto qui interessa, che va pronunciata sentenza di assoluzione, ex articolo 129 cod. proc. penumero , perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con conseguente trasmissione degli atti alla competente autorità amministrativa, che va individuata in quella prevista dalla legge che disciplina la violazione o, in mancanza di previsione, in quella individuata ai sensi dell’articolo 17, comma 1, legge 24 novembre 1981, numero 68 e, dunque, in quella competente a ricevere il rapporto e ad irrogare la sanzione, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto numero 8 del 2016, individuabile, nel caso in esame, nella Direzione Territoriale del Lavoro, quale articolazione periferica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Agricole, nel cui ambito la violazione sarebbe risultata commessa. 3. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, assorbiti i motivi di impugnazione, va disposta la trasmissione degli atti alla Direzione provinciale del lavoro di Trieste, luogo di commissione del fatto, per quanto di competenza in merito alla violazione amministrativa. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e dispone la trasmissione degli atti alla Direzione provinciale del lavoro di Trieste.