La configurazione della responsabilità di cui al delitto previsto e punito dall’articolo 328, comma 2, c.p. è piuttosto chiara vi è un atto da compiere da parte del pubblico ufficiale, ma questo non viene adempiuto. Chi ha interesse invia una richiesta di compimento dell’atto entro trenta giorni dalla ricezione di tale richiesta scritta, il pubblico ufficiale deve adempiere se non lo fa è tenuto ad esplicitare quanto meno le ragioni di tale ritardo diversamente incorre nella responsabilità penale suddetta.
In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza numero 42610/2015, depositata il 22 ottobre 2015. E’ piuttosto chiaro, inoltre, in giurisprudenza che «in tema il delitto di omissioni di atti d’ufficio, il formarsi del silenzio-rifiuto alla scadenza dei trenta giorni dalla richiesta del privato costituisce un inadempimento integrante la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice» ex plurimis , Cass. Penumero sez. VI, sentenza numero 45629/2013 , a nulla rilevando eventuali possibilità di tutela in sede amministrativa, posto che la fattispecie in questione «incrimina non tanto l’omissione dell’atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall’istanza di chi via abbia interesse». Da ciò consegue che «la richiesta scritta di cui all’articolo 328, comma 2, c.p. assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono». Ma se così è – ed il punto può condividersi – il reato sussiste anche quando tale diffida scritta non sia indirizzata al funzionario interessato, ma ad altro organo in posizione sostanzialmente apicale? Il caso. Il caso de quo è emblematico della delicatezza del punto in questione, poiché la diffida era stata inviata al Sindaco del Comune e non anche al funzionario, il quale l’aveva ricevuta a seguito di inoltro interno da parte dello stesso Sindaco con l’esplicito «invito a darne immediato riscontro e relativa comunicazione al sottoscritto [sindaco]». La difesa aveva opposto che, stando così le cose, mancava il «doppio interpello» e, quindi, un elemento essenziale per l’integrazione del fatto. Ai fini della configurabilità del reato di omissione di atti d’ufficio è sufficiente la conoscenza, da parte del pubblico ufficiale competente, dell’oggetto dell’incarico da adempiere. La Suprema Corte, invece, ha ritenuto che fosse sufficiente sul punto verificare se il pubblico ufficiale fosse stato posto in grado di conoscere l’oggetto dell’incarico da adempiere e a lui affidato nella rispettiva qualità. In altri termini, la Corte di legittimità, che pure ha cassato la sentenza impugnata per mancata considerazione del fatto se all’epoca l’imputato in effetti rivestisse la qualifica di “responsabile del servizio” richiesto, ha ritenuto che vi sia un obbligo in sé e per sé di rispondere al privato, da parte dell’organo competente a porre in essere l’atto richiesto, quand’anche la diffida non sia rivolta a lui personalmente, ma all’Ente nel suo complesso. A prima vista, il tutto può apparire come una sorta di estensione analogica della fattispecie penale e, quindi, del tutto inammissibile. Se non che, a ben vedere, la disposizione deve essere inserita nell’ambito della competenze funzionali del soggetto amministrativo coinvolto. Se è corretto inviare una messa in mora al legale rappresentante dell’Ente pubblico e non anche ad un suo funzionario, è giocoforza dedurre che chi ha l’obbligo di rispondere al privato non è tanto e semplicemente il soggetto apicale, ma il funzionario competente, il quale, essendo venuto a conoscenza della richiesta scritta di compiere un atto del suo ufficio, deve provvedere quanto meno a dare conto delle ragioni del ritardo. L’indirizzamento diretto al funzionario, quindi, è possibile ed è ammesso in quanto semplifica la procedura interna di ripartizione delle competenza senza peraltro annullarla del tutto. In estrema sintesi, pertanto, appare condivisibile la tesi fatta propria dalla Corte di legittimità, posto che ciò che rileva è la conoscenza da parte del pubblico ufficiale competente a compiere l’atto espresso nel “sollecito” inviato da parte del privato all’Ente di cui il pubblico ufficiale è organo e presso cui lo stesso è incardinato altro la norma non richiede e, quindi, la punibilità è configurabile. Ma ciò detto, è bene considerare che la richiesta scritta, quand’anche non sia direttamente rivolta al pubblico ufficiale, non può non essere esplicita sull’atto richiesto e, quindi, sull’ufficio interessato, posto che la genericità dei contenuti fa venir meno il carattere di “diffida” a tale istanza. Dopo tutto, ciò che davvero importa è che il pubblico ufficiale sia posto in grado di adempiere al suo ufficio e, qualora ciò non sia possibile entro i termini di legge, spieghi il perché sperando che il tutto non si esaurisca in una mesta litania sul carico di lavoro o sulle difficoltà organizzative o sulla carenza di personale. Se è vero che ad impossibilia nemo tenetur , è pur vero che talvolta “volere è potere”.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 – 22 ottobre 2015, numero 42610 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 27 ottobre 2014 la Corte d'appello di Messina, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Barcellona P.G. in data 25 febbraio 2010, ha dichiarato C. D., nella sua qualità di responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di Santa Lucia del Mela, colpevole del delitto di cui all'articolo 328, comma 2, c.p., per avere omesso di comunicare a M. S. l'esito di analisi chimiche effettuate sulla natura inquinante delle acque di scolo che attraversavano un fondo di sua proprietà, malgrado la richiesta del 27.12.2007 e la successiva diffida del 21.4.2008, condannandolo alla pena di euro 400,00 di multa. 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, deducendo quattro motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato. 2.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione agli articolo 328, comma 2, c.p., 35, comma 4, l. numero 241/90, per avere la Corte d'appello acriticamente accolto le argomentazioni svolte dal P.M. appellante riguardo alla configurabilità dell'ipotizzata fattispecie incriminatrice, senza chiarire le ragioni poste alla base dell'indirizzo giurisprudenziale da lui propugnato, di segno contrario rispetto a quello richiamato e fatto proprio dal Tribunale nella sentenza assolutoria di primo grado. Ad ogni modo la questione, oggetto di un contrasto giurisprudenziale, potrebbe essere rimessa alle Sezioni Unite ex articolo 618 c.p.p. . 2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione all'articolo 192 c.p.p., per avere la Corte d'appello ignorato quanto evidenziato dall'imputato nella memoria difensiva dei 22 ottobre 2014, riguardo all'assenza di prova non solo in merito alla sua condizione di responsabile dell'ufficio tecnico comunale, ma anche sulla sua effettiva conoscenza delle richieste avanzate dalla persona offesa M. S 2.3. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione all'articolo 328, comma 2, c.p., non avendo la Corte d'appello considerato che, a seguito della riforma introdotta dalla l. numero 15/2005, il meccanismo previsto dalla norma incriminatrice è utilizzabile solo quando il termine di novanta giorni fissato per l'emanazione dell'atto sia già decorso, avendo quella modifica legislativa attribuito ai pubblici ufficiali uno spatium deliberandi di novanta giorni, con la possibilità per la P.A. di darsi un termine maggiore. Nel caso di specie, la diffida e messa in mora del 21 aprile 2008 è stata fatta da parte dei M. oltre novanta giorni dalla prima istanza del 27 dicembre 2007, ma mentre quest'ultima è stata rivolta sia al Sindaco che al responsabile del servizio tecnico, la prima, ossia la diffida a provvedere, è stata effettuata solo nei confronti dei Sindaco, dunque non è pervenuta al medesimo amministratore o funzionario compulsato in precedenza, con la conseguenza che non è ravvisabile il doppio interpello rivolto al medesimo soggetto che in ipotesi sarebbe rimasto inerte. 2.4. Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'articolo 43 c.p., per difetto di dolo, avuto riguardo alle diverse pronunzie intervenute sull'efficacia dei silenzio dell'amministrazione a seguito di una richiesta di accesso agli atti ed al fatto che l'imputato avrebbe potuto restare inerte sulla richiesta, confidando su un'opzione ermeneutica avallata dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Considerato in diritto 1. Il ricorso è in parte fondato e va pertanto accolto nei limiti e per gli effetti di seguito esposti e precisati. 2. Il primo, il terzo ed il quarto motivo di doglianza sono inammissibili per manifesta infondatezza, poiché le relative censure sono state prospettate sulla base del richiamo ad un isolato precedente dei 1998, rimasto dei tutto superato dalla successiva evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Al riguardo, invero, deve ribadirsi la pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte, che ha ormai da tempo stabilito il principio secondo cui, in tema di delitto di omissione di atti d'ufficio, il formarsi dei silenzio-rifiuto alla scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta dei privato costituisce un inadempimento integrante la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice Sez. 6, numero 45629 dei 17/10/2013, dep. 13/11/2013, Rv. 257706 Sez. 6, numero 7348 del 24/11/2009, dep. 2010, Di Venere, Rv. 246025 Sez. 6, numero 5691 del 06/04/2000, Scorsone, Rv. 217339 . Rispetto a tale indirizzo dominante, l'unico precedente giurisprudenziale contrario, cui ha fatto riferimento il ricorrente, non può essere sotto alcun profilo condiviso in quanto, come più volte evidenziato in questa Sede, sovrappone la questione del rimedio apprestato dall'ordinamento contro l'inerzia della pubblica amministrazione - consentendo con la finzione del silenzio-rifiuto che il cittadino possa procedere ad impugnazione - con i diversi aspetti problematici inerenti la responsabilità penale del pubblico funzionario. Senza dire che, con l'esperibilità dei rimedi giurisdizionali avverso il silenzio-rifiuto, non soddisfano neppure interamente le esigenze di tutela nei confronti della pubblica amministrazione basti pensare al vizio di merito dell'atto amministrativo . La fattispecie di cui all'articolo 328, comma 2, c.p., incrimina non tanto l'omissione dell'atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall'istanza di chi vi abbia interesse. L'omissione dell'atto, in sostanza, non comporta ex se la punibilità dell'agente, poichè questa scatta soltanto se il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio , oltre a non avere compiuto l'atto, non risponde per esporre le ragioni del ritardo viene punita, in tal modo, non già la mancata adozione dell'atto, che potrebbe rientrare nel potere discrezionale della pubblica amministrazione, bensì l'inerzia del funzionario, la quale finisce per rendere poco trasparente l'attività amministrativa. In tal senso, la stessa formulazione della norma, che utilizza la congiunzione e , delinea una equiparazione ex lege dell'omessa risposta che illustra le ragioni del ritardo alla mancata adozione dell'atto richiesto v., in motivazione, Sez. 6, 22 giugno 2011, numero 43647 . Ne discende, conclusivamente, che la richiesta scritta di cui all'articolo 328, comma secondo, cod. penumero , assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono, con il logico corollario che il reato si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato Sez. 6, 15 gennaio 2014 - 20 gennaio 2014, numero 2331 . Con riferimento ai su indicati motivi di doglianza, pertanto, la decisione impugnata ha fatto buon governo delle regole stabilite da questa Suprema Corte, ritenendo la condotta in contestazione idonea ad integrare gli estremi del reato omissivo sul pacifico rilievo, in punto di fatto, che la lettera di diffida e messa in mora del 21 aprile 2008, nonostante fosse direttamente rivolta al Sindaco, era stata da questi inoltrata, il successivo 30 aprile 2008, al responsabile del Servizio urbanistico tecnico, con l'esplicito invito a darne immediato riscontro e relativa comunicazione al sottoscritto , così ponendolo in condizione di conoscere l'oggetto dell'incarico da adempiere, a lui affidato nella rispettiva qualità. 3. Fondato, di contro, deve ritenersi il secondo motivo di doglianza, là dove i Giudici di merito non hanno adeguatamente affrontato e risolto, in punto di fatto, un aspetto decisivo ai fini della configurazione della responsabilità penale, atteso che già in sede di gravame v. pag. 5 della memoria difensiva in data 22 ottobre 2014 era stato posto in dubbio il connesso profilo inerente l'accertamento della effettiva riconducibilità dei comportamento omissivo alla persona dell'imputato, con riferimento alla necessaria verifica della sua formale condizione soggettiva di responsabile del servizio tecnico comunale al momento della ricezione della diffida da parte dei Sindaco, con le relative implicazioni in tema di competenza a provvedere sull'oggetto della richiesta inoltrata al dirigente di quell'Ufficio. Su tali punti, specificamente contestati in sede di gravame, non emerge dalla motivazione della decisione impugnata una precisa ed argomentata risposta a confutazione delle censure mosse dalla difesa. 4. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria, affinché provveda, alla stregua delle regole di giudizio affermate, a colmare le su indicate lacune, uniformandosi al quadro dei principii in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Reggio Calabria.