La Consulta sulle unioni civili: il cognome comune scelto dalla coppia non modifica i dati anagrafici

La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità della disciplina prevista dalle disposizioni sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e, in particolare, sulla scelta del cognome comune da parte della coppia.

La scelta di entrambe le parti dell’unione civile di utilizzare un cognome comune, «come cognome d’uso senza valenza anagrafica», non comporta alcun violazione dei diritti al nome, all’identità e alla dignità personale. Così ha deciso la Consulta nell’udienza di ieri, 9 ottobre, pronunciandosi sulla remissione proposta dal Tribunale di Ravenna ed avente ad oggetto l’articolo 3 d.lgs. numero 5/2017. Annotazione del cognome comune. La norma censurata prevede infatti che la scelta del cognome comune non modifica la scheda anagrafica individuale, dove rimarrà dunque annotato il cognome precedente alla costituzione dell’unione. La scelta effettuata viene invece iscritta negli atti dello stato civile, ai sensi dell’articolo 63, comma 1, lett. g-sexies, d.P.R. numero 396/2000. Il giudice remittente aveva sollevato questione di legittimità costituzionale per la presunta violazione dei diritti al nome, all’identità e alla dignità personale. La coppia protagonista della vicenda si era infatti vista annotare sugli atti e i documenti di nascita il cognome comune scelto al momento della costituzione dell’unione civile, ma, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo, l’annotazione era stata cancellata. Effetto retroattivo del decreto attuativo. Con un comunicato stampa diffuso ieri, la Consulta ha sottolineato che la disposizione «realizzi il coerente sviluppo dei principi posti dalla legge delega numero 76/2016, attraverso l’adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile alle previsioni della legge sulle unioni civili, e in particolare a quella del suo comma 10. Da ciò consegue la legittimità dell’annullamento delle modifiche anagrafiche intervenute prima dell’adozione del d.lgs. numero 5/2017. La dichiarata transitorietà del d.P.C.M. numero 44/2016 e la brevità del suo orizzonte temporale portano ad escludere che le novità introdotte da tale fonte di rango secondario abbiano determinato l’emersione e il consolidamento di un nuovo tratto identificativo della persona». Non resta che attendere il deposito della sentenza per leggere le motivazioni della decisione.