Assenti ai corsi di formazione per il nuovo incarico: legittimo lo stop della retribuzione

Respinte le contestazioni mosse da due dipendenti di Poste Italiane. Confermato il provvedimento adottato dall’azienda e finalizzato a sanzionare la mancata partecipazione ai corsi organizzati per la futura nomina a messo notificatore.

Niente stipendio per cinque giorni. Costa carissimo ai lavoratori la scelta di non prendere parte ai corsi di formazione organizzati dall’azienda e propedeutici all’assegnazione di nuovi incarichi Cassazione, ordinanza numero 22383/18, sez. Lavoro, depositata il 13 settembre . Sospensione. Contesto della vicenda è Poste Italiane spa. Riflettori puntati, in particolare, sulla condotta di due dipendenti – inquadrati come portalettere –, che hanno mal digerito la prospettiva di operare come «messo notificatore» e hanno perciò ‘dimenticato’ di prendere parte ai «corsi di formazione organizzati dalla società», che si è «aggiudicata l’appalto del servizio di notifica delle cartelle e degli altri documenti esattoriali per conto di ‘Equitalia’». I corsi sono propedeutici alla nomina a «messo notificatore», e son ritenuti fondamentali dall’azienda. Ecco spiegata la decisione di sanzionare col «provvedimento disciplinare della sospensione di cinque giorni dalla retribuzione» i due dipendenti. La posizione assunta da Poste Italiane è corretta, sanciscono ora i Giudici della Cassazione, condividendo, in sostanza, le decisioni assunte prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello, entrambe sfavorevoli ai lavoratori. Secondo i magistrati bisogna tenere bene a mente che non esiste «un divieto assoluto per il datore di lavoro di assegnare il lavoratore a mansioni superiori senza il suo consenso», ragionando nell’ottica della «più ampia e incisiva tutela della professionalità del prestatore» e in una prospettiva «necessariamente dinamica, e non puramente conservativa, del patrimonio di competenze ed abilità già esistente e consolidato». E in questo caso pare evidente, secondo i giudici, l’illegittimità del rifiuto opposto dai lavoratori alla «nomina a messo notificatore», rifiuto concretizzatosi nell’assenza ai relativi «corsi di formazione».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 aprile – 13 settembre 2018, numero 22383 Presidente Manna – Relatore Negri Della Torre Fatto e diritto Premesso che con sentenza numero 509/2013, pubblicata il 13 giugno 2013, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede aveva respinto i ricorsi di Fr. Ra. e Di. Ve. diretti all'annullamento dei provvedimenti disciplinari della sospensione di cinque giorni dalla retribuzione loro inflitti da Poste Italiane S.p.A., in relazione, il primo, alla mancata partecipazione a corsi di formazione per la nomina a messo notificatore organizzati dalla società a seguito di aggiudicazione dell'appalto del servizio di notifica delle cartelle e degli altri documenti esattoriali per conto di Equitalia e, il secondo, in relazione alla mancata trasmissione della documentazione necessaria al medesimo fine - che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso i lavoratori con quattro motivi, cui ha resistito Poste Italiane S.p.A. con controricorso rilevato che con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1460 e 2103 cod. civ., anche in connessione con gli articolo 45 D.Lgs. numero 112/1999, 18 D.Lgs. numero 261/1999, 7 L. numero 890/1982 e 21 CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane a per avere la Corte territoriale ritenuto le mansioni di messo notificatore omogenee rispetto a quelle di recapito svolte dai ricorrenti e b per avere ritenuto che, ove pure tali mansioni fossero superiori a quelle normali del portalettere, così da risultare inquadrabili nel livello C anziché nel livello D del CCNL di riferimento, i lavoratori incaricati da parte datoriale di svolgerle sarebbero comunque tenuti ad espletarle ed a porre in essere tutte le condotte prodromiche a consentire l'espletamento, quali la partecipazione a corsi e la produzione di documenti , salvo poi far valere i loro diritti in termini sia di trattamento economico sia di assegnazione definitiva a mansioni superiori - che, con il secondo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ., per avere la Corte di appello, erroneamente interpretando i documenti prodotti, ritenuto che la volontà di Poste Italiane fosse nel senso che la società non aveva inteso acquisire il consenso dei portalettere all'esercizio della nuova funzione, con ciò respingendo la tesi, sostenuta invece dai ricorrenti, della iniziale prospettazione del conferimento della nomina a messo su base volontaria - che, con il terzo, viene dedotta la nullità della sentenza e del procedimento ex articolo 360 numero 4 cod. proc. civ. con riferimento alla violazione del combinato disposto degli articolo 100, 115, 116 e 132 cod. proc. civ., anche in funzione dell'applicazione al caso di specie degli articolo 1460 e 2106 cod. civ., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte trascurato di dare ingresso a mezzi di prova che avrebbero consentito di accertare circostanze decisive ai fini della valutazione di legittimità del comportamento dei ricorrenti e cioè il superamento, con l'affidamento del ruolo di messo notificatore, dell'ordinario orario di lavoro e la maggiore gravosità, sotto diversi profili, della prestazione lavorativa che ne sarebbe derivata e della valutazione di congruità della sanzione inflitta - che, con il quarto motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 7 e 13 D.Lgs. numero 196/2003, nonché nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articolo 115, 116 e 132 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello escluso, con ragionamento sommario ed erroneo, che Poste Italiane, mediante la richiesta dei documenti necessari alla formalizzazione della nomina a messo notificatore, avesse violato la normativa in materia di tutela della riservatezza, normativa che invece, e in particolare, risultava travalicata nel momento in cui la società aveva escluso dallo svolgimento della nuova mansione i portalettere che avessero una posizione debitoria nei confronti dell'Agenzia di riscossione osservato quanto al primo motivo, che l'autonoma ragione decisoria riportata sub b si sottrae alle censure che con il motivo in esame le sono rivolte, posto che - come più volte affermato da questa Corte - l'articolo 2103 cod. civ. non contiene un assoluto divieto, per il datore di lavoro, di assegnare il lavoratore a mansioni superiori senza il suo consenso Cass. numero 4463/2004 conformi, fra le altre Cass. numero 10998/1999 Cass. numero 7142/1987 - che a tale orientamento si ritiene di dare continuità, alla stregua di una interpretazione della norma che ne sottolinea il fine della più ampia e incisiva tutela della professionalità del prestatore, in un'ottica necessariamente dinamica e non puramente conservativa del patrimonio di competenze ed abilità già esistente e consolidato - che, ciò posto, è da ritenere che la Corte di appello abbia fatto corretta applicazione del principio, secondo il quale, ove venga proposta dalla parte l'eccezione di inadempimento, il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse con la conseguenza di legittimamente ritenere il rifiuto della parte di adempiere la propria obbligazione non conforme a buona fede e, pertanto, non giustificato ai sensi dell'articolo 1460, co. 2., cod. civ., con valutazione che, rientrando nei compiti del giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria Cass. numero 11430/2006 - che consegue da quanto sopra l'inammissibilità, per difetto di interesse, delle ulteriori censure svolte con il motivo in esame Cass. numero 4199/2002 - che il secondo motivo di ricorso è inammissibile, alla stregua del costante orientamento, per il quale l'interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un'altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra Cass. numero 11254/2018 ord. - che il terzo motivo e il quarto motivo risultano egualmente inammissibili - che, in particolare, quanto al terzo, si deve rilevare come i ricorrenti, nell'inosservanza del requisito di specificità di cui all'articolo 366, comma 1., numero 6 cod. proc. civ., non abbiano specificato se, con quale atto processuale e in quali esatti termini, anche ai fini della valutazione di eventuale decisività, fossero stati riproposti al giudice di appello i mezzi di prova, di cui ora lamentano la mancata ammissione, fermo quanto già osservato riguardo all'eccezione di inadempimento e il fatto che la Corte ha comunque ampiamente motivato la propria decisione sui punti censurati cfr. sentenza, pp. 8-9 e 15 - che, in relazione al quarto, si deve rilevare come, in contrasto con il medesimo canone di specificità, la censura di violazione e falsa applicazione delle norme in tema di tutela della riservatezza si risolva in affermazioni generiche cfr. ricorso, p. 33 , prive della necessaria indicazione delle proposizioni in diritto contenute nella decisione impugnata che si assumano in contrasto con le norme denunciate e con l'interpretazione che di esse viene fornita dalla giurisprudenza e dalla dottrina cfr., fra le molte, Cass. numero 3010/2012 mentre la questione relativa all'esclusione dal servizio dei portalettere che risultassero in una posizione debitoria nei confronti dell'Agenzia di riscossione è da considerarsi nuova, non essendo dimostrato dagli odierni ricorrenti che essa fosse già compresa nel thema decidendum del giudizio di appello Cass. numero 907/2018 ord. ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere respinto - che ricorrono le condizioni per l'integrale compensazione delle spese fra le parti, avuto riguardo alla novità e alla peculiarità della fattispecie dedotta in giudizio P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso dichiara compensate le spese del presente giudizio. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.