Il delitto di atti persecutori si configura nell’ipotesi in cui, anche se la condotta persecutoria è istaurata in epoca antecedente, si accerti la reiterazione di atti di aggressione e molestia idonei a creare una lesione alla vittima. Ciò vale anche se tali atti vengano accertati dopo l’entrata in vigore del d.l. numero 11/2009. Al di fuori di questa limitata attitudine dimostrativa deve rispettarsi il principio del ne bis in idem.
Sul tema la Cassazione con sentenza numero 40153/18, depositata il 7 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello, confermando la decisione di prime cure, condannava l’imputato per i delitti di violenza privata, lesione aggravate e atti persecutori in danno alla persona offesa. Contro detta decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando con il secondo motivo la violazione di legge processuale in relazione al principio del ne bis in idem per essere il fatto, qualificato ai sensi dell’articolo 660 c.p. Molestia o disturbo alle persone , oggetto di separato accertamento processuale con conseguente preclusione processuale ex articolo 649 c.p.p. Divieto di secondo giudizio . Operatività del principio del ne bis in idem. Il motivo è fondato. L’operatività del ne bis in idem, ricordano i Giudici di legittimità, «preclude di valutare, come fatto integrante il reato oggetto del giudizio, anche condotte già devolute alla cognizione di altro giudice». Inoltre i fatti che non possono essere contestati non possono neppure essere valorizzazioni come elemento integrante la nuova condotta, ma «possono essere, soltanto, valutati, come antecedente accertato, secondo il disposto e con le modalità dell’articolo 238-bis c.p.p.». Tanto premesso, continua la Suprema Corte, i fatti di molestie antecedenti all’entrata in vigore della l. numero 38/2009, che ha introdotto il reato di atti persecutori, anche se non addebitabili a tale titolo di reato, possono essere usati per la dimostrazione soprattutto della gravità di altri fatti di molestia «ricadenti nell’alveo applicativo della norma incriminatrice sopravvenuta, autonomamente suscettibili, per la loro reiterazione, di integrare il reato in parola». Al di fuori della limitata possibilità dimostrativa dell’evento reato i singoli fatti, oggetto di accertamento in diversa sede processuale, «non possono essere contestati né valutati sotto il versante della condotta tipica del reato di atti persecutori, in conseguenza della consumazione dell’azione penale già esercitata dal PM in diverso procedimento penale, pendente in qualunque stato e grado o definito». Il giudice ove individuata l’identità di fatto deve pronunciare declaratoria di improcedibilità. Nella fattispecie in esame, secondo i Giudici di Cassazione, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di questi principi adottando un errata interpretazione dell’articolo 649 c.p.p. e omettendo di verificare i singoli fatti per i quali l’azione penale è stata esercitata per la pronuncia o meno di improcedibilità. Per questi motivi la Suprema Corte annulla la sentenza con rinvio.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 maggio – 7 settembre 2018, numero 40153 Presidente Pezzullo – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione del Gup del tribunale in sede del 20 gennaio 2016 che ha affermato la responsabilità penale di P.G. in ordine ai delitti di violenza privata, lesioni aggravate ed atti persecutori in danno di Q.R. , oltre statuizioni accessorie. 2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, articolando plurime censure. 2.1 Con il primo motivo, deduce violazione della legge penale in riferimento alla sussistenza della fattispecie di cui all’articolo 612 bis cod. penumero , in difetto degli elementi costitutivi della condotta, per avere il giudice di merito ritenuto integranti plurimi atti persecutori fatti oggetto di accertamento in diversi procedimenti penali o già accertati con sentenza, potendo rilevare solo i segmenti della condotta, temporalmente collocati in epoca successiva al 2014, per i quali il pubblico ministero non avesse esercitato l’azione penale. Con la conseguenza per cui, circoscritta in tal guisa la contestazione, i residui fatti procedibili - minacce e lesioni contestati ai punti 5 e 6 della contestazione sub a - non integrano la condotta abituale di cui all’articolo 612 bis cod. penumero , come escluso nella sentenza di primo grado. 2.2. Con il secondo motivo, censura violazione di legge processuale in riferimento al principio del ne bis in idem, per essere oggetto di separato accertamento processuale il fatto - qualificato ai sensi dell’articolo 660 cod. penumero contestato sub c , con conseguente preclusione processuale ex articolo 649 cod. proc. penumero , come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Assume rilievo assorbente e decisivo la questione posta nel secondo motivo di ricorso e, in parte, nel primo in riferimento all’incidenza del principio del ne bis in idem sulla complessiva valutazione dei fatti oggetto di imputazione, che avvince plurimi episodi, consumati in un considerevole lasso temporale, e dei quali la difesa ha parzialmente dedotto l’improcedibilità per essere stati oggetti di separate vicende processuali. 2.1. Il thema involge l’applicazione del principio enunciato dalle Sezioni unite, nella sentenza numero 34655 del 28 giugno 2005, Donati, Rv. 231800, secondo cui non può esser nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente, anche se in fase o grado diversi, nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero, di talché nel procedimento eventualmente duplicato deve essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, deve essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. Siffatta ampia interpretazione del principio del ne bis in idem, ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità, rende evidente che se un fatto eventualmente insieme ad altri ha costituito materia di esercizio della azione penale nell’ambito di un procedimento, il medesimo ufficio del pubblico ministero non può, nella medesima sede giudiziaria, procedere nuovamente per la stessa fattispecie, anche diversamente qualificata, iscrivendo un nuovo procedimento contro il medesimo soggetto. 2.2. Il principio enunciato, appare, invero - in parte - correttamente applicato dal pubblico ministero anche nel presente procedimento, come si desume dal fatto che i fatti contestati sub a risalgono al 2011, mentre il capo di imputazione indica una condotta perdurante dal 2013, con evidente esclusione delle aggressioni e delle lesioni enunciate nei primi tre punti della rubrica. La difesa ha, tuttavia, dedotto tanto nel giudizio di primo grado che in appello, come anche per ulteriori episodi, pure oggetto di contestazione, si fosse proceduto separatamente ad iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero, documentando come le condotte descritte ai punti 1 e 3 del capo a ed i fatti sub c fossero oggetto del procedimento RGNR 15176/10, pendente in fase dibattimentale, mentre i fatti delineati al punto 2 del medesimo capo a fossero oggetto del procedimento RGNR 107009/11, definito con sentenza. Donde la necessità di verificare la sovrapponibilità dei fatti oggetto dei diversi procedimenti penali, in quanto l’operatività del principio del ne bis in idem preclude di valutare, come fatto integrante il reato oggetto del giudizio, anche condotte già devolute alla cognizione di altro giudice. Preclusione che, nel caso in esame, dispiega effetti non solo sulla procedibilità del reato sub C , ma anche in punto di ricostruzione dei segmenti fattuali che declinano l’elemento materiale del delitto di cui all’articolo 612 bis cod. penumero , contestato al capo A . 3. L’operatività del principio del ne bis in idem fa sì che i fatti che non possono essere contestati non possono neppure essere valorizzati come elemento integrante la nuova condotta. Possono essere, soltanto, valutati come antecedente storico-giuridico, come accade quando si valorizza un reato definitivamente accertato, secondo il disposto e con le modalità dell’articolo 238 bis cod. proc. penumero Sez. 5, sentenza numero 48391 del 24/09/2014, Rv. 261024 . Nella delineata prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il principio per cui anche fatti di molestie o minacce antecedenti alla data di entrata in vigore della L. numero 38 del 2009, che ha introdotto il reato di atti persecutori, pur non essendo addebitabili a tale titolo di reato, possono tuttavia dispiegare valenza dimostrativa ai fini della lettura e interpretazione soprattutto della gravità - nell’ottica della prova dell’evento - di altri fatti di molestia o minacce ricadenti nell’alveo applicativo della norma incriminatrice sopravvenuta, autonomamente suscettibili, per la loro reiterazione, di integrare il reato in parola v. Sez. 5, sentenza numero 10388 del 06/11/2012, Rv. 255330 . Di guisa che si configura il delitto di atti persecutori nella ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca antecedente, si accerti, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, numero 11, convertito con L. 23 aprile 2009, numero 38, la reiterazione di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura. 3.1. Al di fuori della - limitata - attitudine dimostrativa dell’evento del reato, singoli fatti, caratterizzati da autonomo disvalore penale ed oggetto di accertamento in diversa sede processuale, non possono essere contestati né valutati sotto il versante della condotta tipica del reato di atti persecutori, in conseguenza della consunzione dell’azione penale già esercitata dal pubblico ministero in diverso procedimento penale, pendente in qualunque stato e grado o definito. A tal fine, la identificazione delle coordinate ontologiche della condotta e la verifica del rapporto di interferenza tra le contestazioni involge questioni di fatto, assegnate all’apprezzamento del giudice del merito che, ove rilevata l’identità del fatto, deve pronunciare declaratoria di improcedibilità per divieto di un secondo giudizio ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. penumero . 3.2. La consumazione dell’azione penale in relazione ai segmenti fattuali dell’imputazione in applicazione del principio del ne bis in idem e la conseguente preclusione processuale derivante dall’improcedibilità impone la verifica della - residua - sussistenza del minimum necessario, sotto il profilo della condotta, ai fini dell’integrazione del reato. Ed invero il delitto di atti persecutori, quale reato abituale improprio a reiterazione necessaria delle condotte, si caratterizza in quanto l’evento nella triplice declinazione alternativa prevista dalla norma incriminatrice deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, nel cui ambito la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, infine, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice Sez. 5, Sentenza numero 54920 del 08/06/2016 Ud. dep. 27/12/2016 Rv. 269081 numero 51718 del 2014 Rv. 262636 . Di guisa che integrano il delitto di atti persecutori di cui all’articolo 612 bis cod. penumero almeno due condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice Sez. 5, Sentenza numero 46331 del 05/06/2013 Ud. dep. 20/11/2013 Rv. 257560 numero 6417 del 2010 Rv. 245881 . Infatti, un solo episodio, per quanto grave e da solo anche idoneo, in astratto, a determinare il grave e persistente stato d’ansia e di paura che è indicato come evento naturalistico del reato in disamina, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, potendolo essere, invece, alla stregua di precetti diversi e ciò in aderenza alla volontà del legislatore il quale, infatti, non ha lasciato spazio alla configurazione di una fattispecie solo eventualmente abituale. 4. La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi, adottando una errata interpretazione della latitudine applicativa dell’articolo 649 cod. proc. penumero ed omettendo di verificare analiticamente i singoli fatti per i quali l’azione penale era stata già esercitata, in relazione ai quali deve essere pronunciata - ove rilevata l’identità rispetto ai fatti contestati nel presente procedimento ai capi A e C - declaratoria di improcedibilità. 5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio affinché il giudice, in applicazione dei principi enunciati e nei limiti declinati ai sensi dell’articolo 624 cod. proc. penumero , proceda a nuovo esame rideterminando, se del caso, anche il trattamento sanzionatorio in relazione alla contestazione sub B . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, limitatamente ai capi a e c per nuovo esame e per eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio anche in relazione al capo b . In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalità e gli altri identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio.