Provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale: il ruolo delle autorità chiamate in causa

La Cassazione definisce il ruolo del Tribunale e della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in merito all’atto di diniego amministrativo della richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Sul tema la S.C. con ordinanza n. 23472/17, depositata il 6 ottobre. La vicenda. La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la richiesta di protezione umanitaria proposta da un cittadino nigeriano. Successivamente lo straniero presentava domanda di riesame, a seguito della quale la stessa Commissione aveva prima ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento, poi, però, aveva revocato il precedente provvedimento dando atto di essere incorsa in errore circa i requisiti dello straniero per aver diritto all’asilo. A seguito di ciò, il soccombente impugnava il provvedimento davanti al Tribunale, il quale aveva annullato l’atto impugnato e dichiarato valido ed efficacie il provvedimento iniziale della Commissione territoriale che concedeva il riconoscimento della protezione umanitaria. La Corte d’Appello, investita dell’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno, aveva accolto integralmente il gravame negando il permesso di soggiorno per motivi umanitari allo straniero. Ricorreva in Cassazione, avverso tale provvedimento, il cittadino nigeriano. Ruolo del Tribunale. Secondo la Suprema Corte il Tribunale avrebbe dovuto decidere nel merito la questione e non limitarsi ad annullare l’atto di diniego amministrativo confermando il provvedimento iniziale della Commissione territoriale. Infatti è orientamento consolidato che la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poiché tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata a cui deve seguire la valutazione sulla spettanza o meno del diritto stesso. A conseguenza di ciò deve ritenersi corretto, secondo la Cassazione, l’esame nel merito della questione, circa la posizione del cittadino straniero, effettuato dalla Corte d’Appello. Revoca o cessazione della protezione internazionale. Il secondo motivo lamentato dal ricorrente riguardava la competenza della decisione di revoca. Afferma infatti il ricorrente che doveva ritenersi competente, in merito a tale decisione, la Commissione nazionale con le garanzie che ne derivavano. In conclusione la Corte, in coerenza con il dettato normativo di cui al d.lgs. n. 25/2008 Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato , ha ritenuto che la competenza a disporre la revoca della protezione umanitaria ex art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 spetti alle Commissioni territoriali e non già alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo, la cui cognizione è circoscritta ai casi di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale nelle forme del rifugio politico o della protezione sussidiaria precedentemente riconosciuto, e all’ipotesi residuale in cui, revocato o dichiarato cessato tale status , la stessa Commissione nazionale riconosca il diritto alla protezione umanitaria, ritenendo sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari art. 33, comma 2, d.lgs. n. 25/2008 . Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 maggio – 6 ottobre 2017, n. 23472 Presidente Nappi – Relatore Acierno Ragioni della decisione Con provvedimento notificato il 26/05/2009, confermato in sede giurisdizionale, la Commissione territoriale di Torino ha respinto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da I.F. , cittadino nigeriano. In data 24/01/2012 lo straniero presentava domanda di riesame della propria posizione ai sensi e per gli effetti della c.d. procedura Vestanet C3 - gestione emergenza Nord Africa , riguardante lo status degli stranieri che, pur appartenendo a Paesi terzi, vivevano nel territorio libico e da li erano stati costretti a fuggire per le condizioni di guerra civile venutesi a determinare nel 2011. La Commissione territoriale di Torino, con provvedimento del 17/12/2012, ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e ha disposto la trasmissione degli atti al Questore per quanto di competenza. Tuttavia, con successivo provvedimento del 07/03/2013, la predetta Commissione ha revocato il provvedimento iniziale non ancora notificato all’interessato , dando espressamente atto di essere incorsa in errore per aver mancato di accertare che il richiedente si trovava in Italia fin dal 2008, quindi prima dello scoppio della guerra civile in Libia. Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato da sig. I. dinanzi al Tribunale di Bologna, che con ordinanza del 29/11/2013 - ritenuto che la revoca dello status di protezione umanitaria potesse essere disposta soltanto dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo ai sensi dell’art. 33, d.lgs. 25/2008 - ha annullato l’atto impugnato e ha contestualmente dichiarato valido ed efficace il primo provvedimento della Commissione territoriale emesso in data 17/12/2012. Con sentenza del 04/07/2014 la Corte d’appello di Bologna, investita dell’impugnazione proposta dal Ministero dell’interno, ha accolto integralmente il gravame, negando al sig. F. il beneficio richiesto della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Rilevava la Corte territoriale che il provvedimento della Commissione emesso il 07/03/13 non poteva qualificarsi come revoca in senso tecnico ai sensi dell’art. 33, d.lgs. 25/2008, dovendosi al contrario ritenere che l’Amministrazione abbia agito in autotutela per emendare il proprio precedente deliberato, stante la presa d’atto del fatto che I.F. non era legittimato ad avvalersi della procedura Vestanet C3 , in quanto presente in Italia fin dal 2008 e dunque in un periodo anteriore allo scoppio della c.d. primavera araba del maggio 2011. Inoltre, il procedimento giurisdizionale instaurato dinanzi al Tribunale di Bologna non poteva assumere la forma di un giudizio meramente impugnatorio, essendo devoluta al giudice ordinario l’intera cognizione relativa all’accertamento della sussistenza o meno del diritto vantato dall’interessato. Nella specie il sig. I. , presente in Italia dal 2008, non aveva diritto al riesame della propria posizione già definita con provvedimento notificato il 26/05/2009, confermato in sede giurisdizionale , in quanto la predetta procedura Vestanet C3 era destinata a quegli stranieri che, vivendo da anni nel territorio libico, sono stati costretti a fuggire per le condizioni di guerra e violenza createsi a seguito della primavera araba del 2011. Avverso suddetta pronuncia propone ricorso per cassazione I.F. sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 329, 2 comma, e 112 c.p.c., in quanto la Corte d’appello ha affermato che il provvedimento di revoca della Commissione territoriale non doveva qualificarsi come revoca in senso tecnico, mancando tuttavia di rilevare che in punto di qualificazione del provvedimento si era formato giudicato interno in ragione dell’assenza di specifica impugnazione dell’Avvocatura dello Stato. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 e 33, d.lgs. 25/2008, in quanto il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale è sostanzialmente una revoca, e come tale è di competenza della Commissione nazionale ai sensi dell’art. 5 e soggetto alle garanzie procedimentali di cui all’art. 33. Con il terzo motivo viene lamentata la violazione degli artt. 35, 1 comma, d.lgs. 25/2008 e 19, d.lgs. 150/2001, in quanto, come ritenuto dal giudice di prime cure, l’annullamento del provvedimento della Commissione territoriale a seguito di impugnazione giudiziale comporta come conseguenza che rimanga valido ed efficace l’atto precedentemente assunto. Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività proposta dall’Amministrazione controricorrente. Invero, a seguito dell’abrogazione dell’art. 35, comma 14, d.lgs. 25/2008, in tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di cui all’art. 702 quater c.p.c., relativo al rito sommario di cognizione, applicabile ai giudizi di merito in virtù dell’art. 19, d.lgs. 150/2011. Il comma 10 di quest’ultima disposizione deve essere interpretato nel suo reale significato di attribuire priorità nella trattazione delle controversie in materia di protezione internazionale, non anche nel senso di rendere applicabili al giudizio di legittimità disposizioni abrogate o riguardanti i giudizi di merito, con interpretazione, peraltro, palesemente in contrasto con il diritto delle parti ad un giusto processo ed all’effettività del diritto di difesa Cass. n. 18704 del 22/09/2015, Rv. 636868 - 01 . Nella specie, tenuto conto del dies a quo del 04/07/2015 data di deposito della sentenza d’appello , il termine lungo scadenza il 19/02/2015, e il presente ricorso è stato notificato esattamente in tale giorno. I motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono tutti manifestamente infondati. In primo luogo, risulta pp. 3 e 4 della pronuncia impugnata che il Ministero dell’interno ha lamentato l’erronea applicazione, da parte del giudice di prime cure, dell’art. 35, d.lgs. 25/2008, per avere il Tribunale omesso di decidere nel merito della questione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poiché tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicché deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo Cass. n. 18632 del 03/09/2014, Rv. 631940 - 01 . Per conseguenza, nessun giudicato si è formato sulla natura del provvedimento della Commissione territoriale, e la Corte d’appello ha correttamente esaminato il merito della questione circa la posizione del cittadino straniero. In secondo luogo, la chiara esegesi degli artt. 32 e 33, d.lgs. 25/2008, rivela che le argomentazioni del ricorrente non meritano di essere condivise. Invero, l’art. 33 così dispone Revoca e cessazione della protezione internazionale riconosciuta 1. Nel procedimento di revoca o di cessazione dello status di protezione internazionale, l’interessato deve godere delle seguenti garanzie a essere informato per iscritto che la Commissione nazionale procede al nuovo esame del suo diritto al riconoscimento della protezione internazionale e dei motivi dell’esame Nel caso di decisione di revoca o cessazione degli status di protezione internazionale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 32, comma 3 . La norma si riferisce esclusivamente allo status di protezione internazionale e non anche alle misure di protezione umanitaria la distinzione è resa evidente dall’art. 2, lett. b, d.lgs. 25/2008, che definisce domanda di protezione internazionale” la domanda presentata secondo le procedure previste dal presente decreto, diretta ad ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria . Solo nella residuale ipotesi prevista dall’art. 32, terzo comma richiamato dall’art. 33, terzo comma , la Commissione nazionale ha cognizione sui permessi umanitari, cioè quando, disponendo la revoca o la cessazione dello status di protezione internazionale precedentemente riconosciuto, ritiene tuttavia che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario che giustifichino il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998. In tutti gli altri casi, la stessa Commissione territoriale può procedere all’annullamento d’ufficio, in autotutela, di un provvedimento illegittimo che abbia riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, ai sensi dell’art. 21 nonies, L. 241/1990, disposizione richiamata dall’art. 18, d.lgs. 25/2008. Pertanto, in coerenza con il dettato normativo, deve ritenersi che la competenza a disporre la revoca della protezione umanitaria ex art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998 spetti alle Commissioni territoriali e non già alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo, la cui cognizione è circoscritta ai casi di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale nelle forme del rifugio politico o della protezione sussidiaria precedentemente riconosciuto, e all’ipotesi residuale in cui, revocato o dichiarato cessato tale status, la stessa Commissione nazionale riconosca il diritto alla protezione umanitaria, ritenendo sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari art. 33, secondo comma, d.lgs. 25/2008 . In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La novità della questione esaminata induce il Collegio a ravvisare ragione per giustificare la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.