Si può risarcire la diffamazione

Diffamare qualcuno, ingiuriarlo, minacciarlo, sono contegni pregni di disvalore, meritevoli della massima sanzione, quella penale. Se parliamo di soldi a titolo di risarcimento le cose cambiano.

Diffamazione e danno. Il danno da diffamazione va accertato in concreto, va provato dalla parte che assume di averlo subito bando alle presunzioni dunque, siccome la giurisprudenza civile ha convalidato il principio secondo il quale il pregiudizio derivante da fatti di diffamazione non va soltanto accertato nell’ an ma anche nel quantum . A questo punto il diritto penale subisce una torsione, forse immotivata, forse irragionevole. In re ipsa. Sul tema delle presunzioni è facile registrare un largo consenso dei penalisti, eccezion fatta per taluni magistrati e dottrina minoritaria. In argomento, la ricerca e la scoperta di ampie convergenze si fonda sulla piana evidenza che non si vogliono e non si possono incentivare meccanismi di affrancamento da metodiche di verificazione e falsificazione. Infatti la giustizia penale, in massima misura, non si presta a semplificazioni di sorta e rifugge tutte le compressioni del processo deduttivo a favore di quello induttivo. Ci sono, in concreto, alcuni strumenti che danno spazio all’arbitrio, anche a quello assoluto, e le presunzioni sono tra questi strumenti, il che non vuol dire che l’arbitrio necessita di presunzioni né che le presunzioni preludano necessariamente all’arbitrio. Sicché la logica del in re ipsa ” è nel compendio del penalista, con valenza almeno in parte ambigua l’ostilità alle presunzioni assolute iuris et de iure è affievolita se poniamo attenzione alle presunzioni relative iuris tantum . Fin qui, flatus vocis . L’articolo 49 del codice penale. Non mancano spazi per mettere al bando le presunzioni, anzitutto attraverso l’interpretazione, che non deve prestarsi alle segnalate scorciatoie. Quale che sia il costrutto teorico di riferimento, è poi possibile scorgere nell’art. 49 c.p., dedicato nel comma secondo al reato impossibile, un vademecum dell’interprete che voglia delineare uno scarto tra la fattispecie astratta e quella concreta, involgendo problematicamente il tema delle presunzioni se un fatto presuntivamente conforme al tipo è inoffensivo non va punito . Si è fatta utile e nota applicazione di questa norma in campo di falso c.d. grossolano, emblema del fatto concreto che si differenzia dal paradigma normativo generale ed astratto. Breve, qualora la falsità non sia in grado di ingannare alcuno, ne viene meno la rilevanza penale. A chi volesse parafrasare la vicenda, evocando seducenti categorie del pensiero filosofico, tornerebbe utile rilevare che, in fin dei conti, quello grossolano non è un falso, non è un vero falso, è un non-falso, non ha l’identità del falso né qualitas , dunque, né quidditas . Ne discende, a rigor di logica, che non vi è alcun danno da risarcire per chi si sia costituito parte civile nel relativo processo. Non v’è dubbio su questo. Distinguiamo. Sennonché, il climax discendente sempre possibile per una degradazione dei fenomeni utile a cogliere il senso dell’intervento penale, delineando in immediata successione i contorni della fattispecie, porta a svelare qualcosa di inopinabile. Il danno escluso dall’impossibilità del reato deve ritenersi escluso solo dall’impossibilità del reato e non può dirsi escluso in ipotesi di minima offensività del medesimo fatto, siccome in questo caso la sussumibilità nella fattispecie astratta è fuori discussione, perché indiscutibilmente certa il gioco di parole è voluto, a fini rafforzativi . In immediata successione, anche questa volta logica, ogni qualvolta l’ipotesi concreta riveli un’offensività, sia pur minima, quale che possa essere ogni ulteriore valutazione, per esempio ex art. 133 c.p., il danno c’è, sia esso attuale o potenziale nei reati di pericolo . Veniamo al dunque. In tema di diffamazione ingiuria, ed altri reati simili” la fattispecie c’è sempre, ma spesso manca il danno lo dice la giurisprudenza, per farla franca” dall’accusa di non saper accertare qualcosa di estremamente difficile, qual è il pregiudizio per la reputazione di chi è diffamato. Curioso destino, quello dei reati in discorso la rilevanza del danno vive di una schizofrenia a là Dorian Gray. Nessun dubita, quando l’accertamento processuale conduce ad un esito positivo in ordine alla sussistenza del reato, che vi sia diffamazione, ma quella diffamazione è talvolta fumo, nebbia, entità spirituale che non richiede necessariamente un riscontro in termini di risarcimento. Vade retro presunzioni occorre provare il danno! Nessuno” si accorge di un’evidenza senza danno non ci sarebbe reato, e dunque non ci sarebbe diffamazione, ragion per cui diffamazione e danno sono gemelli siamesi, congiunti nel cuore sempre che i principi valgano sempre, e non ad intermittenza. In conclusione. La diffamazione è un reato, come tale vive nel nostro ordinamento, civile, penale, amministrativo, ovunque la si trovi e ovunque la si cerchi”. Non accade di rado che i fenomeni giuridici attraversino le partizioni dell’ordinamento, che esigano risposte differenti a domande differenti. Orbene, si può dare a ciascuno il suo, spaziare tra rimedi risarcitori, riparatori, punitivi. Si può anche rinunciare a tutto, nessuno lo impedisce, se questo si vuol fare. Si tratterebbe, per la diffamazione, di accettare che, talvolta – direi piuttosto spesso – ci sono spazi assai compressi per riconoscere le vittime di questo reato, il che a rigore significa misconoscere le vittime stesse, con passepartout per i colpevoli. Né il danno difficilmente accertabile significa assenza del danno ex art. 49 c.p., a meno di praticare un’eterogenesi dei fini di dubbio gusto e di dubbio rigore. Sul piano della politica criminale, forse i tempi moderni non tollerano un’abdicazione alle esigenze di tutela che il delitto di diffamazione segnala, e forse è il caso di prendere sul serio questa fattispecie, quali che siano le difficoltà sul terreno probatorio. A fronte di difficoltà pratiche, di incertezze e paure, non si può scegliere la revisione delle categorie generali che informano la legislazione, così come un’interpretazione e applicazione in deroga” è via d’uscita facile quanto pericolosa.