La gratuità della prestazione ostacola il riconoscimento dell'indennità di maternità

di Luigi Giuseppe Papaleo

di Luigi Giuseppe Papaleo *I rapporti lavorativi ricorrenti in ambito familiare ovvero in quel particolare contesto umano caratterizzato da legami di parentela e/o affinità, sono di norma riconducibili ai rapporti istituiti affectionis vel benevolentiae causa e come tali, non danno luogo a prestazioni lavorative onerose, le quali normalmente connotano, invece, lo schema causale del contratto di lavoro subordinato ove, di contro alla prestazione lavorativa sussiste la controprestazione retributiva, ai fini della realizzazione della sinallagmaticità e quindi, del giusto ed equilibrato assetto di interessi, tipico dei contratti a prestazioni corrispettive.La gratuità si presume. La gratuità delle prestazioni lavorative rese in ambito familiare, che trovano pertanto fonte nei predetti rapporti insorgenti ex affectionis vel benevolentiae causa, è peraltro assistita nel nostro ordinamento giuridico, dalla previsione formale di una vera e propria presunzione legale juris tantum ex articolo 2728 c.c. che aggrava, invertendolo, lo schema dell'onere probatorio di cui all'articolo 2697 c.c. in capo al lavoratore.Quest'ultimo, infatti, qualora assuma di aver espletato quella data prestazione lavorativa in regime e/o costanza di un rapporto di lavoro subordinato, avrà l'onere di provare il fatto contrario di quello presunto gratuità della prestazione al fine di poter poi, invocare e rivendicare tutte le tutele e/o i diritti riconducibili per legge alla figura del contratto di lavoro subordinato, nel caso di specie, anche l'indennità di maternità.La fattispecie. La vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza in commento, riguarda per l'appunto, le doglianze sollevate da una lavoratrice del settore agricolo che si è vista negare, in entrambi i gradi di giudizio delle precedenti fasi di merito, il diritto a percepire l'indennità di maternità sul presupposto di un insussistente perché giudizialmente accertato come fittizio rapporto di lavoro subordinato.Posto che già anteriormente alla sentenza in discorso, il Supremo Consesso, aveva raggiunto un datato orientamento, tuttora consolidato, secondo il quale le prestazioni lavorative rese tra persone conviventi legate da vincolo di parentela e/o affinità, ancorché rese nell'ambito di un'attività di impresa organizzata sotto l'aspetto dimensionale e funzionale con criteri prevalentemente familiari, si presumono gratuite e non riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato.Va provato il legame subordinazione-onerosità. Risulta inequivoco l'assunto che, per superare la predetta presunzione legale juris tantum di gratuità di tali prestazioni lavorative, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare già nei pregressi gradi di merito l'esistenza degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato ossia la subordinazione e l'onerosità della prestazione lavorativa.Tanto più che nel settore agricolo, determinate prestazioni svolte da parenti ed affini sono ritenute addirittura esulanti dal mercato del lavoro per espressa volontà del legislatore. La norma ex articolo 74 del D.Lgs. numero 276/2003 così infatti dispone Con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori .Lo schema presuntivo opera tecnicamente con la ricostruzione probabilistica di un dato fatto ignoto nel caso di specie la gratuità della prestazione lavorativa attraverso la ponderazione di fatti noti, indizi, indici, ecc. nel caso di specie legami di parentela e/o affinità, convivenza rilevanti sotto il profilo della concordanza e precisione.Il codice civile distingue però, tra presunzioni semplici e presunzioni legali, entrambe dette figure sono produttive dell'effetto di inversione dell'onus probandi ex articolo 2697 c.c., ma, mentre le prime sono confutabili e/o superabili anche dalla mera allegazione da parte di chi ha interesse a far valere il fatto contrario a quello presunto di altri indizi innescanti presunzioni semplici di segno contrario, oltre naturalmente all'allegazione di vere e proprie prove contrarie, le seconde presunzioni legali , a loro volta sottoclassificabili in presunzioni legali juris tantum e presunzioni legali jure et de jure si atteggiano in maniera molto più stringente sulla fattispecie dell'onere probatorio di cui all'articolo 2697 c.c.Infatti, solo la presunzione legale juris tantum ammette una prova contraria mentre la presunzione juris et de jure ha una natura assoluta in quanto non ammette alcuna prova contraria e come tale è insuperabile.La presunzione di gratuità vuole la prova contraria. Tornando alla presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese in ambito familiare, queste per giurisprudenza costante vengono fatte rientrare tra le presunzioni legali juris tantum ossia tra quelle che ammettono la prova contraria che nel caso di specie deve essere diretta a dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato quindi, di un fatto contrario a quello presunto consistente nel rapporto istituito ex affectionis vel benevolentiae causa .Quali gli elementi costitutivi di un rapporto di lavoro subordinato? A tal proposito, come detto gli elementi costitutivi della fattispecie negoziale del contratto di lavoro subordinato sono da individuare specificamente nei requisiti della subordinazione e della onerosità della prestazione lavorativa la prima, si configura come il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale deve estrinsecarsi nell'emanazione di ordini specifici e non in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative e deve essere concretamente apprezzato con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione, mentre, la seconda ossia l'onerosità della prestazione lavorativa va ravvisata nel necessario collegamento funzionale che deve intercorrere tra la stessa e l'obbligazione retributiva posta a carico del datore di lavoro.Niente indennità di maternità se la subordinazione non viene provata. Il risultato immediato che, a parere di chi scrive, viene fuori dalla motivazione della sentenza in commento è il seguente solo il superamento della rigorosa presunzione legale di gratuità della prestazione lavorativa, resa in agricoltura, può legittimare l'istanza assistenziale al riconoscimento dell'indennità di maternità.In sede di legittimità vale sempre l'autosufficienza del ricorso. La sentenza medesima, contiene, infine, una esaustiva ricognizione sulle modalità di articolazione nel ricorso per cassazione, della censura di cui all'articolo 360, numero 5, c.p.c. che deve essere conforme al principio di autosufficienza del ricorso stesso, pena la sua inammissibilità.Il principio di autosufficienza del ricorso, implica l'onere per il ricorrente di indicare in maniera specifica tutte le ragioni, di fatto e di diritto, poste a fondamento della pretesa azionata nei precedenti gradi giurisdizionali di merito.Tanto perché, il giudice di legittimità possa rilevare con sufficiente chiarezza e precisione la natura ed il contenuto delle predette ragioni senza la necessità di dover accedere direttamente agli atti sostanziali dei precedenti gradi di giudizio, fonti, peraltro, interdette al medesimo giudice di legittimità.* Avvocato

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 febbraio - 20 aprile 2011, numero 9043Presidente Vidiri - Relatore TriaSvolgimento del processoLa sentenza di cui si chiede la cassazione rigetta l'appello proposto da R L.R. nei confronti dell'INPS, avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia 21 novembre-29 gennaio 2002. di rigetto del ricorso della stessa L.R. volto ad ottenere il riconoscimento del diritto all'indennità di maternità per l'astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro in relazione al parto del 24 ottobre 1995 recte 24 ottobre 1992 .Secondo la Corte d'appello, come ritenuto dal Tribunale, le risultanze dell'ispezione eseguita dall'INPS e delle generiche e lacunose prove testimoniali espletate portano ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e D A. per l'anno 1991 e tra la ricorrente e il padre D L.R. per il 1992.D'altra parte, la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia 18 aprile-9 luglio 2001, con la quale è stata riconosciuta alla ricorrente stessa l'indennità di disoccupazione agricola per l'anno 1992, sul presupposto dello svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del padre nell'anno 1992, non ha alcun effetto di giudicato rispetto all'attuale controversia, essendovi in essa un accertamento solo incidentale della natura del rapporto di lavoro vedi Cass. numero 2038 del 1996 .Il ricorso di R L.R. domanda la cassazione della sentenza per due motivi l'INPS è rimasto intimato, ma il difensore, munito di procura speciale, ha partecipato alla discussione orale chiedendo il rigetto del ricorso.Motivi della decisione1.1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia - ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. - omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'articolo 2697 cod. civ.La ricorrente sostiene che la Corte d'appello di Catanzaro non ha valutato l'attività istruttoria espletata in primo grado, in particolare non ha considerato la deposizione del teste A.P. in merito allo rapporto di lavoro dalla stessa ricorrente svolto alle dipendenze del padre D L.R. nell'anno 1991. Conseguentemente, la Corte avrebbe ricostruito i fatti, relativamente all'anno 1991, in modo inesatto e non corrispondente alla certificazione del Ministero del lavoro allegata agli atti del processo, cioè ritenendo che in quell'anno la L.R. abbia lavorato alle dipendenze di un unico datore di lavoro A.D. per 102 giornate e omettendo di considerare che, invece, la ricorrente aveva sostenuto di aver lavorato, nel 1991, con l'Arena per 51 giornate e per altre 51 giornate alle dipendenze del padre, D L.R. .1.2.- Il motivo non è fondato.Osserva il Collegio che trattasi di motivo che involge la valutazione di specifiche questioni di alto, atteso che è incentrato sulla prospettazione da parte della ricorrente di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella data dal giudice di appello e più favorevole alle proprie aspettative.1.3.- In proposito va. in primo luogo, ricordato che il ricorso per cassazione - in ragione del principio di cosiddetta autosufficienza - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e. quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che nell'ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l'incongruità, l'illogicità, l'insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata o insufficientemente valutata , che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti Cass. 28 luglio 2004 numero 14262 Cass. 20 gennaio 2006 numero 1113 Cass. 24 maggio 2006. numero 12362 Cass. 17 luglio 2007, numero 15952 Cass. 27 febbraio 2009. numero 4849 Cass. 30 luglio 2010, numero 17915 .Nel caso di specie ciò non è avvenuto.In ordine alla contestata nonché asseritamente lacunosa ed erronea valutazione delle prove la ricorrente non ha indicato in modo adeguato e specifico, né ha riprodotto per intero il contenuto di tutte le diverse prove espletate cui si riferisce la censura, limitandosi alla frammentaria citazione del contenuto di una sola prova testimoniale, cui peraltro la sentenza impugnata non fa riferimento.In questo senso non è stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso, impedendo quel controllo che alla Corte è consentito sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.1.4.- D'altra parte, si deve anche sottolineare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare. per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. Né tale regola subisce eccezioni nel rito del lavoro vedi per tutte Cass. 15 luglio 2009. numero 16499 Cass. 11 gennaio 2011 numero 313 .Conseguentemente, il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice del merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione ex plurimis Cass. 27 aprile 2005, numero 8718 Cass. 21 settembre 2006, numero 20455 Cass. 22 marzo 2007, numero 7065 Cass. 9 agosto 2007. numero 17477 Cass. 11 gennaio 2011, numero 313 cit. .Sicché, sinteticamente, può dirsi che l'unico limite che incontra il giudice del merito. nel l'adottare le proprie statuizioni sulla valutazione delle diverse risultanze probatorie come tale, comportante apprezzamenti di fatto riservatigli è quello di indicare le ragioni del proprio convincimento. D'altra parte, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., in sede di legittimità, non può essere effettuata una revisione del ragionamento decisorio ' che ha condotto il giudice del merito ad adottare una determinata soluzione della questione esaminata, ma può soltanto essere operato un controllo, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, dell'esame e della valutazione delle risultanze processuali compiuti dal giudice del merito e riportati nella sentenza vedi per tutte Cass. 8 marzo 2007, numero 5328 Cass. 21 luglio 2010, numero 17097 .Orbene, nel caso di specie la Corte d'appello di Catanzaro, nel ritenere fittizio il rapporto dichiarato per Fanno 1991. non solo ha posto in rilievo che vi erano evidenti contraddizioni tra le dichiarazioni del presunto datore di lavoro D A. e il contenuto della certificazione del Ministero del lavoro sia con riferimento alla durata del rapporto sia con riguardo alla retribuzione corrisposta , ma ha, altresì, evidenziato l'assenza di altre prove in merito al lavoro presuntivamente prestato dalla ricorrente nell'anno 1991 , facendo, con tale locuzione, generico riferimento a tutto il lavoro eventualmente svolto in quell'anno dalla L.R. in ipotesi anche alle dipendenze di diversi datori di lavoro .Tale conclusione, oltre ad essere corretta sul piano logico, è altresì conforme all'orientamento di questa Corte secondo cui, in linea generale, per superare la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese in ambito familiare che trova la sua fonte nella circostanza che tali prestazioni vengono normalmente rese affectionis vel benevolentiue causae è necessario che la parte che faccia valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti offra una prova rigorosa degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato e, in particolar modo, dei requisiti indefettibili della subordinazione e della onerosità Cass. 19 maggio 2003, numero 7845 . In particolare. con riferimento all'attività lavorativa prestata in agricoltura in favore di parenti o affini nel quadro di colture tradizionali e di piccole proprietà la mera prestazione di attività lavorativa non è sufficiente a far configurare un rapporto di lavoro subordinato, essendo invece necessaria una specifica prova della subordinazione e della onerosità delle prestazioni, che può essere fornita anche al di fuori degli clementi sintomatici più tipici della subordinazione, purché risulti un nesso di corrispettività tra la prestazione lavorative e quella retribuiva, entrambe caratterizzate dall'obbligatorietà, e la prestazione lavorativa sia soggetta a direttive e controlli, pur se in un eventuale quadro caratterizzato da maggiore elasticità di orari Cass. 23 gennaio 2004, numero 1218 .Ne consegue che, avendo la Corte d'appello illustrato le ragioni poste a base del proprio convincimento, esplicitando l'iter motivazionale che ha condotto alla scelta e alla valutazione delle risultanze probatorie su cui si è fondata la relativa decisione, per le suddette ragioni, è da escludere che possa dirsi sussistente il vizio denunciato, non potendo trovare ingresso, in questa sede, una istanza di riesame della valutazione effettuata dal giudice di appello, fondata su una tesi contrapposta al convincimento da questi espresso Cass. 28 gennaio 2008, numero 1759 Cass. 10 gennaio 2011, numero 313 cit. .2.1.- Con il secondo, articolato, motivo si denunciano a violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 2909 cod. civ. agli articolo 3 e 4 d.lgt. numero 212 del 1946. all'articolo 15 della legge numero 1204 del 1971 ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. b insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'efficacia di sentenza passata in giudicato articolo 2909 cod. civ. , nonché in relazione all'articolo 2697 cod. civ. ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. .In particolare, si rileva che la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare, sulla base della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia numero 758 del 2001 passata in giudicato, l'esistenza e l'effettività del rapporto di lavoro della L.R. per l'anno 1992, con conseguente accoglimento della domanda relativa all'indennità di maternità per il periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per un parto del 24 ottobre 1992 e non del 24 ottobre 1995, come indicato, per errore, nella sentenza impugnata .Per superare la presunzione di legittimità dell'atto di iscrizione della lavoratrice negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli subordinati per il prescritto periodo l'INPS ha prodotto rapporti ispettivi e la L.R. , da parte sua, ha prodotto la suddetta sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, con la quale le è stato riconosciuto il diritto a percepire l'indennità di disoccupazione agricola per l'anno 1992.Entrambe le prestazioni indennità di disoccupazione agricola e indennità di maternità presuppongono l'iscrizione negli elenchi nominativi, che si ottiene con l'effettuazione di almeno 51 giornate annue di lavoro dipendente.Conseguentemente, la attuale domanda non avrebbe potuto non essere accolta visto che l'esistenza di un giudicato formatosi tra le stesse parti avrebbe dovuto precludere ogni valutazione sui fatti costitutivi già in precedenza valutati. Viceversa, nella sentenza impugnata, è stato disposto il rigetto della domanda sul rilievo secondo cui la sentenza con la quale è stato riconosciuto il diritto della ricorrente a percepire l'indennità di disoccupazione agricola per l'anno 1992 non ha effetto di giudicato nella presente controversia perché contiene un accertamento solo incidentale del rapporto di lavoro.2.2 - Anche tale motivo non è fondato.Per orientamenti consolidati di questa Corte che il Collegio condivide, in linea generale. l'autorità del giudicato sostanziale opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione, e presuppone che tra la causa precedente e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di petitum e causa petendi l'accertamento del contenuto sostanziale e dell'effetto preclusivo che il giudicato può spiegare in un successivo giudizio, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, sfugge al sindacato di legittimità Cass. 15 luglio 2002, numero 10252 Cass. 19 luglio 2005, numero 15222 .Conseguentemente, è da escludere che la sentenza concernente il riconoscimento del diritto dell'assicurata a beneficiare dell'indennità di disoccupazione agricola possa spiegare effetti di giudicato nel giudizio relativo all'indennità per astensione obbligatoria per maternità. Infatti, tra l'assicurazione contro la disoccupazione e la tutela previdenziale della maternità non è configurabile un unitario rapporto fondamentale, date le differenze esistenti sia per l'oggetto sia per la disciplina diversi essendo i requisiti contributivi e anche il termine di prescrizione, decennale in un caso, annuale nell'altro Cass. 10 febbraio 2006, numero 2897 Cass. 30 gennaio 2006. numero 2027 Cass. 9 aprile 2001, numero 5235 .3.- In sintesi, il ricorso va respinto.Nulla sulle spese, ai sensi dell'articolo 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore alla sostituzione disposta dall'articolo 42, comma 11, del decreto-legge 30 settembre 2003, numero 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, numero 326 avente decorrenza 2 ottobre 2003 applicabile ratione temporis.P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.