Per la Cassazione la nobiltà del fine esclude l’ingiustizia del male minacciato.
Un procuratore generale contesta l’assoluzione pronunciata nei confronti di un sindaco di un piccolo comune, al contempo presidente della commissione unica edilizia, il quale avrebbe, secondo l’accusa, sollecitato i cittadini ad incaricare solo determinati progettisti al fine di ottenere i permessi necessari per il rilascio dei titoli autorizzatori a costruire. L’accusa propone, per i fatti medesimi, la derubricazione del fatto di reato dall’abuso d’ufficio e dalla concussione alle meno gravi fattispecie di violenza privata e minaccia aggravate, ravvisandone per entrambe gli estremi. All’uopo richiede un nuovo esame del giudice d’appello, sulla scorta delle nuove qualificazioni giuridiche avanzate. La Cassazione, numero 26166, Sesta sez. Penale, del 5 luglio 2012, dichiara inammissibile il ricorso fornendo chiarimenti, in particolare, sugli elementi costitutivi dei meno gravi reati di minaccia. Non sono pressioni penalmente rilevanti quelle tese a preferire alcuni progettisti ambientalmente più virtuosi. Appurate troppo ripide le vette della concussione per l’accusa – non si era raggiunta la prova dibattimentale dell’utilità percepita dal sindaco né dell’abuso di funzioni – il procuratore generale aveva riparato sui più residuali reati di violenza e di minaccia. Obbiettava che il sindaco, in qualità di presidente della commissione edilizia, assumeva un ruolo tecnico e adiscrezionale, non politico e tantomeno valoriale. Mai avrebbe dovuto preferire alcuni progettisti ad altri, se non abusando delle funzioni attribuite. La Cassazione invocata stronca l’ipotesi accusatoria e pare animata da una sorta di furore ideologico quando definisce l’operato del sindaco primariamente teso a preservare la coerenza paesaggistica dei luoghi e le armonie architettoniche presenti. Dunque non di un male ingiusto prospettato si sarebbe trattato, piuttosto di un’attenzione ambientale che non poteva avere strascichi penali, quantunque alcuni progettisti fossero ex ante definiti inidonei. La nota dei giudici ermellini non pare contestabile, l’ingiustizia del male prospettato veste i panni dell’illecito e la circostanza pare idonea, sulla linea di una pacifica giurisprudenza, a travolgere la rilevanza penale delle inopportune pressioni che il sindaco poneva al cittadino richiedente. In realtà si sarebbe dovuto impedire che un organo politico rivestisse anche una funzione tecnica edilizia di tale rilevanza, tuttavia il regolamento comunale non aveva mai recepito la circolare ministeriale del 27 aprile 2005 che vietava tale commistione all’interno degli enti locali, al fine di meglio realizzare una virtuosa separazione fra indirizzo politico ed amministrativo. Il giudice può mutare la qualificazione giuridica della contestazione, purché il fatto non muti. Ben fa la Cassazione a dichiarare inammissibile il ricorso, anziché pronunciare l’annullamento con rinvio della sentenza. Per il P.G. il giudice d’appello avrebbe erroneamente qualificato il fatto nella forma delle più severe concussione e abuso d’ufficio, anziché di violenza e minaccia, la deviazione processuale avrebbe imposto la regressione alla cognizione del giudice d’appello. La Cassazione si allinea ai principi generali in punto di contestazione del fatto. Se questo non muta non v’è ragione alcuna di rinvio – articolo 516 ss. c.p.p. -, tantomeno al giudice non è preclusa una nuova valutazione giuridica del medesimo, purchè non sia ecceduta la sua competenza. Sta alla pubblica accusa, sin dall’inizio del processo, articolare le argomentazioni in modo da includere ogni più idonea ipotesi di definizione giuridica del fatto constestato, tale da poter condurre a condanna.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 aprile – 5 luglio 2012, numero 26166 Presidente Di Virginio – Relatore Carcano Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza 26 maggio 2010, ha prosciolto G T. dal delitto di tentata concussione e da quello di concussione consumata - i due unici episodi per i quali fu condannato all'esito del giudizio di primo, rispetto alle diciassette complessive ipotesi di accusa, delle quali quattordici per concussione tentato o consumata, due per abuso d'ufficio e una per violazione alla disciplina - perché il fatto non sussiste, in tal modo riformando la decisione del Tribunale di Verona impugnata dal procuratore della Repubblica e dall'imputato. Il giudice d'appello premette in termini generali che i fatti oggetto delle imputazioni hanno una matrice comune nel senso che T. , sindaco di . - un piccolo Comune di circa cinquemila abitanti in provincia di . - abusando di tale sua funzione, costringeva i cittadini che richiedevano il permesso di costruire ad avvalersi di progettisti di suo gradimento, rispetto a quelli a tecnici da loro incaricati, e, in caso contrario, preannunciava il rigetto della domanda. La Corte d'appello condivide la conclusione cui è giunto il Tribunale circa l'insussistenza dell'abuso poiché legittimamente T. esercitava anche le funzioni di presidente della Commissione edilizia comunale, non essendo stato ancora modificato alloca dei fatti il regolamento comunale che, in attuazione delle circolare del ministro degli interni del 27 aprile 2005, escludeva che organi politici potessero far parte di commissioni tecniche modifica regolamentare proposta dallo stesso T. e da approvare, come stabilito dalla circolare ministeriale entro il 30 giugno 2006. Ad avviso del giudice d'appello, il Tribunale aveva correttamente interpretato il contesto complessivo in cui le singole vicende delittuose si erano verificate, nonostante la condanna per il delitto di tentata concussione in relazione e di concussione consumata per i due episodi relativi, l'uno alla pratica alle pratica P. e l'altro, a quella C. . In particolare, il giudice di primo grado riconosce a T. di avere agito esclusivamente allo scopo di soddisfare un interesse pubblico cioè di consentire che si realizzassero solo progetti edilizi che si inserissero armonicamente nell'ambiente . A tale conclusione, per la Corte di merito, si giunge in base alle pressoché uniformi dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del giudizio di primo grado nel senso che i testi hanno concordemente escluso che T. abbia manifestato interessi personali o politici ovvero abbia voluto arrecare vantaggi o utilità per vantaggi per sé o per terzi. È stato altresì accertato che i professionisti, privilegiati da T. rispetto ad altri esclusivamente per le diverse capacità tecnico-architettoniche non avevano alcuna comunanza di interessi di qualsiasi genere con lui ed è anche emerso che gli architetti Z. e Pi. lo conoscevano appena di persona . Altra concorde acquisizione è quella già posta in rilievo dallo stesso Tribunale cioè che T. aveva sempre privilegiato i valori architettonici, il paesaggio e l'ambiente del territorio comunale e non ha mai manifestato interessi personali nello svolgimento delle proprie funzioni molti cittadini si rivolgevano a lui per la riconosciuta competenza e per ottenere consigli e indicazioni allo scopo di non vedersi poi rigettate le richieste di permessi a costruire e di modificazioni edilizie. Sulla base di tali complessive emergenze - dopo avere sintetizzato le condotte relative ai due capi di imputazione per i quali vi era stata condanna e le ragioni per le quali il pubblico ministero aveva impugnato l'assoluzione solo da alcune vicende più significative, prospettando per esse quantomeno la configurabilità del delitto di violenza privata - la Corte d'appello esclude che le condotte di T. possano essere riconducibili a minacce dirette o indirette ovvero a induzione nei confronti dei cittadini che con lui erano in contatto per la definizione di pratiche edilizie. Le soluzioni prospettate da Tabu echi erano, ad avviso della Corte, delle indicazioni, dei consigli o suggerimenti i quali, sebbene espressi con molta determinazione, erano rivolti solo a porre in rilievo eventuali errori e inadeguatezze strutturali delle soluzioni progettuali presentate. Quanto ai reati per i quali vi è stata condanna la Corte d'appello analizza i singoli segmenti delle condotte e giunge, in base agli elementi acquisiti al processo, che T. si era espresso negativamente per la pratica edilizia di P. perché il progetto presentato conteneva evidenti errori e difetti, tanto che egli, sospesa la decisione della commissione, si recò sul posto per dimostrare all'interessato la giustezza dei propri rilevi. Altrettanto, nella pratica C. l'intervento di T. era diretto ad ottenere il rispetto delle caratteristiche della complessiva lottizzazione e l'indicazione dell'arch. Z. , risultata essere stata avanzata dallo stesso C. , era comunque rivolta a realizzare l'interesse ambientale della zona poiché l'architetto Z. era stato il progettista di tutta la lottizzazione e per tale ragione avrebbe potuto essere il tecnico più idoneo ad assicurare l'uniformità nella realizzazione anche delle tre villette di C 2. Propone ricorso il Procuratore generale e deduce - Mancanza o illogicità della motivazione risultante oltre che dal testo del provvedimento anche dal confronto con le conclusioni raggiunte. In particolare, il ricorrente deduce che la Corte avrebbe travisato le richiesta formulate di qualificare le condotte descritte nei capi D e L, in coerenza con la ricostruzione giuridica, come violenza aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale e non come abuso d'ufficio, attribuito a fatti di cui ai capi I e N non impugnati. Su tale questione il ricorrente richiede l'annullamento della sentenza per un nuovo giudizio di merito allo scopo di ravvisare se le predette condotte possano essere qualificate nel senso indicato. -Illogicità manifesta della motivazione là dove non è stata riconosciuta la minaccia nella condotta consistita nel dire che i progetti di quel professionista non verranno mai approvati fatto che implica di per sé la prospettazione di un male ingiusto poiché attraverso essa già esternava la decisione già presa e in modifica bile di non accogliere mai richieste fondate sull'attività progettuale di quel professionista. Per il capo A, i profili di illegittimità del progetto, non esternati mai dal sindaco, non giustificavano in ogni caso l'intervento di T. volto a indurre il privato a mutare il progettista. Anche per i capi A e C, il ricorrente rileva la sussistenza del disvalore della condotta, non esclusa dall'atteggiamento paternalistico, trattandosi in ogni caso in una ingerenza pesante nel rapporto professionale con il progettista. In riferimento al capo D, il ricorrente rileva che la ricostruzione del giudice d'appello non esclude che vi sia stato un diktat del Sindaco. Anche per il capo L, il rilevo circa l'erronea articolazione del fatto riportato nell'imputazione non avrebbe potuto essere di tale significato da impedire la decisione nel merito circa il fatto che anche quella sostituzione era stata imposta dal Sindaco. Per il capo 0, il ricorrente rileva che l'attività di persuasione di T. aveva comunque avuto l'effetto di indurlo a modificare il progettista e dire che il progetto del geom. p. faceva schifo davano consistenza alla violenza privata, senza che nessun rilevo possa avere la successiva approvazione nonostante il progetto affidato ad altro professionista, rispetto a quello indicato dal Sindaco, sia stato poi approvato. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata, oltre sviluppare un'accurata e autonoma analisi di ciascuno dei capi di imputazione per i quali è stato proposto appello, ricostruisce unitariamente la condotta di T.G. per spiegare le ragioni per le quali ciascun episodio non esprimeva altro che un modo di intendere la funzione di Sindaco di un piccolo paese. Analisi complessiva che ha, quale costante riferimento, le prove acquisite al processo le quali, si è già detto in narrativa, rendono incontrovertibile che le condotte di T. non possano integrare minacce dirette o indirette ovvero induzione nei confronti dei cittadini che con lui erano in contatto per la definizione di pratiche edilizie. L'intransigenza di T. era volta alla realizzazione di un interesse pubblico affinché il territorio del piccolo centro avesse uno sviluppo urbanistico armonico sotto il profilo architettonico intransigenza non interpretabile, nella ricostruzione del giudice d'appello, diversamente da quella di fornire indicazioni, dare consigli o suggerimenti i quali, sebbene espressi con molta determinazione e a volte con espressioni molto trancianti, erano rivolti solo a porre in rilievo eventuali errori e inadeguatezze strutturali delle soluzioni progettuali presentate. Si è detto già in narrativa, che le valutazioni espresse dalla Corte d'appello fanno specifico riferimento ai singoli episodi e da essi si trae il motivato convincimento che gli interventi di T. non erano diretti ad arrecare vantaggio o danno ad alcuno convincimento poi espresso, con coerenti e complete argomentazioni, per descrivere in termini generali i comportamenti di T In questa ottica di carattere complessivo, le censure del pubblico ministero - che, dopo avere abbandonato la originaria impostazione accusatoria prospetta una diversa qualificazione giuridica, quale quella della violenza privata aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale - si caratterizzano come una diversa ricostruzione delle singole vicende volte a caratterizzare le condotte di T. come minacce caratterizzazione esclusa dal giudice d'appello con specifici argomenti rispetto ai quali le ragioni poste a fondamento dei motivi di ricorso si connotano per assoluta genericità e impostati a esprimere solo un mero e fermo dissenso delle conclusioni raggiunte nella sentenza impugnata. Anche la censura con la quale si contesta che la posizione assunta in udienza dal pubblico ministero sia stata quella di ricondurre gli episodi rubricati nei capi D e L al delitto di abuso d'ufficio, bensì anch'essi a quello di violenza privata, non comporta affatto la necessità di un annullamento con rinvio per ottenere dal giudice d'appello un corretto esame delle vicende coerente con l'impostazione del pubblico ministero. Il giudice d'appello risponde in termini chiari per tutte le vicende, oggetto di impugnazione, e rileva che l'ipotizzata configurazione del reato di violenza privata, tentata o consumata, non può neanche essa configurarsi, per le ragioni più volte espresse per i singoli episodi, poi riesaminati specificamente dal giudice d'appello, si precisa che non vi è stata violenza o minaccia alcuna che possa esser tale da integrare la costrizione richiesta per la configurazione del delitto ipotizzato dal pubblico ministero. Giudizio anche qui ribadito, con coerente e motivato convincimento, nel senso che condotte e obbiettivi di T. erano volte solo a ottenere la realizzazione di costruzioni che si armonizzassero con il paesaggio e rispettassero i canoni architettonici ed estetici senza che in tali comportamenti potesse ravvisarsi la prospettazione di un male ingiusto, richiesto per la configurazione della minaccia. Una motivazione, coerente e logicamente sviluppata, rende inammissibile le censure volte a ottenere una diversa rilettura del complessivo quadro probatorio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.