Trasformare il ristorante in pizzeria può costare caro. A pagare il conto, questa volta, è il gestore del locale a cui il locatore addebita la risoluzione del contratto per inadempimento. La trasformazione nella destinazione avrebbe reso necessaria la realizzazione di alcune opere capaci di incidere pesantemente sull’immobile.
Il caso. A finire sotto i riflettori, è una locazione ad uso diverso dall’abitazione. Il contratto prevede che l’immobile venga utilizzato come ristorante una clausola contrattuale vieta al conduttore di procedere, senza preventiva autorizzazione del locatore, a modifiche dell’immobile. Sta di fatto che il conduttore, invece di avviare un ristorante, gestisce una pizzeria ed esegue una serie di opere necessarie a svolgere tale attività. Rialza una parte del pavimento destinata ad ospitare il banco ed il forno a legna quest’ultimo viene collegato ad una canna fumaria condominiale viene creata un’altra canna per lo smaltimento dei fumi. Sta di fatto che queste opere non piacciono al locatore che, forte di una precisa clausola contrattuale, chiede al Tribunale di voler dichiarare la risoluzione di diritto del contratto di locazione per inadempimento del conduttore. La domanda viene accolta e la sentenza, ovviamente, viene impugnata dal ristoratore-pizzaiolo in Cassazione. A finire sotto la lente sono, essenzialmente, due quesiti si tratta di accertare se le opere eseguite dal conduttore comportino una modifica dell’immobile locato e se la trasformazione di un ristorante in pizzeria possa essere considerata una operazione vietata traducendosi in un cambio di destinazione d’uso. Vietato realizzare opere non autorizzate. La Cassazione è inclemente e non poteva essere diversamente . Con la sentenza numero 5056 del 29 marzo, in primo luogo viene ribadito un concetto basilare del nostro ordinamento il compito di stabilire i fatti compete al giudice di merito le cui scelte sono insindacabili in cassazione. Spetta al giudice di merito stabilire fino a che punto il conduttore possa spingersi nell’adattare il locale all’uso convenuto. Ciò posto e ribadito, la Cassazione ritiene non censurabile le scelte effettuate dal giudice di primo grado, poi confermate in appello. In particolare, l’attenzione cade sulle canne fumarie la cui realizzazione era stata richieste addirittura dall’ASL. La realizzazione di tali opere viene considerata come una modifica dell’immobile che, se non preventivamente autorizzata, può comportare la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore. La valutazione dell’inadempimento. Secondo la Cassazione la realizzazione delle opere non autorizzate costituirebbe un grave inadempimento degli obblighi contrattuali in considerazione delle conseguenze determinate a seguito dall’avvenuto cambio di destinazione. Ma per quale ragione? Perché la locale A.S.L. era intervenuta con una ordinanza che aveva imposto la realizzazione di una canna fumaria esterna. Evidentemente i fumi di combustione del forno a legna non potevano essere mescolati con quelli presenti nella canna condominiale. Vietato il cambio di destinazione. La trasformazione del ristorante in pizzeria costituirebbe una violazione dell’articolo 1587 c.c. che impone al conduttore di servirsi dell’immobile «per l'uso determinato nel contratto». Ancora una volta, a finire sotto la scure, è la realizzazione delle canne fumarie. Secondo gli Ermellini la realizzazione di un forno a legna comporta un uso del locale diverso da quello originariamente pattuito ristorante . Non si tratterebbe di discutere del diverso tipo di cibo servito antipasto e pizza anziché gustosi manicaretti bensì di una diversa attività il cui esercizio aveva richiesto l’ottenimento di una nuova autorizzazione sanitaria. Gli interessi in gioco. Nell’ambito del contratto di locazione le modifiche apportate all’immobile vengono disciplinate dal codice civile che cerca di bilanciare gli interessi contrapposti. Da una parte abbiamo l’innegabile interesse del conduttore di utilizzare il bene nella maniera più conveniente. Dall’altra la posizione, altrettanto degna di tutela, del locatore, portatore di un duplice interesse in primo luogo non subire la trasformazione dell’immobile e quindi, parallelamente, il rischio di rimanere esposto alle richieste risarcitorie del conduttore. Quest’ultimo, infatti, potrebbe avanzare delle pretese in ordine alle migliorie apportate, sempre che le opere realizzate abbiano comportano effettivamente un incremento nel valore dell’immobile. In tale prospettiva spicca, per esempio, il disposto dell’articolo 1592 c.c. che, entro certi limiti, riconosce al conduttore il diritto di modificare l’immobile negandogli, però, il diritto a percepire un indennizzo per le migliorie apportate sempre che, ovviamente, il locatore non le abbia espressamente autorizzate. Quando le modifiche sono dei miglioramenti In questo caso trova applicazione l’articolo 1590, comma 1, c.c. in virtù del quale, se le modificazioni non integrano miglioramenti, il condutture, al termine della locazione, avrà l’obbligo di ripristinare lo status quo ante. e quando delle addizioni. In questo caso trova applicazione l’articolo 1593 c.c. per cui, al termine della locazione, il conduttore può rimuoverle, preavvisando il locatore, ed a due condizioni. Che ciò non comporti un danno per l’immobile e sempreché il locatore non decida di ritenerle pagando un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa sostenuta ed il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. E se le addizioni non sono separabili senza nocumento per l’immobile? Allora si applicano le stesse condizioni stabilite per i miglioramenti se il locatore ha prestato il proprio consenso alle realizzazione delle opere, egli non potrà pretendere la loro rimozione e sarà tenuto al pagamento di una indennità pari alla minore somma tra speso e migliorato. Per le opere realizzate senza il consenso del locatore, invece, il conduttore non potrà vantare alcun diritto ad indennità di sorta. E se le addizioni comportino un deterioramento della cosa locata? In questo caso il locatore potrà chiedere il risarcimento del danno in forma specifica ed il ripristino dello status quo ante. Quali sono le opere realizzabili. Nel caso in esame si discute del cambio di destinazione dell’immobile da ristorante a pizzeria e della realizzazione non autorizzata di alcune opere. Sotto questo profilo potremmo affermare che il conduttore ha il dovere di servirsi della cosa locata per l’uso convenuto nel contratto ma ciò non esclude aprioristicamente che esso possa realizzare delle opere. Certamente il conduttore potrà realizzare le opere necessarie ad adibire il locale all’uso pattuito nonché quelle necessarie ad assicurare il pieno godimento e l’uso particolare previsto nel contratto. Sarebbero vietate, in concreto, solo le innovazioni che si traducano in una alterazione ovvero in una trasformazione del bene, ossia una sua modifica strutturale, tale da renderlo diverso da quello originario.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 gennaio – 29 marzo 2012, numero 5056 Presidente Trifone – Relatore Armano Svolgimento del processo Con sentenza del 1-12-09 la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di risoluzione del contratto di un immobile concesso in locazione ad uso ristorante da B.G. a M.K. per inadempimento del conduttore alla clausola contrattuale che prevedeva il divieto di ad eseguire modifiche ai locali non autorizzate per iscritto, sanzionato con una clausola risolutiva espressa. Propone ricorso M.K. con tre motivi. Resiste con controricorso B.G. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione articolo 1456 codice civile. Sostiene il ricorrente che la Corte ha ritenuto applicabile la clausola risolutiva espressa, senza considerare che le opere effettuate dal conduttore non avevano comportato modifica ai locali ed agli impianti. In conseguenza dell'inapplicabilità della clausola risolutiva, la Corte avrebbe dovuto valutare la condotta del conduttore alla luce dell'articolo 1582 codice civile ed accertare se le opere effettuate avevano comportato per il locatore una diminuzione del godimento del bene immobile. 2. Con il secondo motivo si denunzia difetto di motivazione in ordine all'applicazione dell'articolo 9 del contratto in relazione articolo 1456 codice civile. Sostiene il ricorrente che le opere effettuate non potevano qualificarsi come modifica dei locali e degli impianti, locuzione riferibile solo ad opere edilizie che comportino modifiche alla consistenza ed alla distribuzione dei locali. 3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell'articolo 1587 codice civile. Sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che l'uso come pizzeria dell'immobile costituisse uso diverso da quello stabilito in contratto,in quanto l'uso come pizzeria è ontologicamente assimilabile a quello di ristorante. 4. I primi tre motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico - giuridica. La valutazione della natura delle opere realizzate dal conduttore come rientranti nel concetto di modifica dell'immobile e degli impianti, di cui all'articolo 9 del contratto è una valutazione di fatto che spetta al giudice del merito e che, adeguatamente motivata, non può essere di nuovo valutata dal giudice di legittimità. Il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell1 iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'articolo 360, comma primo, numero 5 , cod. proc. civ. In caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. Cass. civ., Sez. lavoro, 22 febbraio 2006, numero 3881 5. La Corte di merito ha accertato che il conduttore aveva realizzato un forno a legna per la cottura delle pizze, il rialzamento del pavimento per circa mq 2 su cui aveva poggiato il forno ed un bancone, una canna fumaria non autorizzata che si innestava in una canna fumaria condominiale, una canna fumaria di esalazione dei fumi che terminava nel sottotetto. Ha ritenuto che tali opere, modificative dell'immobile locato, erano state effettuate senza autorizzazione scritta, in violazione di quanto previsto dalla clausola 9 del contratto, e che quindi era operante la clausola risolutiva espressa che tale inadempimento era di non scarsa importanza in considerazione della gravi conseguenze che tali opere avevano comportato,quali l'emissione di ordinanze della Asl che avevano imposto la costruzione di una canna fumaria esterna al fabbricato. Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità logico giuridica,mentre l'impugnazione si risolve in una inammissibile prospettazione dei fatti alternativa a quella del giudice di merito. 6. Non ricorre la dedotta violazione dell'articolo 1456 codice civile in quanto, in presenza dell'accertata natura modificativa delle opere realizzate senza autorizzazione scritta, era operante la clausola risolutiva espressa. 7. Infondato è il riferimento del ricorrente all'articolo dell'articolo 1582 codice civile, che prevede la tutela del conduttore rispetto ad innovazioni apportate dal locatore che diminuiscano il godimento dell'immobile locato, e non viceversa. 8. La Corte ha ritenuto che le opere effettuate, oltre alla violazione contrattuale, comportavano anche la violazione dell'articolo 1587 c.c. in quanto l'immobile era stato congresso per il solo uso ristorante mentre era stato adibito anche a pizzeria. 9. Tale argomento da rilievo ad un ulteriore inadempimento del conduttore e la censura del ricorrente che lo investe, pur rubricata come violazione di legge,in realtà contiene una censura di merito, in quanto egli assume che la sua condotta non è qualificabile come uso diverso da quello determinato dal contratto. 10.L'accertamento sul punto effettuato dalla Corte di appello è sorretto da adeguata motivazione in quanto l'uso come pizzeria con forno a legna è sicuramente un uso diverso da quello di ristorante e non costituisce semplice ampliamento del tipo di cibi serviti, ma un attività diversa, tanto che per il suo esercizio, come risulta dalla sentenza impugnataci erano rese necessarie istallazioni di più canne fumarie per l'esalazione di fumi ed odori, comportanti anche nuove autorizzazioni sanitarie. 11. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell'articolo 1362 codice civile in relazione all'applicazione dell'articolo 1456 codice civile e difetto di motivazione sul punto. Sostiene il ricorrente che la riproduzione della clausola 9 nel secondo contratto stipulato nel 2004, quando le parti ben conoscevano che era stato realizzato il forno, si riferiva alle opere successive al 2004. 12. Il motivo è infondato. Con specifico riferimento ai limiti del sindacato di legittimità sulla interpretazione dei contratti, questa Corte ha affermato che in tema di interpretazione del contratto - che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione - ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa Cass., numero 28479 del 2005 Cass., numero 18180 del 2007 . In sostanza, l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un'attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. 13. Nel quadro di questi principi deve escludersi che, nella specie, siano sussistenti i vizi denunciati. La Corte di appello,in relazione ai due contratti di locazione sottoscritti dalle parti,il primo concluso con la madre della ricorrente in data 30 maggio 2000, e quello successivo stipulato in data 30-6-2004, con la ricorrente e la madre, ha ritenuto che si tratta di un rapporto unico e che con il secondo contratto, dal contenuto del tutto simile al primo, si sia realizzata solo una novazione soggettiva che in entrambi contratti era indicato l'uso “come ristorante e non come pizzeria ed era stata inserita la clausola numero 9, che prevedeva il divieto di modifiche senza autorizzazioni scritta la clausola risolutiva che la circostanza della riproduzione nel secondo contratto della clausola risolutiva rafforzava il divieto per il conduttore di apportare modifiche ai locali senza autorizzazione scritta del locatore nessun rilievo aveva la circostanza che l'appellata o i suoi congiunti avessero consumato n pizze nel suddetto locale . 14. La Corte nell'interpretazione della comune volontà delle parti ha seguito il primo e principale strumento indicato dall'articolo 1362 codice civile, rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto. 15.Deve escludersi che, nella specie, sia sussistente il denunciato vizio motivazionale. La Corte d'appello ha compiutamente enunciato le ragioni del proprio convincimento, illustrando i passaggi logici che la hanno condotta alla decisione e gli argomenti addotti dal ricorrente,che non indica lacune argomentative, ovvero illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, o punti inficiati da mancanza di coerenza logica, non appaiono idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese,oltre accessori e spese generali come per legge.