Il dies a quo della prescrizione penale decorre da quando la malattia si manifesta e non da quando la persona offesa percepisce chi è la causa del suo male. Quindi, la Cassazione sostiene il doppio binario fra prescrizione penale e civile i dies a quo non sono gli stessi.
Il caso. Il difensore della parte civile ricorreva avverso il proscioglimento pronunciato nei confronti di un sanitario odontoiatra, per decorrenza dei tempi di prescrizione. In particolare, il difensore deduceva che il dies a quo della prescrizione doveva essere collocato al momento in cui la persona offesa aveva percepito la relazionabilità della malattia alla condotta del sanitario e non al momento, antecedente, in cui quella malattia aveva acquisito una sua stabilità patologica, come sostenuto dai giudici del merito. La Cassazione, con sentenza numero 8904 depositata il 6 marzo 2012, respinge il ricorso motivando «Nella valutazione del dies a quo della prescrizione civile incide in modo rilevante l’elemento soggettivo, correlato alla volontà del soggetto ed alla sua effettiva conoscenza del fatto illecito . Invece la ratio della prescrizione penale si collega al venir meno delle esigenze di prevenzione generale, per cui è lo Stato a non aver più interesse alla punizione, la relativa disciplina non è ancorata ai comportamenti della vittima e alla sua volontà di agire». La S.C. riconosce il doppio binario fra prescrizione civile e penale. Il ricorso della parte civile mirava a collocare il tempo di decorrenza della prescrizione solo dal momento in cui la persona offesa aveva acquisito cognizione della patologia e della causa cagionante. La Cassazione, rigettando il ricorso, offre una motivazione dal forte sapere dogmatico, quando definisce i rispettivi dies a quo di decorrenza dei termini di prescrizione, in relazione ai distinti caratteri costitutivi dell’illecito civile rispetto a quello penale. Nel diritto civile La regolazione degli interessi particolari è demandata all’espressione di specifiche volontà negoziali, nel quadro delle strutture normative comuni che regolano l’identificazione e la disposizione dei diritti in un contesto territoriale di riferimento. All’imperio, in questi termini descritto, di quello che la letteratura giuridica storica ha definito «dogma della volontà» si lega un’idea di un diritto inscindibilmente connesso non solo alla dimensione, oggettiva, di quanto le norme prevedono, ma anche alla necessaria introspezione ed espressione di qualsiasi volontà negoziale, al fine di produrre modifiche nella regolazione dei diritti contenuti in quelle medesime previsioni. Il diritto civile e delle negoziazioni, in sostanza, si rivolge alla soggettività delle parti giuridiche coinvolte, sia in punto di esteriorizzazione di una volontà modificativa dei diritti, sia in punto di comprensione dei fatti giuridici – ad es. illeciti - eventualmente peggiorativi della sfera personale dell’individuo. Ad esempio la decorrenza di un termine prescrizionale, nel diritto civile, può essere impedita da una semplice messa in mora, ossia da una modesta e laconica espressione di una volontà negoziale in grado di provocare l’ibernazione dell’accertamento di un rapporto giuridico ancora da definire. Ne consegue che un fatto giuridico, nella sua complessità costitutiva – agenti coinvolti, volontà, comportamenti, nesso causale e danno recato – è tale quando l’introspezione individuale di quel fatto copre ogni elemento di dettaglio in grado di definirlo giuridicamente. In coerenza con quanto esposto, la S.C. invocata data il dies a quo del termine prescrizionale in caso di accertamento civile di danno, non al momento in cui quel fatto si realizza nella sua compiutezza oggettiva bensì al momento in cui il danneggiato acquisisce percezione del danno recato e della sua relazione con una condotta colpevole prodotta da un ben individuato agente. Di seguito esclude che alle medesime conclusioni possa giungersi nel caso di un accertamento penale, quale quello in oggetto. invece, in un accertamento penale. Sta nella solarità ed evidenza del fatto , come verificabile oggettivamente nel suo prodursi e nelle sue recrudescenze, la misura degli istituti penali e processuali coinvolti nell’accertamento. Dunque la percezione del fatto di reato e della sua relazione con uno specifico agente non rilevano sul valore di un istituto, la prescrizione, che solo sui pilastri oggettivi del fatto può acquisire il giusto parametro ai fini della determinazione del momento iniziale di decorrenza. Per la Cassazione, la rilevanza pubblicistica, obbiettiva e general-preventiva delle verifiche penali è tale da non consentire ai valori del diritto civile di fornire ausilio per l’interpretazione dell’istituto della prescrizione penale. Il dies a quo, dunque, decorre dal momento in cui quel fatto si realizza oppure nel momento in cui la progressiva recrudescenza della malattia acquisisce una verificabile stabilità clinica. A nulla rileva cosa avesse percepito la vittima o quando questa avesse maturato un fondato sospetto sulle cause che avevano determinato quella insorgenza. Di questa disparità di disciplina c’è un forte elemento sistematico di sostegno l’articolo 2947 cod. civ., trait d’union fra codice civile e penale in punto di prescrizione, consente l’applicazione del più lungo termine prescrizionale penale nell’accertamento civile in caso di fatto qualificabile anche come reato, ma non consente alcuna contaminazione dell’una con l’altra disciplina in ordine ad ogni altro aspetto rilevante - cause di interruzione o di sospensione e dunque, termine iniziale di decorrenza del termine. Sulla scorta delle appena esposte argomentazioni, la S. C. ammette la retrodatazione del dies a quo , con esiti estintivi per l’accertamento penale per decorsa prescrizione, escludendo che quella data possa scivolare fino al momento della percezione del danno e della sua possibile genesi da parte della persona offesa. Va tuttavia avanzata una breve precisazione in punto di decorrenza del termine per proporre querela – ai sensi dell’articolo 124 c.p. – la Cassazione pare aver maturato un orientamento difforme quel termine decorre dal momento in cui si ha conoscenza del fatto, in ogni sua connotazione oggettiva e soggettiva, e parrebbe dunque riecheggiare quanto smentito dalla sentenza in commento. Una distinzione sempre valida anche nel caso di stati patologici complessi? È pur vero che non tutta la fenomenologia degli stati patologici consente immediatamente di addebitare un danno ad un responsabile. Si prendano ad esempio quelle patologie determinabili sia da fattori biologicamente autonomi da qualsivoglia condotta umana sia da elementi ascrivibili alla condotta colpevole di un agente. Per quei fatti l’accertamento penale può essere molto tardivo rispetto all’insorgenza della malattia siccome, ad esempio, alcuni elementi di riscontro di una condotta colpevole possono essere acquisiti nel corso di altre verifiche, a seguito di ulteriori sviluppi processuali o a valle di nuove cognizioni sperimentali o scientifiche. Solo in un secondo momento può dunque prendere consistenza l’ipotesi dell’addebitabilità della patologia ad un comportamento colpevole. Un eventuale accertamento penale - a far valere quanto consolidato dalla Cassazione in commento – potrebbe saltare su un treno già in corsa e dunque scontare dei termini prescrizionali già maturati, perché il dies a quo sarebbe comunque collocabile al momento - di sovente antecedente alla verifica processuale - della recrudescenza del male. Questo, in particolare, costituisce il limite di siffatto orientamento presuppone che il fatto – come oggettivamente qualificato – sia immediatamente acquisibile nella sua eventuale reità, in modo da consentire il decorso dei termini prescrizionali in linea con un accertamento processuale. Tuttavia le realtà sperimentali descrivono invece patologie dalla diagnosi difficile in cui il dies a quo potrebbe antecedere in modo rilevante una cognizione processuale. Intuitivamente sarebbe opportuno in questi casi consentire lo scivolamento del termine al momento in cui quel fatto di reato acquisisce non solo una consistenza oggettiva ma anche una connotazione soggettivamente qualificabile, siccome percepito dalla persona offesa come fatto penalmente rilevante relazionabile con una ben individuata condotta colpevole, onde evitare la spada di Damocle di una, spesso, incombente prescrizione.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 novembre 2011 – 6 marzo 2012, numero 8904 Presidente Marzano – Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 29/9/2008 il Tribunale di Avezzano dichiarava non doversi procedere nei confronti di T.C. , per il delitto di lesioni colpose in danno della minore P.V. , perché estinto per prescrizione. All'imputato, in qualità di medico odontoiatra, era stato addebitato di avere provocato per un errato e negligente trattamento sanitario, finalizzato alla eliminazione di una mala occlusione dentaria, lesioni personali con indebolimento permanente della capacità di masticazione in , inizio trattamento nel termine nel consapevolezza del danno alla fine del querela del omissis . Osservava il tribunale che l'inizio dei termine di prescrizione doveva fissarsi nell'anno 2001, data di ultimazione della terapia pertanto al momento della citazione a giudizio, il 6/8/2007, il termine quinquennale di prescrizione era già spirato. 2. Con sentenza del 5/5/2010 la Corte di Appello di L'Aquila confermava la pronuncia di proscioglimento. Osservava la Corte che il momento iniziale della decorrenza del termine di prescrizione andava individuato nel momento della insorgenza della malattia. Nel caso nella stessa querela era stato indicato che la patologia si era manifestata dopo alcuni mesi dall'inizio del trattamento e si era acutizzata sempre più, tanto che dal 9 ottobre 2000 al 7 giugno 2003 la P. era stata costretta a disertare la scuola. In ogni caso la certezza della patologia in atto si ricavava dagli accertamenti sanitari disposti in data marzo 2002. Pertanto, considerando tale data come dies a quo , la prescrizione quinquennale del reato si era maturata prima dell'atto interattivo del 6/8/2007 ed, in ogni caso prima della sentenza di appello calcolando il termine di sette anni e mezzo con l'interruzione. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile, lamentando la erronea applicazione della legge penale. Infatti il giudice di merito, nel determinare il dies a quo della prescrizione, lo aveva fissato in relazione a referti medici acquisiti di dubbia chiarezza, mentre tale dies andava individuato nella data del 28/3/2008, allorché dopo l'intervento operatorio ad opera del prof. I. , l'ingravescenza della malattia era cessata. In ogni caso il giudice di merito non aveva tenuto conto dell'orientamento giurisprudenziale delle Sez. Unite Civili sent. 576 del 2008 , secondo la quale, in tema patologie lungolatenti, il “ dies a quo della prescrizione andava individuato non nella conoscenza della malattia, ma nella sua percezione come danno ingiusto causalmente ricollegabile alla condotta di un soggetto pertanto il termine iniziale di prescrizione, quanto meno andava collocato a ridosso della data di presentazione della querela e cioè il 23/5/2005. In data 8/6/2011 la parte civile depositata memoria indirizzata al G.I. della causa civile ed il 4/11/2011 ulteriore memoria difensiva. Considerato in diritto 3.1 motivi di censura sono infondati e pertanto il ricorso deve essere rigettato. 3.1. Il giudice di merito, nel ricostruire la vicenda oggetto del processo, ha ricordato come dagli atti processuali emergeva che il trattamento medico ortodontico era stato iniziato nell'anno 1997 e che era terminato nell'anno 2001. Che dalle stesse dichiarazioni della parte civile risultava, inoltre, che la patologia si era manifestata dopo alcuni mesi dall'inizio della cura e che si era acutizzata sempre più, tanto che la P. aveva dovuto disertare la scuola dal 9/10/2000 al 7/6/2003. In relazione alla patologia aveva svolto approfonditi accertamenti medici nel marzo 2002 prodotti agli atti . Ha desunto da ciò la corte di merito, con coerente motivazione, esente da censure logiche, come dalla ricostruzione dei fatti risultasse che, alla data del marzo 2002, certamente la patologia era già in atto, tanto da avere determinato l'interruzione della frequenza scolastica e la necessità di approfondimenti diagnostici. Dal che ha dedotto la intervenuta prescrizione del reato, sia in relazione al termine minimo di cinque anni anteriormente al primo atto interruttivo sia al termine complessivo di sette anni e mezzo. 3.2. Ciò premesso va ricordato che questa Corte di legittimità ha, con consolidata giurisprudenza, affermato che Il reato di lesioni personali colpose, di cui all'articolo 590 cod. penumero , è un reato istantaneo che si consuma ai momento dell'insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché la durata e l'inguaribilità della malattia sono irrilevanti ai fini della individuazione del momento consumativo. Qualora, però, la condotta colposa causatrice della malattia stessa non cessi con l'insorgenza di questa, ma, persistendo dopo tale momento, ne cagioni un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose si consuma nel momento in cui si verifica l'ulteriore debilitazione Cass. Sez. 4, Sentenza numero 7475 del 09/12/1985 Ud. dep. 12/07/1986 Rv. 173398 . Più di recente, nel confermare tale orientamento, è stato ribadito che “Nel delitto di lesioni personali colpose derivanti da malattia professionale caratterizzata da evoluzione nel tempo, il momento di consumazione del reato non è quello in cui sarebbe venuta meno la condotta del responsabile causativa dell'evento, bensì quello dell'insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché ai fini della prescrizione il dies commissi delicti va retrodatato al momento in cui risulti la malattia in fieri, anche se non stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente Cass. Sez. 4, Sentenza numero 37432 del 09/05/2003 Ud. dep. 02/10/2003 , Rv. 225989 Cass. Sez. 4, Sentenza numero 2442 del 22/01/1999 Ud. dep. 25/02/1999 , Rv. 213147 Cass. Sez. 4, Sentenza numero 2522 del 08/01/1998 Ud. dep. 27/02/1998 , Rv. 210173 . Nel caso di specie, pertanto, il giudice di merito, facendo buon governo dei principi enunciati, ha determinato l'insorgenza della malattia quantomeno nel marzo 2002, con una coerente valutazione di fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, a fronte di una motivazione sul punto non manifestamente illogica. 3.3. Né tale orientamento interpretativo relativo al dies a quo della prescrizione si pone in contrasto con la giurisprudenza penale relativa al termine per poter proporre querela ed a quella civile in ordine alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno, con specifico riferimento al danno lungo latente. 3.4. Quanto alla prima tematica, questa corte di legittimità ha affermato che Il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l'hanno curata Cass. Sez. 4, Sentenza numero 17592 del 07/04/2010 Ud. dep. 07/05/2010 , Rv. 247096 . In ordine alla seconda problematica, le Sezioni Unite civile hanno statuito che La responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione epidemia colposa o lesioni colpose plurime ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli articolo 2935 e 2947, primo comma, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche Cass. Sez. U. Civ., Sentenza numero 576 del 11/01/2008, Rv. 600901 . Come evidente, in entrambe le sentenze il “ dies a quo di decorrenza viene spostato in avanti nel tempo, al momento della percepibilità di un danno ingiusto, conseguenza del comportamento di un terzo e non è, quindi, ancorato al mero momento di insorgenza della malattia. 3.5. L'apparente antinomia tra la giurisprudenza civile e quella penale in tema di decorrenza della prescrizione, può essere risolta prendendo spunto dalla stessa motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, laddove viene delineata la distinzione dell'illecito civile rispetto a quello penale, valorizzando la rilevanza del danno nel primo ed del fatto nel secondo. Nella valutazione del dies a quo della prescrizione civile incide in modo rilevante l'elemento soggettivo, correlato alla volontà del soggetto ed alla sua effettiva conoscenza del danno illecito, e ciò è collegato alla ratio stessa dell'istituto che è sensibile alla volontà del soggetto di esercitare o meno il diritto e/o l'azione a cui si collegano le cause interruttive . Dal che la analoga soluzione adottata dalla giurisprudenza in tema di dies a quo per esercitare il diritto di querela. Invece, la ratio della prescrizione penale si collega al venir meno delle esigenze di prevenzione generale, per cui è lo Stato a non avere interesse più alla punizione. Ciò spiega perché la disciplina della interruzione della prescrizione penale non è ancorata ai comportamenti della vittima ed alla sua volontà di agire come invece in sede civile e spiega anche perché le cause interruttive penali hanno un limite temporale massimo, mentre quelle civili possono reiterarsi in definitivamente. Ne consegue la coerenza della scelta di individuare il “ dies a quo in penale nella insorgenza della malattia in fieri elemento perfezionativo della tipicità del fatto e in civile nella consapevolezza di un danno ingiusto conseguente al comportamento di un soggetto” in quanto solo in questo momento il danneggiato è in grado di esercitare il suo diritto, avendone piena consapevolezza ai sensi dell'articolo 2935 decorrenza dal di in cui il diritto può essere fatto valere . Al rigetto segue, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.