Custodia cautelare in carcere: discontinuità per vincere la presunzione di pericolosità sociale?

Per il concorrente esterno al reato associativo, la dissociazione” non rappresenta un parametro in grado di superare la presunzione di pericolosità sociale perché già estraneo bensì occorre evidenziare il venir meno di interessi comuni o la perdita degli strumenti che consentivano di favorire il sodalizio e così risolvendosi in una prognosi negativa di ripetibilità.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32412 del 24 luglio 2013. Il caso. Un noto parlamentare e politico campano veniva accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver sostenuto le attività illecite del clan camorristico dei casalesi”. Ristretto in carcere in via cautelare, proponeva dapprima richiesta di revoca delle misure applicate con due diverse ordinanze, nonché – visto l’esito negativo – appello e, infine, ricorso per Cassazione. Nessuna presunzione assoluta di pericolosità. Come noto, di recente, anche la Corte Costituzionale è intervenuta in ordine alle presunzioni” di pericolosità, escludendo – con sentenza n. 57/2013 – che vi sia una presunzione assoluta di pericolosità, tale da disporre in automatico la custodia cautelare in carcere, per i reati commessi con il metodo mafioso o con volontà di favorire associazioni mafiose. Dimissioni e perdita di incarichi politici. Un fatto nuovo da considerare per valutare la sussistenza delle esigenze cautelari, secondo la difesa, sarebbe consistito nella circostanza delle dimissioni dell’imputato dalla carica di parlamentare e dalla perdita di ogni incarico politico. Le esigenze cautelari che sorreggevano le ordinanze cautelari genetiche sarebbero venute meno con la conseguente necessità di rivalutare la tenuta delle misure restrittive. Necessaria una dissociazione? I giudici del Tribunale di Napoli non davano credito alle impostazioni difensive riguardo gli effetti che la condotta dell’imputato - originata dalla perdita di qualsiasi incarico politico - avrebbe provocato quella discontinuità” sintomo della presa di distanza del concorrente dall’associazione di tipo mafioso ritenuta necessaria per vincere la presunzione di pericolosità sociale di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. Il ricorrente non avrebbe dimostrato – a giudizio del Tribunale – una effettività discontinuità rispetto al contesto in cui era maturata la formazione politica dell’interessato che, se sciolto dalla restrizione in carcere, avrebbe potuto riprendere a dare il proprio contributo al consolidamento e rafforzamento del sodalizio criminale, in forza del patrimonio relazionale” conseguito in molti anni di militanza ed esperienza politica. I giudici partenopei, in sostanza, ritenevano che non si dovesse confondere il ruolo e il potere politico del ricorrente fondendoli con le cariche ricoperte, in quanto il venir meno di queste non esaurirebbe automaticamente il peso e la caratura politica dell’imputato che perpetuerebbe nell’esercitare influenza politica prescindendo dalle cariche istituzionali e potendo esprimersi in ogni momento il suo intervento venisse ad essere richiesto dal clan camorristico. Anche per il concorso esterno vale la presunzione di pericolosità sociale. Il concorso integra pur sempre una forma di partecipazione al reato associativo ed è possibile che vi sia recesso dalla consorteria se confortato da percepibili segnali di discontinuità di comportamento che segnino un allontanamento dall’associazione da parte del concorrente. Ne consegue che la presunzione di pericolosità circa la sussistenza di esigenze cautelari opera anche per il concorso esterno in associazione mafiosa. ma occorre giustificare il concreto pericolo di reiterazione per l’extraneus. A differenza di quanto avviene per vincere la presunzione di pericolosità per l’associato – il quale deve dimostrare di avere rescisso i suoi legami con il sodalizio o comunque un suo allontanamento – diversa è la posizione del concorrente esterno. In quest’ultimo caso non vi è un’ affectio societatis da rescindere e quindi la dissociazione” non può essere un elemento idoneo a sciogliere la presunzione di pericolosità. Condotte occasionali o contributi costanti, l’indagato resta un estraneo” all’organizzazione e quindi occorre volgere lo sguardo ad elementi diversi dal vincolo” e quindi alla ripetibilità di quelle situazioni che consentivano il contributo alla vita del sodalizio criminale, prestando attenzione all’attuale condotta di vita dell’ extraneus e della persistenza o meno di interessi comuni. Aiuti risalenti nel tempo. La Corte di Cassazione - nell’evidenziare i principi di ordine generale e i differenti parametri che consentono di superare o meno la presunzione di pericolosità sociale - valutava il caso oggetto del ricorso, rilevando che il Tribunale non aveva fornito riferimenti concreti alla persistente capacità dell’indagato per concorso esterno a fornire nuovi contributi al clan. Apodittico, affermava la Corte, era affermare che il ricorrente sarebbe attualmente ancora in grado di aiutare il sodalizio, in quanto assunto che non trovava riscontri in fatti e comportamenti recenti, ma in mere valutazioni indimostrate su un residuo potere politico, che svalutavano il dato oggettivo della perdita di ogni incarico istituzionale e politico. Carente la verifica sulle reali capacità di influire. L’ordinanza risultava dunque carente di motivazione in ordine alla concreta capacità dell’interessato di reiterare i reati contestati, così come mancava ogni riferimento ad episodi successivi a quelli contestati tali da far ritenere che permanesse una relazione con l’organizzazione camorristica, risolvendosi la decisione del Tribunale in una astratta valutazione circa la consistenza di un potere politico” dell’indagato, senza indicare fatti e contenuti concreti e attuali, bensì solo circostanze passate, per le quali il luogo di discussione è il processo di merito e non quello cautelare sulle esigenze cautelari.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 giugno – 24 luglio 2013, n. 32412 Presidente De Roberto – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Napoli ha rigettato gli appelli proposti ai sensi dell'art. 310 c.p.p., nell'interesse di N C., contro le ordinanze del G.u.p. di Napoli dell'8 gennaio 2013, del Tribunale di S.M. Capua Vetere del 6 marzo 2013 e del Tribunale di S.M. Capua Vetere del 7 marzo 2013, con cui, nei diversi processi riguardanti il C, erano state respinte le istanze dirette ad ottenere la revoca della misura della custodia cautelare in carcere. 2. Il Tribunale del riesame ha, preliminarmente, disposto la riunione degli appelli. Quindi, dopo avere precisato che nei confronti del C. sono state emesse due distinte ordinanze cautelari, la prima del 7.11.009 disposta in ordine al reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la seconda del 28.11.2011 disposta per i reati di cui all'art. 648-ter capo K1 e artt. 319-321 c.p. capo P , entrambi aggravati dall'art. 7 della legge n. 203/1991, è passato ad esaminare analiticamente le istanze delle difese e i provvedimenti di rigetto assunti nei diversi procedimenti, in particolare nel procedimento n. 1013/2013 davanti al G.i.p. del Tribunale di Napoli, in quello n. 1821/2013 davanti al Tribunale di S.M. Capua Vetere e nella procedura n. 1923/2013 sempre davanti al Tribunale di S.M. Capua Vetere. I giudici hanno preso atto della sentenza n. 57 dei 2013 della Corte costituzionale - intervenuta successivamente alle ordinanze di rigetto delle istanze di revoca della misura cautelare - che ha ridefinito l'ambito operativo dell'aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203/1991, escludendo la presunzione assoluta a favore della custodia in carcere per reati commessi con il metodo mafioso o con la volontà di agevolare associazioni mafiose, e hanno riconosciuto la necessità di rivisitare il profilo delle esigenze cautelari. Tuttavia, non hanno condiviso l'impostazione difensiva secondo cui le esigenze cautelari alla base dei provvedimenti coercitivi sarebbero da ritenere non più attuali in presenza del fatto nuovo costituito dalle dimissioni e dalla perdita di ogni incarico politico del C. richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo cui anche per il concorso esterno in associazione mafiosa scatta la presunzione relativa di pericolosità sociale di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p., hanno ritenuto che l'esclusione delle esigenze cautelari può operare solo in presenza di segnali di discontinuità del comportamento da parte del concorrente esterno che evidenzi la presa di distanza dall'associazione di tipo mafioso, discontinuità di cui hanno negato la sussistenza, in quanto la circostanza che C. non rivesta più né la carica di parlamentare, né quella di sottosegretario di Stato e nemmeno quella di coordinatore regionale del partito di riferimento non porta a ritenere tale situazione come sintomatica di una inequivocabile avvenuta dissociazione rispetto al sodalizio camorristico per il quale ha agito in funzione agevolatrice. A questo proposito il Tribunale ha sottolineato una serie di vicende, tra cui quella dell'Ecoquattro, collocabile negli anni 2000-2004, nonché quella del centro commerciale OMISSIS , operazione in cui C. , nel febbraio 2007, spese il suo potere politico per sbloccare la pratica di finanziamento presso l'UNICREDIT di XXXX, episodi in cui non avrebbe utilizzato la sua qualità di parlamentare, ma quella di politico appoggiato da uno dei clan più potenti. Secondo i giudici non deve essere confuso il ruolo politico e il potere politico del C. con le cariche di partito o istituzionali che ha ricoperto, in quanto il venire meno di quest'ultime non può aver esaurito automaticamente il suo peso e la sua caratura politica, tenuto conto che l'imputato è stato scelto come referente da un sodalizio camorristico particolarmente significativo, che non limita la sua sfera di azione in ambito esclusivamente campano . In altri termini, il Tribunale sostiene che l'influenza politica che C. è in grado di esercitare prescinde da cariche istituzionali e può esprimersi in qualsivoglia momento in cui il suo intervento venga richiesto dal clan dei casalesi . Pur riconoscendo che i provvedimenti cautelari e le ordinanze emesse in sede di riesame hanno giustificato le esigenze cautelari con riferimento agli incarichi istituzionali e alle cariche di partito ricoperte, i giudici assumono che la dismissione da tali incarichi, volontaria o necessitata, non incide in alcun modo sul potere politico di C. , che potrebbe nuovamente imporsi qualora rimesso in libertà. D'altra parte, nell'ordinanza si sottolinea come le difese non abbiano dimostrato alcuna effettiva discontinuità con il contesto in cui è maturata la formazione politica del C. , sicché revocate le misure questi avrebbe facile gioco a riprendere il suo ruolo e a dare valido contributo all'ulteriore consolidamento e rafforzamento dell'organizzazione ponendo a disposizione della stessa il patrimonio relazionale conseguito in oltre venti anni di militanza ed esperienza politica reiterando, in tal modo, quel debito di gratitudine, cui deve i suoi successi . In conclusione, vi sarebbe ancora il concreto pericolo di reiterazione del reati, fronteggiabile, secondo il Tribunale, solo con la custodia cautelare in carcere. 3. Gli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, nell'interesse di N C. , hanno proposto ricorso per cassazione. Con il primo gruppo di motivi deducono il travisamento del fatto da parte del Tribunale e la manifesta illogicità della motivazione con cui i giudici del riesame hanno rigettato le richieste di revoca delle misure cautelari della custodia in carcere disposte con le ordinanze emesse nel novembre del 2009 e nel novembre del 2011. Si sostiene che le originarie esigenze cautelari, prospettate nelle due ordinanze risalenti, avrebbero dovuto essere ritenute superate da una serie di elementi sopravvenuti negli anni successivi, costituiti in particolare dalla perdita dello status di parlamentare e dalle dimissioni dalle cariche rivestite dal C. , situazioni che i giudici avrebbero dovuto considerare per giungere ad una diversa valutazione delle esigenze cautelari, soprattutto perché la condizione soggettiva dell'indagato e, quindi, i suoi presunti legami politici sono stati presi in considerazione nell'emissione delle misure cautelari. Sotto un altro profilo, si sottolinea come il Tribunale non abbia valutato attentamente la circostanza - rappresentata dalla difesa - relativa al decorso del tempo rispetto alla cessazione delle condotte contestate, risalenti al 2004, per quanto riguarda la contestazione del concorso esterno, e agli anni 2006-2007 in relazione ai fatti contestati nel processo c.d. il principe e la ballerina . Inoltre, si rappresenta come nessun rilievo sia stato dato all'atteggiamento processuale del C. , il quale ha sempre manifestato la massima volontà di cooperare con la giustizia , come dimostrano le scelte processuali volte a definire prontamente i processi e, soprattutto, l'essersi costituito in carcere prima dell'insediamento delle nuove Camere. I ricorrenti evidenziano come tali situazioni siano state ritenute dall'ordinanza impugnata più apparenti che reali , incorrendo in un vero e proprio travisamento del fatto, per avere invertito il ragionamento logico e fattuale alla base sia delle ordinanze cautelari genetiche, sia dei provvedimenti con cui sono state respinte le richieste di revoca delle misure cautelari nei due procedimenti davanti al Tribunale di S.M. Capua Vetere, fondate, ancora una volta, sul ruolo politico attivo rivestito dal C. , in qualità di parlamentare e di sottosegretario di Stato. In sostanza, si lamenta che il Tribunale di Napoli non abbia preso in alcuna considerazione la dedotta inadeguata valutazione del profilo cautelare basato, evidentemente, su esigenze venute meno a seguito della cessazione degli incarichi pubblici rivestiti dal C. . Con il secondo gruppo di motivi, afferenti prevalentemente all'ordinanza emessa nel processo c.d. il principe e la ballerina , i ricorrenti difensori hanno dedotto la violazione degli artt. 274 e 275 c.p.p., in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari e alla sussistenza della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, nonché il vizio di motivazione al riguardo. Anche in questo caso si lamenta che i giudici non abbiano tenuto conto della novità della situazione riguardante le esigenze cautelari nel momento in cui l'indagato ha dismesso ogni incarico politico e istituzionale, né dell'elemento relativo al decorso del tempo dai fatti contestati. Viene criticata la motivazione dell'ordinanza impugnata che si limita a ripetere argomentazioni utilizzate da altre autorità giudiziarie, intervenute in momenti in cui non si erano ancora verificate le evenienze sopravvenute cui la difesa ha fatto riferimento ad esempio, all'epoca di tali provvedimenti richiamati dal Tribunale di Napoli non erano ancora intervenute le dimissioni di C. . Il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità che richiede segnali inequivoci di discontinuità da parte del concorrente esterno rispetto all'associazione mafiosa, ma non ha preso in alcuna considerazione le dichiarazioni e iniziative pubbliche da parte del C. contro le organizzazioni camorristiche, elementi questi che rappresentano un segno di discontinuità. Infine, si è evidenziata l'assenza di ogni risposta in merito alla richiesta di sostituzione della misura cautelare in atto, in considerazione del fatto che l'automatica applicazione della custodia in carcere in presenza di esigenze cautelari è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale per l'aggravante della finalità mafiosa. In conclusione, si chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati. 4.1. Per quanto riguarda la contestazione di concorso esterno in associazione di tipo mafioso il Tribunale ha, correttamente, ritenuto che ricorra la presunzione di pericolosità prevista dall'art. 275 comma 3 c.p.p. in ordine alle esigenze cautelari, in quanto il concorso esterno integra comunque una forma di partecipazione nei reato associativo e persegue il fine di agevolare l'attività del sodalizio. Inoltre, richiamando alcune decisioni di questa Corte, ha ribattuto alle argomentazioni difensive e ha escluso che in materia di concorso esterno sia impossibile il recesso dall'associazione, precisando che questo coincida con percepibili segnali di discontinuità di comportamento che segnino la presa di distanza dall'associazione di tipo mafioso da parte del concorrente. Quindi i giudici dell'appello cautelare hanno escluso la presenza di inequivoci sintomi di dissociazione e, in particolare, hanno ritenuto che la dismissione dalle cariche politiche e istituzionali da parte del C. non consente il superamento della presunzione relativa di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p., perché il venir meno delle cariche non avrebbe scalfito il peso e la caratura politica del ricorrente, ancora in grado di esercitare una sua influenza politica e di riprendere i contatti con il clan dei casalesi ai quale assicurare quelle coperture per realizzare affari illeciti, sfruttando la rete di relazioni e di conoscenze formatasi in anni di attività politica, svolta anche grazie al supporto dell'associazione camorristica. In conclusione, secondo i giudici, la revoca delle misure cautelari consentirebbe a C. di riprendere il suo ruolo e dare valido contributo all'ulteriore consolidamento e rafforzamento dell'organizzazione ponendo a disposizione della stessa il patrimonio relazionale conseguito in oltre venti anni di militanza ed esperienza politica reiterando, in tal modo, quel debito di riconoscenza cui deve i suoi successi . Su queste basi è stato ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione dei reati, fronteggiabile, secondo il Tribunale di Napoli, con la custodia in carcere. 4.2. Se appare corretta l'affermazione secondo cui la presunzione di pericolosi circa la sussistenza delle esigenze cautelari trova applicazione anche per il concorso esterno in associazione mafiosa, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione Sez. VI, 8 luglio 2011, n. 27685, Mancini Sez. VI, 21 ottobre 2010, n. 42922, Lo Cicero Sez. II, 18 novembre 2004, n. 48444, Cozza Sez. VI, 20 ottobre 1995, n. 3722, Masselli e da ultimo riconosciuto, indirettamente, anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2013, tuttavia non può condividersi la motivazione con cui il Tribunale ha giustificato la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione per il reato di concorso esterno in associazione. In questo caso, avendo la difesa dell'indagato posto in evidenza una serie di elementi nuovi diretti a dimostrare la non attualità delle esigenze cautelari, il Tribunale non si è limitato a verificare l'inesistenza di elementi idonei a vincere la presunzione, ma ha replicato alle deduzioni difensive, offrendo una motivazione più rigorosa, ma che nella vantazione delle esigenze cautelari ha finito per parificare C. ad un partecipe dell'associazione mafiosa, ricercando, in sostanza, i segni di una sua dissociazione. Infatti, nei confronti di un indagato per un reato associativo di tipo mafioso la presunzione di pericolosità sociale, che a norma dell'art. 275 comma 3 c.p.p. impone la misura della custodia cautelare in carcere, può essere superata soltanto quando risulti dimostrato che l'associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa ovvero quando il venir meno della presunzione legale di pericolosità derivi da elementi concreti e specifici che, seppure non rivelino una vera e propria rescissione del rapporto associativo, tuttavia dimostrino in concreto un consistente allontanamento rispetto all'associazione. Invece, diversa è la valutazione che deve essere compiuta nell'ambito operativo della presunzione di cui al citato art. 275 comma 3 c.p.p. in riferimento alla posizione del concorrente esterno nel reato associativo, nel senso che gli elementi che si richiedono per superare la presunzione iuris tantum non possono coincidere con quelli del partecipe. In quest'ultimo caso vi è un affectio societatis da rescindere, che non caratterizza il rapporto che lega il semplice concorrente all'associazione, per il quale la dissociazione non può essere considerata un elemento in grado di superare la presunzione stessa. Infatti, quale che sia il tipo di relazione che lega il concorrente esterno al sodalizio, sia essa una relazione che si manifesta con condotte occasionali ovvero con contributi sintomatici di una più stretta vicinanza al gruppo, deve comunque riconoscersi che l'indagato resta estraneo all'organizzazione, per cui diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità. In particolare, si tratterà di elementi diretti a sostenere l'impossibilità o l'elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora fornire un contributo alla cosca, ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l'associazione o, ancora, la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale. In questi termini si è già pronunciata questa stessa Sezione che, dopo avere riconosciuto che nei confronti del concorrente esterno opera la presunzione di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p., ha precisato che occorre tuttavia tener presente che rispetto a un tale soggetto gli elementi che si richiedono per vincere una simile presunzione sono diversi da quelli richiesti per il partecipe del sodalizio essi infatti non possono identificarsi con la rescissione definitiva del vincolo sociale che in tesi è già insussistente ma devono invece valutarsi in una prognosi di ripetibilità o meno della situazione che ha dato luogo al contributo dell’ extraneus alla vita della consorteria , tenendo conto, in particolare, dell'attuale condotta di vita dell'indagato e della persistenza o meno di interessi comuni con il sodalizio mafioso Sez. VI, 8 luglio 2011, n. 27685, Mancini . In sostanza, per il concorrente esterno i parametri per superare la presunzione non coincidono con la rescissione definitiva del vincolo associa ti vo, ma comportano una prognosi in ordine alla ripetibilità o merlo della situazione che ha dato luogo al contributo dell' extraneus alla vita della consorteria . 4.3. Nel caso di specie il Tribunale napoletano ha fatto riferimento, in via prevalente, alla operatività del clan dei casalesi, cioè all'associazione criminosa di riferimento dell'indagato, senza però tenere in debita considerazione che al C. è stato contestato il concorso esterno in associazione e non la partecipazione nel sodalizio. Infatti, nell'escludere i segnali di discontinuità delle condotte del C. dall'associazione camorristica, così come rappresentati dalla difesa, ha preso in esame soprattutto i fatti oggetto delle contestazioni, in particolare la vicenda della Ecoquattro e quella del centro commerciale OMISSIS , risalenti rispettivamente agli anni 2000-2004 e 2007, senza alcun riferimento concreto alla capacità dell'indagato a fornire ancora un contributo alla cosca. Invero, nell'ordinanza impugnata si afferma che C. sarebbe ancora oggi in grado di aiutare l'associazione camorristica in virtù del suo potere politico, ma si tratta di una indicazione che appare apodittica, nella misura in cui non trova riscontro in fatti e comportamenti recenti, ma solo in vicende risalenti e in vantazioni indimostrate circa il suo residuo potere politico nella zona di influenza campana. Con riferimento a quest'ultimo aspetto il Tribunale ha completamente svalutato il fatto, oggettivo, che C. , a seguito delle indagini a suo carico, ha perso tutti gli incarichi istituzionali e politici, cioè proprio quegli incarichi ai quali si sono riferite le ordinanze cautelarli genetiche e quelle emesse in sede di riesame per giustificare la sussistenza delle esigenze cautelari. In relazione alla materia di reati contro la pubblica amministrazione - ma il principio può applicarsi alla presente fattispecie - si è affermato che il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell'incolpato non è di per sé impedito dalla circostanza che l'Indagato abbia dismesso la carica o esaurito l'ufficio nell'esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata, purché il giudice fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta cessazione del rapporto, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose da parte dell'imputato Sez. VI, 28 gennaio 1997, n. 285, Ortolano Sez. VI, 16 dicembre 2009, n. 1963, Rotondo . In altri termini, si richiede in questi casi che la validità di tale principio sia rapportata al caso concreto, in cui il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata sia reso probabile da una permanente posizione soggettiva dell'agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell'ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso Sez. VI, 10 marzo 2004, n. 22377, Pierri . Ebbene ciò che risulta carente nella motivazione dell'ordinanza in esame è una verifica concreta e attuale sulla reale capacità del C. , anche a seguito della dismissione delle sue cariche, di reiterare i reati che gli sono stati contestati manca nella analisi del provvedimento impugnato un accenno a fatti e circostanze che dimostrino una tale capacità ovvero un interesse del clan di riferimento a rivolgersi ancora all'indagato, anche dopo quello che può definirsi un suo tracollo politico e, soprattutto, manca il riferimento ad episodi da cui desumere che anche successivamente ai fatti contestati, piuttosto risalenti nel tempo, il C. abbia continuato a mantenere relazioni con l'organizzazione criminosa. Il Tribunale non ha indicato fatti , ma ha svolto una valutazione astratta sulla consistenza del potere politico dell'indagato, valutazione che deve essere riempita di contenuti concreti rivolti all'attualità e non riferiti solo al passato. Peraltro, l'affermazione in ordine al suo residuo potere, di politico fortemente appoggiato da un potente clan, se non supportata da elementi concreti risulta contraddetta da quella che può essere una massima di esperienza, secondo cui le organizzazioni camorristico-mafiose non hanno interesse a servirsi di politici bruciati . 4.4. Per quanto riguarda le esigenze cautelari connesse agli altri reati, si rileva che il Tribunale, pur dando atto dell'intervenuta sentenza n. 57 del 2013 della Corte costituzionale - che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 275 comma 3 c.p.p., nella parte In cui nel prevedere che per i delitti aggravati dall'art. 7 legge n. 203 del 1991 è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che te esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure - non ha offerto alcuna risposta specifica alla richiesta della difesa di sostituire la misura disposta con altra meno gravosa, limitandosi ad affermare, immotivatamente, che l'unica misura per fronteggiare il pericolo di reiterazione dei reati sia quella custodiale. Su tali punti la motivazione è mancante tuttavia, dagli atti risulta che per il delitto di cui al capo K1, nelle more del processo, l'originaria misura è già stata sostituita con gli arresti domiciliari mentre è ancora sub judice il delitto di cui al capo P a seguito di un ultimo annullamento da parte della Corte di cassazione . 5. Per questi motivi l'ordinanza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per un nuovo esame, che tenga conto di quanto sopra indicato. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1-ter disp. att. c.p.p P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli per nuovo esame. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1-ter disp. att. c.p.p