Banca: necessario il diligente controllo della legittimazione del presentatore

La sottoscrizione di girata di un assegno deve soddisfare le esigenze di chiarezza, univocità e certezza, che non consentono di applicare le norme generali sulla rappresentanza né la possibilità di desumere la provenienza della sottoscrizione da elementi extra cartolari.

In base a tale principi, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17269, depositata il 12 luglio 2013, ha affermato che incorre in responsabilità per il pagamento dell’assegno la banca che ometta gli accertamenti richiesti sulla provenienza dell’assegno. Rappresentanza dell’amministratore e suoi assegni. Il curatore fallimentare di una s.p.a. aveva citato in giudizio una banca, chiedendo l’accertamento dell’inopponibilità al fallimento degli assegni emessi dall’allora amministratore della società in bonis , su un conto corrente intestato alla società e aperto presso la convenuta. Gli assegni erano stati trattati dall’amministratore sul conto bancario della società, senza spendita della qualità di rappresentante della società, a favore dello stesso traente. La domanda era stata accolta, e, in appello, era stato respinto il gravame della banca, la quale aveva sostenuto la tesi che il principio, per il quale la contemplatio domini può essere dedotta anche dal comportamento concludente del rappresentante, vale anche per i titoli di credito e in particolare per gli assegni, ancorché caratterizzati da un particolare rigore formale. Per la cassazione della decisione, la banca ha proposto ricorso per cassazione, ponendo il quesito di diritto se agli assegni tratti a favore del traente e girati direttamente alla banca trattaria non si applichi la disciplina dei titoli di credito e in particolare l’art. 11 legge assegni, dovendosi detti documenti considerare mere quietanze di pagamento della somma in essi indicata. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dichiarando che la sottoscrizione di girata di un assegno per rispondere ai requisiti prescritti dall’art. 11 r.d. n. 1736/1933, improntati al rigore formale delle obbligazioni cartolari, deve soddisfare le esigenze di chiarezza, univocità e certezza, sicché in ogni caso la sottoscrizione stessa deve essere riconoscibile, nel senso che essa deve consentire che sia accertata l’identità del sottoscrittore. No ai dubbi sul fatto che la dichiarazione cartolare sia stata emessa dal sottoscrittore in nome e per conto dell’ente. Gli Ermellini hanno specificato che nel caso in cui l’assegno sia emesso o girato da un ente collettivo, si richiede anche che la dicitura di emissione o di girata sia tale da esplicitare un collegamento tra il firmatario e l’ente, se pur non deve contenere necessariamente una specifica formula dalla quale risulti il rapporto di rappresentanza. Nella fattispecie in esame, la ricorrente aveva trascurato l’accertamento che la girata dell’assegno, tratto sul conto corrente della società, fosse stata sottoscritta in nome e per conto dell’ente. Inoltre, Piazza Cavour ha chiarito che la regola stabilita dall’art. 18 r. d. n. 1736/1933, per la quale la girata dell’assegno alla banca trattaria vale come quietanza, suppone che l’assegno sia pagato o accreditato allo stesso autore della girata, e non esenta la banca da responsabilità per il pagamento a favore di soggetto diverso dal legittimo portatore dell’assegno.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 giugno – 12 luglio 2013, n. 17269 Presidente Carnevale - Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. La curatela del Fallimento Italcos. S.p.a. citò in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., chiedendo l'accertamento dell'inopponibilità al fallimento degli assegni emessi da D M. , allora amministratore della società in bonis, su un conto corrente intestato alla società e aperto presso la banca convenuta, per il pagamento di complessive L. 1.516.000.000. Gli assegni erano stati tratti dal M. sul conto bancario della società, senza spendita della qualità di rappresentante della società, a favore dello stesso traente. La banca resistette alla domanda. 2. Con sentenza 17 marzo 2005, il tribunale di Napoli accolse la domanda, e contro di essa la banca propose appello, sostenendo la tesi che il principio, per il quale la contemplatici domini può essere dedotta anche dal comportamento concludente del rappresentante, vale anche per i titoli di credito e in particolare per gli assegni, ancorché caratterizzati da un particolare rigore formale. 3. Con sentenza in data 16 aprile 2007, la Corte d'Appello di Napoli ha respinto il gravame. 4. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 5 giugno 2007, ricorre la banca per tre motivi. Il fallimento resiste con controricorso. La banca ha depositato memoria. Ragioni della decisione 5. Con il primo motivo di ricorso si censura la violazione dell'art. 18 comma quinto del r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736 in relazione all'art. 11 della stessa legge. Si deduce che nella fattispecie - come è pacifico - gli assegni erano stati emessi dal M. , all'epoca legale rappresentante della società, a suo favore. Si sostiene che in tali casi il titolo, non destinato alla circolazione, vale esclusivamente come quietanza di pagamento. Si propone il quesito di diritto, se agli assegni tratti a favore del traente e girati direttamente alla banca trattarla non si applichi la disciplina dei titoli di credito e in particolare l'art. 11 legge assegni, dovendosi detti documenti considerare mere quietanze di pagamento della somma in essi indicata. Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione dell'art. 11 legge assegni, e la violazione degli artt. 1387 2 1388 e.e, stante la riferibilità delle quietanze alla società anche in mancanza di espressa contemplatio domini . Con il terzo motivo si denuncia l'omesso esame su un punto decisivo e la falsa applicazione dell'art. 11 legge assegni, essendo stato violato il principio della spendita del nome per facta concludentia , possibile anche con riferimento a un assegno bancario. 6. I motivi, che investono sotto profili diversi l'unico punto decisivo della sentenza impugnata, possono essere esaminati insieme. Essi sono infondati. Occorre muovere dal consolidato insegnamento di questa corte in tema di sottoscrizione di titoli di credito. La sottoscrizione - in particolare - di girata di un assegno, per rispondere ai requisiti prescritti dall'art. 11 r.d. n. 1736 del 1933, improntati al rigore formale delle obbligazioni cartolari, deve soddisfare alle esigenze di chiarezza, univocità e certezza, sicché in ogni caso la sottoscrizione stessa deve essere riconoscibile, nel senso che essa deve consentire che sia accertata l'identità del sottoscrittore. Dette prescrizioni non vengono meno per il caso in cui l'assegno sia emesso o girato da un ente collettivo persona giuridica, società commerciale richiedendosi anche, nel caso suddetto, che la dicitura di emissione o di girata, se pur non deve necessariamente contenere una specifica formula dalla quale risulti il rapporto di rappresentanza, sia tale da e-splicitare un collegamento tra il firmatario e l'ente, così che non vi siano dubbi in ordine al fatto che la dichiarazione cartolare sia stata emessa dal sottoscrittore in nome e per conto dell'ente. In base a questi principi si è affermato che incorre in responsabilità per il pagamento dell'assegno la banca che, nel necessario diligente controllo della legittimazione del presentatore, ometta l'uno o l'altro degli accertamenti suddetti Cass. 23 aprile 2004 n. 7761, 9 giugno 2006 n. 13463 . Nella fattispecie in esame la banca ricorrente aveva trascurato appunto l'accertamento che la girata dell'assegno, tratto sul conto corrente della società, fosse stata sottoscritta in nome e per conto dell'ente. Non è invece pertinente il richiamo della ricorrente alla sentenza 17 marzo 2006 n. 6000, perché in quel caso è stata esclusa la responsabilità della banca trattarla per l'avvenuto pagamento di un assegno bancario trafugato e girato per l'incasso dal legale rappresentante di una società, la cui sottoscrizione, pur risultando illeggibile, era chiaramente riconducibile alla società stessa, in quanto apposta in calce ad un timbro recante la denominazione di quest'ultima. Ma neppure è fondato il richiamo all'art. 18, comma quinto del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, a norma del quale la girata al trattario vale come quietanza. Questa norma suppone la perfetta coincidenza del girante e del soggetto al quale l'assegno, girato alla banca trattarla per l'incasso, è accreditato, e che in tal modo rilascia quietanza del pagamento dell'assegno. La difesa della banca ricorrente, a questo proposito, muove da una premessa contrastante con i fatti accertati in causa, e cioè che l'assegno sarebbe stato emesso dalla società rappresentata dal M. , invece che dal M. a proprio nome tuttavia, anche nell'ipotesi che la girata dell'assegno fosse imputabile alla società, essa avrebbe avuto valore di quietanza se la somma fosse stata pagata o accreditata allo stesso girante società , e non come, avvenuto, a favore di soggetto diverso dal portatore legittimo dell'assegno, vale a dire della società stessa. 7. Il ricorso è pertanto respinto, in base ai seguenti principi di diritto - la sottoscrizione di girata di un assegno, per rispondere ai requisiti prescritti dall'art. 11 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, improntati al rigore formale delle obbligazioni cartolari, deve soddisfare alle esigenze di chiarezza, univocità e certezza, che non consentono di applicare le norme generali sulla rappresentanza né la possibilità di desumere la provenienza della sottoscrizione da elementi extra cartolari pertanto, qualora l'assegno sia girato da un ente collettivo, qual è una società commerciale, è richiesto che la dicitura di emissione o di girata, se pur non deve necessariamente contenere una specifica formula dalla quale risulti il rapporto di rappresentanza, sia tale da esplicitare un collegamento tra il firmatario e l'ente, così che non vi siano dubbi in ordine al fatto che la dichiarazione cartolare sia stata emessa dal sottoscrittore in nome e per conto dell'ente - la regola stabilita dall'art. 18, comma quinto del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, per la quale la girata dell'assegno alla banca trattarla vale come quietanza, suppone che l'assegno sia pagato o accreditato allo stesso autore della girata, e non esenta la banca da responsabilità per il pagamento a favore di soggetto diverso dal legittimo portatore dell'assegno. 8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per compenso, oltre agli oneri di legge.