E’ immune da vizi logici il ragionamento che ha condotto la Corte d’Appello alla reiezione della domanda risarcitoria per diffamazione a mezzo stampa quando nel volume edito siano contenute frasi od espressioni come “pilatescamente” che, per la loro finalità e verità storica, non travalicano i limiti sottesi al diritto di critica.
Premessa. Con la sentenza numero 11268 del 21 maggio 2014, la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi nuovamente su un’ipotesi risarcitoria di diffamazione a mezzo stampa. Il fatto. Un magistrato citava in giudizio autore ed editore di un volume assumendo che un capitolo ivi contenuto danneggiasse la propria reputazione. La diffamazione, a suo dire, era dovuta alle condizioni definite “pilatesche” che portarono alla nomina di un giudice, nel momento in cui l’attore faceva parte del CSM, all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo in luogo di Giovanni Falcone. La domanda risarcitoria veniva respinta sia in primo che in secondo grado. Ricorre per cassazione il magistrato. Le ragioni del ricorrente continenza del diritto di critica. Questi affida il ricorso a diversi motivi di doglianza. Per quel che qui interessa, sostiene, innanzi tutto, il mancato rispetto del canone della continenza del diritto di critica per esser stato utilizzato l’avverbio “pilatescamente” e le frasi “la notte del disonore” e “il punto più basso della giustizia”. Espressioni, queste, che se non prese singolarmente, ma calate nel contesto in connessione tra loro, esprimerebbero un disvalore tale da dar origine ad un danno ingiusto risarcibile ex articolo 2043 c.c. Nel secondo motivo, inoltre, le stesse argomentazioni vengono prospettate sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza impugnata, nel momento in cui non ha tenuto conto anche della frase moralizzatrice “si rifiutarono di decidere” riferito proprio al consesso del CSM . La soluzione della Corte di cassazione espressioni non censurabili. La Corte di Cassazione respinge il ricorso. Gli Ermellini, infatti, nel caso di specie. ritengono rispettati i canoni della continenza formale e sostanziale delle espressioni utilizzate nel cennato volume. Nessuna censura sotto il profilo della verità del fatto storico, tenuto conto che proprio a causa delle astensioni di alcuni componenti del CSM, tra cui proprio quella del ricorrente, Giovanni Falcone non conseguì la carica ambita. Nessuna censura nemmeno sotto il profilo della continenza, giacché l’espressione “pilatescamente”, indica proprio chi, come il ricorrente, pur consapevolmente non in linea con il risultato finale ossia la mancata nomina di Giovanni Falcone , non ha posto in essere con il voto favorevole una condotta ostativa di quel risultato. Concludendo. La Cassazione spiega, autorevolmente, come in filosofia il fenomeno esaminato assumerebbe la denominazione di eterogenesi dei fini, quando si verificano delle conseguenze non intenzionali da azioni umane intenzionali. Congruo, pertanto, ed immune da vizi logici è apparso il ragionamento del giudice di seconde cure nel momento in cui non ha accolto la domanda risarcitoria.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 marzo – 21 maggio 2014, numero 11268 Presidente Segreto – Relatore Spirito Svolgimento del processo Il P. magistrato citò in giudizio risarcitorio il C. e la spa Longanesi per la diffamazione che sosteneva essere derivata in suo danno da un capitolo del volume Da cosa nasce Cosa in cui era riferito il comportamento da lui tenuto, quale componente, nelle votazioni del CSM nelle quali il P. si astenne che portarono alla nomina di Me.Anumero alla direzione dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, in luogo di F.G. . In particolare, nel libro, quella del 19 gennaio 1988 era definita come la notte del disonore per la giustizia italiana, il punto più basso della sua storia e venivano fatti i nomi dei 14 membri del Consiglio che votarono contro F. , aggiungendo a questi i nomi degli altri 5 tra cui quello del P. che pilatescamente si rifiutarono di decidere . La domanda è stata respinta dal Tribunale di Milano con sentenza poi confermata dalla Corte d'appello della stessa città. Propone ricorso per cassazione il P. attraverso tre motivi. Rispondono con controricorso e ricorso incidentale la Longanesi ed il C. . Il P. risponde con controricorso al ricorso incidentale della controparte e deposita memorie per l'udienza. Motivi della decisione RICORSO PRINCIPALE. Nel primo motivo - violazione articolo 595 c.p., 21 Cost., 2043 c.c., 132 numero 4 c.p.c. - il ricorrente sostiene a che non sarebbe stato rispettato il canone della veridicità, siccome dai verbali risulta che egli era a favore della nomina di F. , pur evidenziando in posizione legalista che la circolare dell'epoca non consentiva un così elevato scavalcamento di anzianità, esprimendosi per il ritorno in commissione della pratica, mentre solo quando questa proposta fu bocciata egli dichiarò la propria astensione b che non sarebbe stato rispettato il canone della continenza, attraverso l'uso dell'avverbio pilatescamente che sarebbe servito per porre in cattiva luce ed additare al pubblico disprezzo i responsabili della notte del disonore e del punto più basso della giustizia , i quali, perciò, meritavano di essere indicati ai lettori a futura memoria c non sarebbe stato rispettato il canone interpretativo, in quanto le singole espressioni sarebbero state isolatamente considerate e non nel contesto della loro stretta connessione. Nel secondo motivo le stesse argomentazioni vengono prospettate sotto il profilo del vizio della motivazione, rappresentando, soprattutto, che la sentenza impugnata non ha tenuto conto, in una con le altre, dell'espressione si rifiutarono di decidere e del suo significato di censura morale. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. Occorre premettere che, in ipotesi di azione risarcitoria da diffamazione a mezzo stampa, il potere di controllo della Corte di cassazione sul provvedimento impugnato è limitato alla verifica dell'accertamento, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei canoni legittimanti il diritto di cronaca e, dunque, la compressione del diritto costituzionale alla riservatezza. Sotto un secondo profilo, il controllo è poi esteso alla congruità ed alla logicità della motivazione, secondo la previsione dell'articolo 360, numero 5, c.p.c. applicabile ratione temporis . È escluso, invece, che la Corte stessa possa sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito in ordine all'effettiva capacità diffamatoria delle espressioni utilizzate. Ebbene, quanto ai suddetti canoni che la stessa ricorrente ha ricordato essere quelli della veridicità dei fatti esposti, della continenza formale e sostanziale delle espressioni usate e dell'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti stessi , la sentenza impugnata ne ha fatto attenta ricognizione, spiegando, quanto alla veridicità dei fatti, che il voto in questione non era diretto a deliberare la nomina di Me. o di F. , bensì riguardava la sola nomina del Me. dal verbale della seduta del CSM risulta che i voti a favore del Me. furono 14, 10 contrari e 5 astenuti tra questi, appunto, il P. effettivamente il P. s'era espresso per la rimessione in commissione della pratica, per un ulteriore approfondimento tuttavia, considerato le espressioni finali di voto, anche il voto degli astenuti fini per giovare al Me. , considerato, appunto, che a suo favore votarono 14 non 15 componenti e che senza le astensioni il magistrato non avrebbe conseguito la carica in assegnazione. Ciò premesso, il giudice d'appello interpreta i brani del libro in questione proprio come tendenti ad affermare, con questo tipo di dinamica politica e di comunicazione , che le astensioni, pur soggettivamente motivate con un intento contrario a Me. , sono state di fatto astensioni che hanno funzionato a favore . Quanto alla continenza, il giudice ritiene che l'autore proprio a quella dinamica si riferisse nell'usare l'espressione pilatescamente , volendo indicare una persona che ha una condotta consapevolmente non in linea con il risultato finale, ma che quel risultato produce o non impedisce. Insomma, il giudice intende riferirsi a quel fenomeno che viene definito in filosofia ed in psicologia come eterogenesi dei fini, in ragione del quale si verificano conseguenze non intenzionali da azioni umane intenzionali. E, così come sviluppato, il suo ragionamento appare affatto congruo nel senso che prende in considerazione tutti gli aspetti della vicenda e tutte le questioni mosse dall'attore e logico nel senso che dalla premessa, costituita dall'esito del voto, fa derivare la giusta conseguenza rispetto all'esito finale del comportamento del P. . Considerato, dunque, che il giudice ha correttamente parametrato la vicenda ai canoni summenzionati così tenendosi nell'ambito della legittimità e che ha dato conto del risultato al quale è pervenuto attraverso una motivazione congrua e logica, la sentenza non è suscettibile di censura in sede di cassazione. Il terzo motivo del ricorso principale censura la sentenza per non avere disposto la compensazione delle spese del giudizio. Il motivo è inammissibile, posto che quello in questione costituisce un potere discrezionale proprio del giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità. In conclusione, il ricorso del P. deve essere respinto. RICORSO INCIDENTALE. Nell'unico motivo di ricorso il C. e la soc. Longanesi censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c., in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c., lamentando che il giudice d'appello non ha motivato in ordine alla domanda di riforma della prima sentenza nel punto in cui quest'ultima aveva compensato le spese di quel giudizio. Il motivo è inammissibile siccome, nella specie, la parte di duole dell'omessa pronunzia da parte del giudice d'appello su uno specifico mezzo d'impugnazione. Essa, dunque, avrebbe dovuto svolgere l'impugnazione sotto il profilo dell'omessa pronunzia articolo 360, numero 4, in relazione all'articolo 112 c.p.c. , specificando quando, dove ed in che termini aveva avanzato la doglianza in questione, e non, come ha fatto, lamentando la violazione di legge e del vizio della motivazione. In conclusione, il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale deve essere dichiarato inammissibile. Consegue l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l'incidentale e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.