Non ricorre il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, bensì quello di violenza privata, soltanto qualora manchi la possibilità di tutela giurisdizionale della pretesa, o quando si eccedano macroscopicamente i limiti insiti nel preteso diritto, cioè laddove l’esplicazione di attività costrittiva non corrisponda al contenuto del possibile esercizio del potere giurisdizionale.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 20758, depositata il 21 maggio 2014. Il caso. Dopo la sentenza di condanna del tribunale di Cosenza per il reato di violenza privata, ex articolo 610 c.p., la Corte d’appello riqualificava il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, di cui all’articolo 393 c.p., ed assolveva i due indagati, i quali, al fine di esercitare un preteso diritto su una striscia di terreno rientrante nel fondo del vicino, gli avevano impedito di continuare i lavori edili per la costruzione di un muro, parcheggiando le loro auto a ridosso del cantiere. Secondo i giudici d’appello, pur in presenza degli elementi costitutivi del reato previsto dall’articolo 393 c.p., il fatto non sussisteva, perché il parcheggio delle vetture, rispetto all’unico accesso alla loro proprietà, aveva costituito un uso conforme alle ordinarie abitudini di vita dei due coniugi. La persona offesa ricorreva in Cassazione, ai soli effetti civili, lamentando la riqualificazione del fatto, originariamente inquadrato nella fattispecie di violenza privata, e contestando un travisamento delle prove, in quanto, al massimo, i due indagati erano titolari di un diritto di servitù di passaggio e, nei casi in cui avevano parcheggiato le loro auto, lo avevano sempre fatto, in precedenza, sul lato opposto a quello delle impalcature. Differenze tra fattispecie. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che non ricorre il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, bensì quello di violenza privata, soltanto qualora manchi la possibilità di tutela giurisdizionale della pretesa, o quando si eccedano macroscopicamente i limiti insiti nel preteso diritto, cioè laddove l’esplicazione di attività costrittiva non corrisponda al contenuto del possibile esercizio del potere giurisdizionale. Comunque, secondo i giudici di legittimità, era errata la valutazione di un comportamento giustificato, da parte degli imputati, perché espressione di un’attività conforme ad un utilizzo del bene usuale ed abitudinario, rispetto al quale l’iniziativa del vicino aveva finito per rappresentare un’attività di spoglio. Infatti, era emerso che l’impalcatura non avrebbe impedito del tutto agli imputati il transito con le vetture lungo quella strada, né il parcheggio dei mezzi sul lato opposto, ma soltanto un restringimento dello spazio di accesso. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 – 21 maggio 2014, numero 20758 Presidente Ippolito - Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado del 20/04/2011 - con la quale il Tribunale di Cosenza aveva condannato gli imputati in relazione al reato di cui all'articolo 610 cod. penumero - assolveva D.L.A. e S.T. dal reato di cui all'articolo 393 cod. penumero , così diversamente qualificato il fatto, per essersi fatti arbitrariamente ragione da sé medesimi e, in particolare, per avere, in Carolei, dal 06/03 al 16/09/2007, in concorso tra loro, al fine di esercitare un preteso diritto su una striscia di terreno rientrante nel fondo di M.C.N. , potendo ricorre al giudice, impedito al M. di continuare i lavori edili diretti alla realizzazione di un muro di sostegno, mediante violenza consistita nel parcheggiare tre loro autoveicoli a ridosso del cantiere, con conseguente impossibilità di allestire i ponteggi necessari per l'elevazione del muro e mediante minaccia consistita nel proferire all'indirizzo del M. le frasi tu questo muro non lo farai mai, io ti blocco tutto, ti faccio vedere io, il mio avvocato mi aveva detto di metterci il furgone qua . Rilevava la Corte di appello come, pur in presenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 393 cod. penumero , gli imputati dovessero dallo stesso essere mandati assolti con la formula del perché il fatto non sussiste , in quanto il parcheggio di quelle vetture, rispetto all'unico accesso che i prevenuti avevano alla loro proprietà, aveva costituito un uso conforme alle ordinarie abitudini di vita dei due coniugi, dunque non una condotta violenta ma uno sfruttamento non abnorme di quella fascia di terreno. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso, ai soli effetti civili, la parte civile M. , con atto sottoscritto dal suo difensore e procuratore speciale avv. Ernesto D'Ippolito, la quale ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello erroneamente qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni una condotta che, prolungata nel tempo, aveva acquistato i caratteri della violenza privata e per avere la stessa Corte travisato le prove, avendo affermato che agli imputati era spettato un possesso esclusivo di quella fascia di terreno e che la condotta dei predetti non aveva avuto modalità spropositate ed eccessive, considerato che il D.L. e la S. erano, al più, titolari di un diritto di servitù di passaggio e se, in passato, avevano parcheggiato le loro auto, lo avevano fatto sul lato opposto a quello delle impalcature e non nella forma maliziosa che aveva poi impedito la prosecuzione dei lavori avviati dal M. . 3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato. La motivazione della sentenza si presenta gravemente viziata nel suo percorso logico-argomentativo, nonché basata su un'erronea interpretazione della norma incriminatrice oggetto di addebito. Ed infatti, i Giudici di secondo grado pur riconoscendo come le emergenze processuali avessero dimostrato che la fascia di terreno in questione era certamente di proprietà del M. e che i coniugi D.L. - S. avevano acquisito su quella stradina un possesso ventennale per il passaggio delle vetture per l'accesso alla loro abitazione e per il parcheggio delle stesse auto, talché parcheggiando i loro mezzi lungo il confine avevano di fatto impedito al M. , ovvero agli operai da questi incaricati, la messa in opera dell'impalcatura per la elevazione del muro assentito dalla pubblica amministrazione in maniera incongrua ed illogica, pure trascurando che l'imputazione oggetto di contestazione faceva riferimento anche all'uso di minacce da parte degli imputati, ha escluso che la condotta posta in essere dal D.L. e dalla S. - i quali, anziché ricorrere al giudice per la tutela del loro supposto diritto, avevano collocato quelle vetture proprio lungo la linea di confine, in maniera da costituire azione di sbarramento ed impedire la costruzione del muro innanzi richiamato - costituisse violenza arbitraria, ritenendo che quella iniziativa costituisse espressione di un uso conforme alle ordinarie abitudini di vita dei due coniugi . In tale ottica, se appare corretta la scelta della Corte territoriale di ritenere configurabile, nel caso di specie, il delitto di cui all'articolo 393 cod. penumero anziché quello di cui all'articolo 610 cod. penumero - dato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non ricorre il delitto di ragion fattasi ma quello di violenza privata solo quando manca la possibilità di tutela giurisdizionale della pretesa o quando si eccedano macroscopicamente i limiti insiti nel preteso diritto, vale a dire laddove l'esplicazione di attività costrittiva non corrisponde al contenuto del possibile esercizio del potere giurisdizionale così, da ultimo, Sez. 6, numero 21197 del 12/02/2013, Domenici, Rv. 256547 - appare frutto di un'erronea applicazione della norma incriminatrice di riferimento l'aver sostenuto che la condotta tenuta dagli odierni imputati non fosse arbitraria, in quanto la violenza sarebbe stata giustificata perché espressione di un'attività conforme ad un utilizzo del bene usuale ed abitudinario, rispetto al quale l'iniziativa del M. aveva finito per rappresentare un atto di spoglio ciò tenuto conto che, come risultante dalla stessa motivazione del provvedimento gravato, la installazione dell'impalcatura per costruire quel muro non avrebbe impedito del tutto agli imputati il transito con le vetture lungo quella strada ovvero il parcheggio dei mezzi sul lato opposto così come sostenuto dal ricorrente , ma solamente un restringimento dello spazio di accesso e, quindi, una sua minore fruibilità, limitando la visuale a chi fosse uscito dalla casa dei prevenuti attraverso la rampa v. pag. 3 sent. impugnumero ovvero solo una minore comodità nell'uso della stradella v. pag. 4 sent. impugnumero . Tanto comporta l'annullamento della sentenza con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice civile che, a mente dell'articolo 622 cod. proc. penumero , sarà chiamato ad eliminare le lacune e le incongruenze motivazionali, uniformandosi ai principi di diritto innanzi tratteggiati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio sul punto.