In tema di reati tributari, e segnatamente di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, previsto e punito dall’articolo 10-ter, d.lgs. numero 74/2000, non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non fare debitamente fronte alla esigenza di versare l’imposta dovuta all’Erario.
Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 10813, depositata il 6 marzo 2014. L’omesso versamento di IVA. L’articolo 10-ter, d.lgs. numero 74/2000 sanziona l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Anche il delitto in esame, nonostante il legislatore abbia utilizzato il termine “chiunque”, è un reato proprio, poiché la condotta prevista può essere realizzata esclusivamente da coloro che sono obbligati alla presentazione della dichiarazione IVA, e cioè da tutti quei soggetti che effettuano l’attività di cessioni di beni o di prestazioni di servizi, nell’esercizio di imprese o di arti e professioni, secondo le disposizioni contenute nel d.P.R. numero 633/1972 relativo all’istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto . La norma incriminatrice, infatti, dispone che la disposizione di cui all’articolo 10-bis, d.lgs. numero 74/2000 si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Il d.lgs. numero 74/2000 equipara, dunque, sotto il profilo sanzionatorio, la figura di chi omette di versare l’IVA a quella del sostituto d’imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. La disposizione in commento non prende in considerazione tributi diversi dall’imposta sul valore aggiunto. Ne consegue la sostanziale non punibilità delle condotte di omesso versamento di imposte diverse dall’IVA, fatta salva la sussumibilità di un siffatto comportamento ricorrendone i presupposti nel diverso delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte previsto dall’articolo 11, d.lgs. numero 74/2000 . Per poter dimostrare l’esistenza del reato di cui al predetto articolo 11, sussiste un onere probatorio sicuramente aggravato rispetto a quello relativo al reato di omesso versamento dell’IVA. E’ infatti necessario provare un insieme di condotte poste in essere dal contribuente allo scopo specifico di precludere all’Erario la possibilità di incassare quanto in precedenza dichiarato, ovvero di impedire il risarcimento del danno patrimoniale conseguente ad evasioni fiscali definitivamente accertate. In altri termini, la condotta sanzionata non ricomprende quei comportamenti materiali come l’omesso versamento di imposte diverse dall’IVA privi del requisito artificioso o ingannatorio. La soglia di punibilità. Anche per il delitto di cui all’articolo 10-ter vale la soglia di punibilità prevista per la fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate, pari ad € 50.000. Pertanto, nel caso di omesso versamento di IVA a debito, di importo inferiore alla predetta cifra, il soggetto attivo risulterà passibile unicamente di sanzioni di carattere amministrativo tributario. L’articolo 10-ter configura un reato di evento di danno, con una soglia di punibilità notevolmente più bassa rispetto a quelle fissate per i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante artifici diversi dall’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, per quello di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione. Il momento consumativo del reato. Con riguardo al momento consumativo del reato, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che la consumazione del reato di cui all’articolo 10-ter è determinata allo spirare del termine per il versamento dell'acconto 27 dicembre dell'anno solare per il periodo d'imposta successivo. Per ritenere integrato l’articolo 10-ter è perciò necessario che l’omesso versamento si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento. Pertanto, la consumazione dell’illecito coincide con un omesso versamento periodico che, accumulato con altri precedenti omessi versamenti dei pregressi periodi mensili o trimestrali, sia superiore alla soglia di rilevanza penale. Nondimeno, l’omesso versamento di IVA periodica, ai fini della consumazione del reato in parola, diviene rilevante solo quando concorre a formare il debito di imposta complessivamente dovuto. Costituisce post factum irrilevante da considerare, quindi, soltanto ai fini di uno sconto di pena il pagamento successivo, anche a seguito del ricevimento dell’avviso bonario da parte dell’Amministrazione finanziaria. La scriminante della crisi di liquidità finanziaria. La sentenza in commento si pone nel solco della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione numero 37424/2013 , secondo cui l'articolo 10-ter del d.lgs. numero 74/2000, entrato in vigore il 4 luglio 2006, si applica anche agli omessi versamenti dell'IVA relativa al 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività. Infatti, la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo d'imposta. Non può, quindi, scriminare la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non fare debitamente fronte all'esigenza predetta. Tale principio, valido anche nella analoga fattispecie di omesso versamento delle ritenute previdenziali, trova il proprio limite nella forza maggiore, e segnatamente nella prova, a carico dell’imputato, della situazione di oggettiva impossibilità di reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 febbraio – 6 marzo 2014, numero 10813 Presidente Squassoni – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente S.M. , con sentenza del 20.3.2013 depositata il 2/4/2013, riformava parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale di Milano l'11.6.2012, concedendogli il beneficio della non menzione. Il Giudice di primo grado aveva dichiarato l'imputato responsabile del reato previsto dall'articolo 10 ter D.L.vo 74/2000, perché nella qualità di legale rappresentante della società Decalcomania srl ometteva il versamento dell'acconto iva per l'ammontare di Euro 110.909,00 per il periodo d'imposta 2006, in Milano 27/12/2007, termine previsto per il pagamento, condannandolo alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con l'applicazione delle pene accessorie e la sospensione condizionale della pena. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con l'ausilio del proprio difensore, l'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero a. erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all'articolo 10 ter D. L.vo 74/2000 - contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Deduce il ricorrente la carenza dell'elemento soggettivo del reato. La Corte avrebbe, erroneamente, ritenuto esistente la volontà di non versare le imposte. Il mancato versamento, invece, sarebbe dipeso dalla mancanza di mezzi finanziari. L'imputato si sarebbe trovato nell'oggettiva impossibilità di adempiere. Tale circostanza risulterebbe ampiamente provata nell'istruttoria dibattimentale. L'impossibilità di adempiere impedirebbe di ritenere integrato il reato previsto dall'articolo 10 ter D.L.vo 74/2000. b. erronea applicazione delle norme di cui all'articolo 53 L. 689/81 e all'articolo 133 cod. penumero - contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato. La Corte avrebbe ritenuto sussistenti le condizioni di meritevolezza per la concessione del beneficio della non menzione di cui all'articolo 175 cod. proc. penumero , mentre avrebbe ritenuto di non operare la richiesta di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria in considerazione della entità delle somme evase . L'imputato sostiene che i criteri cui il Giudice debba fare riferimento ai fini della concessione di entrambi i benefici siano gli stessi, previsti dall'articolo 133 cod. proc. penumero . Pertanto la mancata concessione della sostituzione della pena detentiva sarebbe contraddittoria rispetto alla concessione del beneficio della non menzione. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato. 2. A norma dell'articolo lOter del D.Lgs. numero 74 del 2000, inserito con l'articolo 35 co. 7 del D.L. 4 luglio del 2006, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall'articolo 10 bis per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Con l'intervento legislativo del luglio 2006 è stata, dunque, introdotta una nuova fattispecie criminosa, diretta a sanzionare l'omesso versamento dell'IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale, cui è stata estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente articolo 10 bis, in forza del quale è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per cia-scun periodo d'imposta . Il comportamento del soggetto che non versa l'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è stato quindi dal legislatore assimilato, sotto il profilo sanzionatorio, ma come vedremo non solo, a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Il momento consumativo del reato è individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Tale termine è fissato dalla L. numero 405 del 1990, articolo 6, comma 2, al 27 dicembre. Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento. Nella fattispecie al 27 dicembre del 2006. La giurisprudenza di questa Corte ha anche risolto in senso positivo, tenuto conto che la disposizione de quo è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per IVA relativa alla dichiarazione dell'anno precedente, il dubbio se la nuova disposizione sanzionatoria trovasse applicazione per i reati riguardanti l'IVA relativa all'anno 2005 e in senso negativo quello per l'applicabilità dell'indulto, di cui alla L. numero 241 del 2006, che copre i reati commessi fino al 2 maggio del 2006 sez. 3, numero 38619 del 14.10.2010, P.G. in Proc. Mazzieri, rv. 248626 . Il reato di omesso versamento dell'IVA ex articolo 10 ter, D.Lgs. 74/2000 si consuma, infatti, nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste. È necessario, quindi, che l'omissione del versamento dell'IVA dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento, giusto quanto disposto dall'articolo 6, comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, numero 405. Condivisibilmente è stato precisato che in tema di omesso versamento IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dall'articolo 10 ter d.lgs 10 marzo 2000, numero 74 consiste nel mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di IVA per cassa , è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate Sez. Unite, numero 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 sez. 3, numero 19099 del 6.3.2013, Di Vora, rv. 255327 . 3. Se quello appena delineato è il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, va detto che il primo motivo di ricorso appare infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente precisato, all'esito di un'approfondita disamina della normativa tributaria in materia, proprio in tema di elemento soggettivo, che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico Sez. Unite, numero 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 . Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell'articolo 10 ter d.lgs. numero 74 del 2000. Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo - hanno condivisibilmente affermato le SS.UU. nella sentenza 37424/13 - è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto. Nel caso in esame siamo pacificamente al di sopra di tale soglia essendo stato omesso un versamento di Euro 110.909. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già dall'acquirente del bene o del servizio l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. In tal senso appare evidente la similitudine con quanto accade per il sostituto d'imposta rispetto alle trattenute operate per oneri previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei propri dipendenti. Ed evidentemente non è estranea a tale valutazione la scelta del legislatore del 2006 di equiparare le sanzioni. L'introduzione della norma penale di cui all'articolo 10 ter Dlgs 74/2000, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. 4. Le Sezioni Unite scrivono, anche, nella citata sentenza 37424/13 Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006 di non far debitamente fronte alla esigenza predetta per l'esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sé considerate v., in riferimento alla parallela norma dell'articolo 10-bis, Sez. 3, numero 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale . Le SS.UU. dunque, richiamano la giurisprudenza di questa Sezione secondo che ha già più volte stabilito, in materia di omesso versamento di ritenute previdenziali che il reato è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti Sez. 3, numero 13100 del 19.1.2011, Biglia, Rv. 249917 conf. Sez. 3, numero 29616 del 14.6.2011, Vescovi, rv. 250529 . 5. Va chiarito che il Collegio ritiene che tale assunto non sia incompatibile con la più recente precisazione fornita da questa Corte secondo cui non è escluso che, in astratto, siano possibili casi - il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato - nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria così sez. 3, numero 5467 del 5.12.2013 dep. il 4.2.2014, Mercutello . È tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l'azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto non ultimo, il ricorso al credito bancario . In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili così la già citata e condivisibile sentenza 5467/14 di questa Sezione . Nel caso in esame tali allegazioni, valutato anche quanto scrive il giudice di prime cure, non ci sono state. Al contrario, l'affermazione operata dal ricorrente di avere preferito pagare dipendenti e fornitori, appare frutto di una scelta imprenditoriale, sulla cui condivisibilità non spetta a questa Corte giudicare, ma certo non prova l'illiquidità e la crisi, nei termini di cui si diceva in precedenza, atte a consentire che non si sia realizzata la fattispecie penale che incrimina l'omissione del versamento all'Erario. La motivazione della Corte territoriale, dunque, non pare condivisibile - e pertanto in tal senso va corretta - laddove sembra affermare che neanche in astratto potrebbe realizzarsi ed essere provata dal ricorrente un'impossibilità ad adempiere dovuta al dissesto economico aziendale e personale. Ma, in concreto, tale impossibilità non è stata provata. 6. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, circa la lamentata contraddittorietà tra il riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziario ex articolo 175 cod. penumero e il diniego della sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria. Vi sarebbe una contraddizione, ad avviso del ricorrente, in quanto il riferimento comune sarebbe alla medesima norma di cui all'articolo 133 cod. penumero . In realtà, legittimamente, la Corte territoriale perviene a diverse conclusioni, motivando, quanto alla mancata conversione della pena pecuniaria e anche alla mancata riduzione della pena con riferimento alla entità delle somme evase. È vero che ai fini della sostituzione della pena detentiva con pena pecu-niaria il giudice ricorre ai medesimi criteri previsti ex articolo 133 cod. penumero tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando solo su alcuni aspetti, magari diversi da quelli valutati per la non menzione, ritenuti decisivi in proposito, quale, nel caso in esame, l'entità della somma evasa vedasi sez. 5, numero 10941 del 26.1.2011, Orabona, rv. 249717 . 7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.