Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale: sussiste se la riproduzione è parziale?

Ai fini del riconoscimento di una tutela risarcitoria al privato, è necessario comprendere se la pubblicazione di atti non divulgabili, ex articolo 114, comma 2, c.p.p. , integri la fattispecie di cui all’articolo 684 c.p., qualora sia limitata e marginale.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 22003/2015, depositata il 28 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Milano respingeva la domanda di risarcimento danni proposta da S.p.A. per la pubblicazione in un periodico di articoli relativi ad un procedimento penale che coinvolgeva parte attrice. La S.p.A. lamentava la violazione della propria privacy ed il contenuto diffamatorio degli articoli, in considerazione del fatto che le fattispecie delittuose rappresentate non erano ancora state sottoposte al vaglio del giudice. Parte attrice proponeva ricorso, ma la Corte d’Appello lo rigettava, rilevando l’insussistenza della violazione di cui all’articolo 684 c.p. pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale e l’esclusione della violazione del diritto alla riservatezza, in presenza di un valido esercizio del diritto di cronaca. La Corte territoriale rilevava come dopo la conclusione delle indagini preliminari non possa essere ritenuto ancora sussistente il divieto di pubblicazione dei documenti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero articolo 114, comma 2, c.p.p . Il giudice di merito escludeva, inoltre, che le notizie fossero state riportate in modo distorto, come lamentato dalla ricorrente. La S.p.A. ricorreva per cassazione. Orientamenti giurisprudenziali contrastanti. La Suprema Corte ha rilevato come la Terza Sezione civile avesse già esaminato la questione, nel corso di un procedimento avente il medesimo oggetto. La Corte aveva ritenuto possibile fondare una pretesa risarcitoria sul reato di pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale, di cui all’articolo 684 c.p. , indipendentemente dal suo concorso con l’illecito di diffamazione sentenza numero 838/2015 . La tesi di cui sopra deriva, secondo la Corte di legittimità, dall’ autonomia delle norme a tutela del segreto sugli atti processuali e dalla natura plurioffensiva dell’illecito di cui all’articolo 684 c.p. . La disposizione di cui sopra, infatti, avrebbe, secondo gli Ermellini, la duplice finalità di tutelare la dignità e la reputazione di tutti coloro che partecipano al procedimento e di garantire il soddisfacimento dell’interesse dello Stato ad un imparziale e corretto funzionamento dell’attività giurisdizionale. La Corte ha ribadito che la sentenza numero 838/2015 ha spostato l’interpretazione per cui dall’articolo 114 c.p.p., che delimita gli ambiti entro cui opera il divieto di divulgazione degli atti coperti da segreto, deriva l’impossibilità di derogare al divieto di pubblicazione degli atti del procedimento, nei casi previsti dalla norma, indipendentemente dal dato quantitativo della limitatezza della riproduzione la deroga della limitatezza della trascrizione dell’atto non trova, infatti, fondamento nella disposizione, a parere della Suprema Corte, né risulta compatibile con la ratio delle previsioni concernenti la pubblicazione di atti di un procedimento penale. Gli Ermellini hanno rilevato la presenza di un altro orientamento giurisprudenziale, oltre a quello sopra riassunto, secondo cui non si potrebbe ritenere integrata la fattispecie di pubblicazione arbitraria di atti del procedimento nel caso di divulgazione di una «brevissima frase, riportata tra virgolette, dell’interrogatorio dell’indagato». La Suprema Corte ha precisato, inoltre, come la tesi, prevalente in giurisprudenza, che ha per oggetto la natura plurioffensiva dell’illecito di cui all’articolo 684 c.p. sia stata, recentemente, posta in dubbio, essendo stata ricondotta la ratio della norma al solo interesse all’imparziale e corretto esercizio dell’attività giurisdizionale. Dall’affermazione di cui sopra, per cui l’offensività della disposizione sarebbe incentrata sul solo profilo pubblicistico della giurisdizione, deriverebbero conseguenze sul piano della legittimazione del privato a far valere una pretesa risarcitoria per la sola violazione dell’articolo 684 c.p. . La Corte di Cassazione ha chiarito come il fulcro della questione sia la possibilità o meno che la riproduzione di atti non divulgabili, ex articolo 114, comma 2, c.p.p. , integri la fattispecie di cui all’articolo 684 c.p., qualora la riproduzione sia limitata e marginale per quanto concerne il contenuto. Gli Ermellini hanno, infine, rilevato come dalla definizione della questione derivi la possibile violazione, lamentata dalla ricorrente, del d. lgs. 196/2003 e come siano implicati valori di rango costituzionale, quali la libertà di stampa e l’esercizio della giurisdizione artt.2, 3, 21 e 111 Costituzione . Per le ragioni sopra esposte, la Suprema Corte ha rimesso gli atti al Primo presidente per eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 21 maggio – 28 ottobre 2015, numero 22003 Presidente Forte – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1 - Con sentenza depositata in data 4 settembre 2006 il Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta dalla S.p.a. Mediaset nei confronti di D.E. , B.G.B. e della S.p.a. Editoriale Diario, con la quale era stato chiesto il risarcimento dei danni conseguenti alla pubblicazione sul numero 9 del del periodico di due articoli relativi alle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Milano in merito ai risvolti di natura penale dei finanziamenti inerenti alle transazioni di diritti televisivi effettuati dalla società attrice, ritenuti lesivi del suo diritto alla privacy e di contenuto diffamatorio, connesso soprattutto in relazione alla prospettazione, in chiave colpevolistica, di ipotesi delittuose ancora non sottoposte al vaglio del giudice competente. 1.1 - La corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato il gravame proposto dalla Mediaset, sulla base dei seguenti rilievi 1.1. a - Il riferimento della sentenza di primo grado ad altra decisione, avente ad oggetto, ad avviso dall'appellante, situazioni diverse, appariva congruo nella misura in cui venivano richiamate, al di là delle distinti fattispecie concrete, le valutazioni di natura giuridica, sicuramente inerenti alla fattispecie, sia sotto il profilo dell'insussistenza della violazione dell'articolo 684 c.p., sia in merito all'esclusione della violazione del diritto alla riservatezza, in relazione al valido esercizio del diritto di cronaca, sussistendo un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti trattati negli articoli in oggetto, attesa la rilevanza, sul piano nazionale, della società Mediaset. 1.1.b - È stata poi ritenuta infondata, mediante il richiamo all'articolo 114, comma 2, cod. proc. penumero , la tesi secondo cui anche dopo la conclusione delle indagini preliminari sarebbe vigente il divieto di pubblicazione dei documenti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. 1.1.c - La corte territoriale, con riferimento alla distinzione fra pubblicazione parziale e pubblicazione del contenuto, consentita ai sensi dell'articolo 117, comma settimo, cod. proc. penumero , ha osservato che le poche citazioni testuali, tratte da oltre 5000 pagine degli atti di indagine, apparivano finalizzate a riportare i fatti in maniera fedele, ed ha rilevato, considerato il testo nel suo complesso, che si era realizzato un contemperamento fra gli interessi della giustizia e quelli dell'informazione. 1.1.d - È stato poi escluso che le notizie siano state fornite in maniera distorta, soprattutto rappresentando come fatti veri delle ipotesi di indagine, in quanto l'articolo si concludeva con uno specifico riferimento alla necessità di un vaglio in sede giudiziale. 1.1.e - Il riferimento dell'appellante alla violazione della privacy è stato infine ritenuto infondato sulla base delle precedenti considerazioni relative alla liceità delle citazioni riportate negli articoli. 1.2 - Per la cassazione di tale decisione la S.p.a. Mediaset propone ricorso, affidato a quattro motivi, cui gli intimati resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ Motivi della decisione Deve preliminarmente rilevarsi che, con sentenza in data 20 gennaio 2015, numero 838, la Terza Sezione civile di questa Corte ha esaminato e deciso un ricorso avente lo stesso oggetto della presente impugnazione movendo dalla ritenuta possibilità di fondare una pretesa risarcitoria sul reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'articolo 684 c.p. chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione a prescindere dal fatto che esso concorra o meno con la diffamazione. Successivamente, con ordinanza del 30 marzo 2015, la stessa Terza Sezione Civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in merito a procedimento inerente a questioni analoghe a quelle dibattute nella presente vicenda processuale. Si è osservato che l'enunciazione posta alla base delle citata decisione numero 838 del 2015 si colloca in immediata correlazione con la ritenuta autonomia della tutela fondata sulla violazione delle norme concernenti il segreto su atti processuali rispetto a quella correlata alla diffamazione, in ragione della plurioffensività del reato di cui all'articolo 684 c.p. giacché, al tempo stesso, volto a tutelare, nella fase istruttoria, la dignità e la reputazione di tutti coloro che, sotto differenti vesti, partecipano al processo, nonché l'interesse dello Stato al retto funzionamento dell'attività giudiziaria, al fine di garantire l'assenza di condizionamenti del giudice dell'eventuale futuro dibattimento Cass. civ., 18 luglio 2013, numero 17602 Cass. penumero numero 42269 del 2004 Cass. penumero numero 17051 del 2013 . Si è inoltre rilevato che la menzionata sentenza numero 838 ha aderito ad una interpretazione dell'articolo 114 c.p.c. - le cui disposizioni segnano gli ambiti entro i quali opera il divieto di divulgazione degli atti coperti da segreto, venendo cosi ad integrare il precetto penale nella presente controversia rilevando del citato articolo 114, comma 2, che, rispetto al divieto assoluto di pubblicazione parziale o per riassunto o anche solo del contenuto , vieta la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare - che conduce ad elidere ogni rilievo al dato quantitativo della limitatezza della trascrizione dell'atto non di-vulgabile, enunciando il seguente principio di diritto fatta salva la possibilità di pubblicare il contenuto di atti non coperti dal segreto, non può derogarsi al divieto di pubblicazione di tali atti mediante riproduzione integrale o parziale o estrapolazione di frasi , nei casi previsti dall'articolo 114 c.p.p., in dipendenza del dato quantitativo della limitatezza della riproduzione, trattandosi di deroga non prevista dalla norma e non compatibile con le esigenze sottese alla disciplina relativa alla pubblicazione di atti di un procedimento penale . Nella stessa prospettiva sembra porsi altra giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte cfr. Cass. penumero numero 473 del 2013, in motivazione, che fa riferimento anche a Cass. penumero numero 2377 del 1990 e, in motivazione, pure Cass. civ. numero 17602 del 2013, cit. che richiama Cass. penumero numero 10135 del 1994 , mentre parrebbe discostarsene Cass. penumero numero 43479 del 2013, che ha enunciato il principio cosi massimato Non integra la contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale la pubblicazione di una brevissima frase, riportata tra virgolette, dell'interrogatorio dell'indagato . È stato poi osservato che, anche sotto il profilo della tutela apprestata dalla previsione incriminatrice di cui all'articolo 684 c.p., la natura plurioffensiva del reato predicata dalla prevalente giurisprudenza risulta posta in dubbio da una recente decisione di questa stessa Terza Sezione civile Cass., 19 settembre 2014, numero 19746 , che ha ritenuto in motivazione che la tutela penale accordata dall'articolo 684 c.p., non attiene alla sfera di riservatezza dell'indagato o dell'imputato, ma alla protezione delle esigenze di giustizia inerenti al processo penale nella delicata fase di acquisizione della prova . Si è quindi ritenuto che, ove si ritenesse contrariamente alla prevalente giurisprudenza che l'offensività fosse incentrata soltanto sul profilo pubblicistico della giurisdizione, si riproporrebbe il problema della legittimazione del privato a far valere una pretesa risarcitoria per la mera violazione dell'articolo 684 c.p., in assenza, quindi, di un concreto pregiudizio alla sua reputazione, non omettendosi di rilevare che il tema problematico centrale è, comunque, quello della possibilità, o meno, che la riproduzione parziale di atti non divulgabili, ai sensi dell'articolo 114 c.p.p., comma 2, integri il reato di cui all'articolo 684 c.p., ove alla limitatezza della riproduzione si accompagni la marginalità del loro contenuto, quale si potrebbe avere anche nel rapporto quantitativo, ben evidenziato nell'impugnata decisione, fra gli atti pubblicati e quelli del procedimento penale. La questione involge gli stessi poteri del giudice del merito quello civile incidenter tantum, ai fini della verifica della sussistenza della fattispecie di reato che configura l'illecito extracontrattuale nella delibazione della non pluri offensività della condotta criminosa in concreto accertata, se, dunque, necessariamente costretti nei limiti rigidi del dato oggettivo di una pur minima riproduzione dell'atto non divulgabile, ovvero se orientabili in forza di un apprezzamento sui contenuti della riproduzione medesima che la questione assume rilievo anche per il motivo di ricorso che denuncia la violazione del D.Lgs. numero 196 del 2003, posto che, in presenza del reato di cui all'articolo 684 c.p., siccome integrato da una qualsivoglia riproduzione dell'atto in violazione dell'articolo 114 c.p.p., comma 2, sussisterebbe una illecita acquisizione e, dunque, illecita pubblicazione ai sensi della normativa sulla riservatezza dei dati personali in tal senso, chiaramente in motivazione, Cass. civ. numero 17602 del 2013, cit. . Il Collegio condivide il rilievo secondo cui, in un contesto che vede implicati valori di rango costituzionale che attengono alla tutela della persona, alla libertà di stampa ed all'esercizio della giurisdizione articolo 2, 3, 21 e 111 Cost. , a fronte di orientamenti giurisprudenziali non sempre armonici e collimanti e, dunque, suscettibili di rendere meno coeso il valore, parimenti di rango costituzionale, della certezza del diritto in ordine all'interpretazione del combinato disposto dell'articolo 114 c.p.c. e articolo 684 c.p., la causa debba essere rimessa al Primo Presidente ai sensi dell'articolo 374 c.p.c., per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite civili sulla anzidetta questione, comunque di massima di particolare importanza. P.Q.M. La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per una eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.