Tra i divieti, che il giudice della cautela può imporre all’indagato nel disporre gli arresti domiciliari, vi è quello «di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono» articolo 284 comma 2 c.p.p. . Nella decisione de qua, nel prendere in considerazione tale divieto, si è valutato in maniera del tutto corretta il concetto di “comunicazione” in questione rapportandolo ad un più ampio contesto di riferimento e nell’ottica di evitare interpretazioni non ammissibili e contra reum visto il quadro costituzionale di riferimento e la natura pur sempre cautelare delle misure coercitive.
È questo quanto deciso dalla Cassazione con la sentenza numero 41120, depositata il 3 ottobre 2014. Il caso. Nella specie è accaduto che un indagato sottoposto agli arresti domiciliari avesse inviato, per il tramite di una persona con cui era abilitato a comunicare, una diffida stragiudiziale. Ad avviso del pubblico ministero, del Gip e dello stesso Tribunale della libertà tale comportamento era certamente in contrasto col divieto imposto di comunicare con terzi, a nulla rilevando la circostanza che la trasmissione della raccomandata fosse stata effettuata in via indiretta cioè per il tramite di un soggetto terzo. Da qui, la revoca degli arresti domiciliari e l’accompagnamento dell’indagato alla cella più vicina. Nell’analizzare il ricorso proposto dalla persona sottoposta ad indagini, che nella sostanza ha lamentato la mancata violazione degli obblighi impostogli ed in subordine il fatto che la revoca in questione non poteva ritenersi obbligatoria in quanto il caso di specie non rientrava tra quelli specificatamente previsti dall’articolo 276 comma 1 ter c.p.p., la Suprema corte ha dato ragione al ricorrente annullando l’ordinanza per un nuovo esame. Ad avviso della Corte di cassazione, infatti, si doveva tenere conto se « la missiva, pur concernente una dichiarazione di volontà a contenuto certamente comunicativo, costituisse il compimento di un atto giuridico ». Infatti, se è vero che la comunicazione può esaurirsi in un unico atto, a differenza della frequentazione « che implica il contatto di abituale reiterazione del contatto con terzi », deve pure prendersi in considerazione « l’oggetto per verificare se quel comportamento, oltre ad integrare una comunicazione, costituisca un quid pluris ». Non può cioè non farsi riferimento, per la verifica della violazione del divieto di comunicazione, se l’atto comunicativo di riferimento non abbia una valenza propria e di natura giuridica di per sé legittima e non vietata. Autorizzazione giudiziale di comunicare con persone diverse da quelle che abitualmente con lui coabitano Ciò in quanto « l’indagato ristretto agli arresti domiciliari, una volta ottenuta l’autorizzazione giudiziale di comunicare con persone diverse da quelle che abitualmente con lui coabitano o lo assistono, non incontra alcuna restrizione a compiere atti giuridici , posto che da un lato un divieto in tal senso non sarebbe neppure imponibile ai sensi dell’articolo 284 comma 2 c.p.p. e dall’altro che la misura cautelare non è finalizzata a limitarne la capacità di agire ovvero la sua idoneità a svolgere attività giuridica riguardante la sfera dei propri interessi » solo in caso di condanna definitiva ciò è ipotizzabile, ma se così è non può ammettersi, nel silenzio della legge, sussistente una incapacità legale “anticipata” collegata agli arresti domiciliari. Del resto, « l’individuazione del contenuto delle prescrizioni accessorie di una misura cautelare deve avvenire in base al principio del favor rei, nel senso che laddove un comportamento non sia espressamente vietato esso deve ritenersi consentito, atteso che l’imposizione della misura costituisce comunque una deroga al principio di inviolabilità della libertà personale che per previsione costituzionale non ammette restrizione se non nei casi e modi previsti dalla legge articolo 13 comma 2 cost. ». Da qui la constatazione del fatto che il Tribunale, non avendo chiarito la “natura” della missiva, non poteva legittimamente decidere sulla revoca degli arresti domiciliari, con la conseguenza che il provvedimento impugnato andava annullato con rinvio per un nuovo esame, come in effetti è stato fatto. Conclusioni. La decisione in commento è assolutamente condivisibile per l’impostazione seguita. Del resto, pare all’evidenza incomprensibile vietare, per chi è agli arresti domiciliari, il compimento di atti giuridici come le notificazioni, le opposizioni, le denunce e le stesse diffide, allorché siano effettivamente tali e dunque finalizzate allo scopo per cui tali atti sono previsti. D’altra parte un eccesso di rigorismo, peraltro illegittimo e contro la costituzione – come ha osservato la Corte di cassazione -, porterebbe all’assurdo paradosso per cui la posizione del reo, agli arresti domiciliari, sarebbe peggiore di quella spettante ad un soggetto in detenzione. La stessa Suprema corte, infatti, ha notato come l’ordinamento penitenziario ha previsto che i colloqui e le corrispondenze possono essere effettuate “ anche al fine di compiere atti giuridici ” articolo 18, comma 1, legge numero 354/1975 . Sicché appare insostenibile la tesi di chi – come nel caso di specie – vorrebbe interpretare in maniera assoluta e priva di ragionevolezza una norma l’articolo 284, comma 2, c.p.p. al fine di imporre un divieto di inviare qualsiasi tipo di comunicazioni. Se, dunque, può in qualche modo accettarsi a livello sistematico che il divieto in questione abbia una finalità non solo endoprocessuale ma anche di difesa sociale, vista la natura ibrida che hanno le cautele nel nostro ordinamento, lo stesso non può essere letto fuori dai fini di cui all’articolo 274 c.p.p. e quindi delle esigenze cautelari tipicamente definite dal legislatore. Detto in termini ancor più chiari, tale divieto non può essere visto in un’ottica anticipatoria della pena principale o accessoria ovvero in una chiave meramente repressiva. Dopo tutto, « l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva » articolo 27, comma 3, Cost. .
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 settembre – 3 ottobre 2014, numero 41120 Presidente Agrò – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Bologna, Sezione delle impugnazione cautelari penali respingeva l'appello proposto da B.D. ai sensi dell'articolo 310 cod. proc. penumero avverso due ordinanze emesse dal GIP del Tribunale di Rimini in data 24/02/2014 che, in accoglimento della richiesta del PM, avevano ripristinato, nell'ambito di due distinti procedimenti, la misura della custodia in carcere in aggravamento di quella precedentemente concessa degli arresti domiciliari ai sensi dell'articolo 276 cod. proc. penumero . Nel respingere l'appello, il Tribunale osservava che correttamente il GIP aveva ravvisato nel comportamento dell'indagato - reo di aver predisposto una lettera raccomandata, materialmente consegnata alla sua segretaria per l'inoltro ad una società immobiliare Adria Immobili srl , con cui richiedeva l'adempimento di un contratto preliminare - una violazione del divieto di comunicazione con terzi accessorio rispetto alla detenzione domiciliare, sanzionabile ancorché in via facoltativa ai sensi dell'articolo 276 comma 1 cod. proc. penumero . Aggiungeva il Tribunale che poiché oltre ai due procedimenti pendenti per reati di peculato, corruzione in atti giudiziari, falso, frode fiscale e falso in atto pubblico commessi anche in veste di curatore fallimentare - per i quali risultava in regime di custodia cautelare - a carico del B. era stato medio tempore avviato un terzo procedimento per violazione dell'articolo 12 quinquies L. numero 356 del 1992 in concorso con D.F. e atteso che con la citata lettera raccomandata l'appellante aveva sollecitato il rispetto di pattuizioni connesse a pregresse intese contrattuali intercorse proprio con il menzionato D. e formanti oggetto di contestazione rivolta ad entrambi, corretta appariva la vantazione del GIP secondo cui l'indagato aveva mostrato di non possedere quelle doti di autocontrollo e affidabilità che, pur a fronte di una nutrita serie di imputazioni provvisorie a carico, lo avevano reso in precedenza meritevole dell'attenuazione del regime cautelare mediante concessione degli arresti domiciliari. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il B. , il quale deduce plurimi profili di censura insussistenza di violazioni delle prescrizioni impostegli in esecuzione degli arresti domiciliari, avendo egli certamente predisposto la missiva per consegnarla alla segretaria - autorizzata a comunicare con lui regolarmente - che ne aveva curato l'inoltro insussistenza di violazioni dell'articolo 12 quinquies L. numero 356 del 1992, essendosi indotto ad inviare la lettera al solo fine di tutelare la propria posizione contrattuale e quando ancora non era ancora venuto a conoscenza del terzo e più recente procedimento avviato nei propri confronti violazione dello articolo 276 comma 1 ter cod. proc. penumero in ordine all'affermato carattere obbligatorio dell'aggravamento, posto che anche ove fosse avvenuta infrazione al divieto di comunicazione con terzi, essa sarebbe stata al più sanzionabile ai sensi del comma 1 della citata disposizione difetto di motivazione per mancata individuazione delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura, l'aggravamento essendo stato disposto anche a motivo dell'asserita consumazione di un reato articolo 12 quinquies L. numero 356 del 1992 diverso da quello per cui si procede nei suoi confronti nei primi due procedimenti violazione dell'articolo 274 cod. proc. penumero per assenza di pericolo di recidiva e/o inquinamento probatorio, sotto il profilo che le misure cautelari esistenti per altre cause non possono essere aggravate in ragione di presunti tentativi di commissione di reati non ricompresi nel novero di quelli relativi inerenti la cautela già in atto violazione dell'articolo 274 cod. proc. penumero , in relazione alla ritenuta adeguatezza della custodia in carcere quale unica misura idonea a fronteggiare le esigenze cautelari. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta fondato nei termini di cui in motivazione. Il Tribunale di Bologna ha ritenuto che la predisposizione di un lettera raccomandata da parte dell'indagato agli arresti domiciliari, affidata per la spedizione a persona autorizzata dal giudice a frequentarlo, abbia integrato violazione della prescrizione accessoria del divieto di comunicare con terzi, indifferente risultando la circostanza della mancata trasmissione diretta da parte dell'interessato. Il presupposto di detto argomentare è che la lettera avesse contenuto comunicativo rispetto ai destinatari, laddove il ricorrente sostiene che essa servisse unicamente a tutelare i propri interessi, avendo ad oggetto la sollecitazione rivolta alla controparte negoziale di adempiere ad un contratto. Ciò premesso, reputa il Collegio che, se appare insuscettibile di censura la valutazione circa l'indifferenza della modalità diretta o indiretta con cui può attuarsi la comunicazione, non è stato adeguatamente precisato se la missiva, pur concernente una dichiarazione di volontà a contenuto certamente comunicativo, costituisse il compimento di un atto giuridico. Secondo un precedente giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, la comunicazione costituisce, infatti, atto puntuale suscettibile di esaurirsi anche in un'unica azione, come tale distinguendosi dalla frequentazione con una o più persone che implica il concetto di abituale reiterazione del contatto con terzi Cass. Sez. 5, sent. numero 12653 del 20/03/2002, Vanacore M., Rv. 221259 . La statuizione merita, tuttavia, una precisazione, nel senso che se è indiscutibile che la comunicazione possa esaurirsi in un unico comportamento, è tuttavia determinante stabilirne con esattezza l'oggetto per verificare se quel comportamento, oltre ad integrare una comunicazione, costituisca anche quid pluris . Costituiscono ad es. quid pluris gli atti giuridici non negoziali che la dottrina definisce di partecipazione o comunicazione, quali le notificazioni articolo 1264 cod. civ. , le opposizioni articolo 1180, comma 2 cod. civ. , le denunzie articolo 1780 comma 1 cod. civ. e le diffide articolo 1454 cod. civ. , che debbono essere tenuti distinti dai meri atti di comunicazione, all'ovvia condizione che siano riconoscibili come tali ed assolvano alla funzione propria per cui sono compiuti. Se è, dunque, pacifico che tale categoria di atti giuridici è riconducibile al più ampio genus delle comunicazioni, la relativa enucleazione quale species rispetto ai meri atti comunicativi s'impone in base ad un preciso dato normativo. L'articolo 18 comma 1 L. numero 354 del 1975 Ordinamento Penitenziario come modificato dall'articolo 12 bis comma 1 lett. a d.l. numero 207 del 2008 convertito nella L. numero 14 del 2009, trattando dei colloqui e della corrispondenza spettanti agli internati e ai detenuti, precisa che tali categorie di persone vi sono ammesse 'anche al fine di compiere atti giuridici. La previsione di una precisa distinzione tra atti e comportamenti aventi contenuto meramente comunicativo rispetto a quelli integranti anche il compimento di atti giuridici manifesta appieno la consapevolezza della differenza avvertita dal legislatore. Del resto, l'indagato ristretto agli arresti domiciliari, una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale a comunicare con persone diverse da quelle che abitualmente con lui coabitano o lo assistono, non incontra alcuna restrizione a compiere atti giuridici potendo ad es. rilasciare atti di procura di cui all'articolo 1392 cod. civ. , posto che da un lato un divieto in tal senso non sarebbe neppure imponibile ai sensi dell'articolo 284 comma 2 cod. proc. penumero e dall'altro che la misura cautelare non è finalizzata a limitarne la capacità di agire ovvero la sua idoneità a svolgere attività giuridica riguardante la sfera dei propri interessi. Solo la condanna in via definitiva comporta, infatti, l'applicazione di limitazioni più o meno rilevanti della capacità di agire del condannato, il che avviene mediante l'interdizione legale conseguente all'irrogazione dell'ergastolo o della reclusione in misura non inferiore a cinque anni articolo 32 cod. penumero o l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione articolo 32 ter e 32 quater cod. penumero , entrambe costituenti pene accessorie facenti parte di una più ampia panoplia contemplante, altresì, interdizioni articolo 28, 29, 30, 31, 32 bis cod. penumero e sospensioni articolo 35 e 35 bis cod. penumero funzionali e professionali, sospensione e decadenza dalla potestà genitoriale articolo 34 cod. penumero . L'individuazione del contenuto delle prescrizioni accessorie di una misura cautelare deve, dunque, avvenire in base al principio del favor rei, nel senso che laddove un comportamento non sia espressamente vietato esso deve ritenersi consentito, atteso che l'imposizione della misura costituisce comunque una deroga al principio di inviolabilità della libertà personale che per previsione costituzionale non ammette restrizione se non nei casi e modi previsti dalla legge articolo 13, comma 2 Cost. . Spetterà, dunque, al Tribunale di Bologna, cui gli atti vanno rinviati per nuovo esame, valutare se il contenuto della lettera raccomandata trasmessa dal ricorrente avesse quale unico scopo quello di tutelarne le aspettative contrattuali, integrando un vero e proprio atto giuridico di diffida ad adempiere o se invece implicasse un contenuto informativo ulteriore, tale da integrare violazione del divieto impostogli di comunicare con terzi non autorizzati. 4. Risulta, invece, destituita di fondamento la doglianza inerente l'aggravamento del regime cautelare a motivo della consumazione di altro e diverso reato da quello per cui si procede. Altro problema posto dalla fattispecie in esame è se la spedizione della citata missiva possa avere integrato un nuovo e diverso reato articolo 12 quinquies L. numero 356 del 1992 rispetto a quelli che giustificavano il mantenimento della misura cautelare, in particolare sotto il profilo della consapevolezza da parte del B. del presupposto di fatto per la configurabilità dell'illecito l'apertura di un ulteriore procedimento a suo carico , mentre appare del tutto pacifica la possibilità per il giudice di disporre un aggravamento del regime cautelare onde evitare la consumazione anche di reati diversi da quelli per cui si procede. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, già affermato il principio che è legittima l'imposizione del divieto di comunicazione con persone non coabitanti disposta nei confronti dell'imputato agli arresti domiciliari in funzione non solo di tutela di esigenze cautelari endoprocessuali, ma anche di prevenzione sociale, intesa a prevenire la commissione di ulteriori reati della stessa specie, oltre che a scongiurare la maggiore probabilità del pericolo di fuga Cass. Sez. 6, numero 3516 del 15/10/2008, Turra, Rv. 242656 . Ne consegue che la violazione di tale divieto dovuta alla commissione di ulteriori reati può essere legittimamente sanzionata ai sensi dell'articolo 276 comma 1 cod. proc. penumero . 4. All'annullamento del provvedimento impugnato consegue il rinvio al Tribunale di Bologna per nuova deliberazione. P.Q.M. annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Bologna.