L’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato è reato residuale per condotte marginali senza raggiri e induzione in errore

Cosa non si farebbe per conseguire una pensione o una qualche sovvenzione pubblica specialmente in questo periodo?

Deve essere questo il movente che ha spinto un trentacinquenne di Sciacca a presentare una domanda per ottenere la prestazione di disoccupazione da parte dell’INPS dichiarando falsamente di avere avuto e aver, poi, cessato un rapporto di lavoro con una certa ditta. Una dichiarazione a seguito della quale l’INPS erogava l’indennità in quanto il richiedente aveva dichiarato di possedere tutti i requisiti necessari per accedere al beneficio erogato dall’ente pubblico. Condannato in primo grado dal Tribunale di Sciacca con sentenza successivamente confermata dalla Corte di appello di Palermo per il reato di cui all’articolo 640 bis c.p., e, cioè, per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, l’imputato decide di ricorrere per cassazione che con la sentenza del 27 novembre 2012, numero 46064 della seconda sezione penale accoglie parzialmente il ricorso, annulla la sentenza e rinvia per un nuovo giudizio. «La firma non era la mia». Vediamo, quindi, le motivazioni addotte dalla Suprema Corte. Innanzitutto viene rigettato il primo motivo di ricorso per mezzo del quale l’imputato si era lamentato di ciò, che la Corte di appello non aveva disposto la riapertura dell’istruttoria richiesta per effettuare una perizia grafica sui documenti presentati all’INPS. Per la Cassazione, però, la motivazione con la quale la Corte di merito aveva disatteso quella richiesta era esente da vizi motivazionali in fondo, ha osservato la Corte, come mai l’imputato «non una parola ha speso circa il fatto di avere riscosso le somme in questione, fatto del tutto incompatibile con la sua asserita ignoranza nella sottoscrizione della domanda?». Un po’ strano quindi che qualcuno affermi di non saper nulla di una domanda presentata a suo nome con suoi documenti allegati in copia ma questo potrebbe anche essere e poi incassi lui e non altri le somme richieste. Quale qualificazione giuridica per la fattispecie? Ma eccoci giunti al cuore della sentenza il ricorrente aveva sostenuto - anche nell’atto di appello - che si sarebbe potuto «al più ritenere che il comportamento addebitato abbia integrato l’ipotesi prevista dall’articolo 316- ter c.p.», cioè, l’ipotesi delittuosa di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. E proprio perché egli lo aveva sostenuto nell’atto di appello con uno specifico motivo e la Corte territoriale aveva completamente omesso di rispondere sul punto la Cassazione annulla la sentenza con rinvio per un nuovo giudizio, ma cogliendo l’occasione per precisare alcuni punti fermi sul delicato tema. Ed infatti, è assolutamente delicato il rapporto - e forse più precisamente l’accertamento in fatto - tra le diverse fattispecie all’interno delle quali astrattamente potrebbe essere sussunta la condotta dell’imputato. Da una parte il delitto previsto e punito dall’articolo 640 bis c.p. e dall’altro lato la fattispecie di reato di cui al primo comma dell’articolo 316 ter c.p. da un lato, quindi,troviamo i classici artifici e raggiri della truffa che inducono in errore l’ente che eroga prestazioni non dovute e, dall’altro lato «l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero l’omissione di informazioni dovute» per conseguire indebitamente contributi ed altro. Ma quale rapporto esiste tra le due fattispecie? Innanzitutto, l’articolo 316 ter c.p. apre con una clausola di sussidiarietà «salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis». Ne deriva - come ha riconosciuto anche la Corte Costituzionale con l’ordinanza 59/2004 - in modo inequivocabile che il delitto dell’articolo 316-ter «è destinato a colpire fatti che non rientrano nel campo di operatività» della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Sarà, quindi, compito del giudice di merito valutare se la concreta condotta sottoposta al suo esame - in considerazione del contesto specifico in cui si è svolta - abbia, oppure no, indotto in errore chi doveva erogare o no le prestazioni poi ottenute. Per la Suprema Corte il discrimen tra le due fattispecie deve essere individuato in ciò, che «la presentazione di dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere deve essere fatto strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri» e, soprattutto, per «l’assenza di induzione in errore». Ecco allora che - richiamando il precedente delle Sezioni Unite del 2007 - la Corte ricorda che la fattispecie residuale dell’articolo 316-ter «si riduce così a situazioni del tutto marginali come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale».

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 ottobre - 27 novembre 2012, numero 46064 Presidente Esposito – Relatore Rago Fatto 1. Con sentenza del 19/12/2011, la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza con la quale, in data 02/07/2010, il Tribunale di Sciacca aveva ritenuto S.G. colpevole dei delitti di cui agli articolo 640 bis [“perché, con artifizi e raggiri consistiti nel presentare all'INPS di Sciacca domanda di prestazione di disoccupazione in cui attestava falsamente la sussistenza e la successiva cessazione di un rapporto di lavoro intercorso con la ditta Hotel Ristorante Parma di Capone A. & amp C. s.numero c. [ ] induceva in errore l'ente pubblico previdenziale circa la sussistenza dei presupposti necessari per percepire l'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, così ottenendo l'erogazione in suo favore” di Euro 3.831,27 per l'anno 2003 e di Euro 2.500,00 per l'anno 2004] e 483 cod. penumero . 2. Avverso la suddetta sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 1. violazione dell'articolo 603 cod. proc. penumero per avere la Corte disatteso l'istanza di riapertura dell'istruttoria finalizzata all'espletamento di una perizia grafica sulle sottoscrizioni apposte sui documenti prodotti nella domanda presentata all'Inps. Il ricorrente sostiene, infatti, che non era stato lui a sottoscrivere la domanda in questione. 2. errata qualificazione giuridica ad avviso del ricorrente, quand'anche il fatto gli fosse addebitato, il medesimo avrebbe dovuto essere sussunto o nella fattispecie di cui all'articolo 316 ter cod. penumero essendosi egli solo limitato a sottoscrivere una domanda senza avere, quindi, posto in essere alcuna attività di induzione in errore dell'Inps o in quella di cui all'articolo 640/2 n 1 cod. penumero Diritto 1. violazione dell'articolo 603 cod. proc. penumero la doglianza è manifestamente infondata. Infatti, la motivazione addotta dalla Corte a sostegno della reiezione del'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale [“allegazione dei documenti di identità alle domande per l'erogazione dell'indennità nelle quali si prospettava falsamente la sussistenza dei requisiti richiesti che unitamente all'incasso delle somme dimostrano in maniera inequivoca la sua colpevole partecipazione al raggiro in danno dell'INPS“ cfr pag. 2 del ricorso] deve ritenersi corretta, congrua e logica alla stregua degli indicati elementi fattuali, sicché non si presta alla generica censura dedotta dal ricorrente che non una parola ha speso circa il fatto di avere riscosso le somme in questione, fatto del tutto incompatibile con la sua asserita ignoranza nella sottoscrizione della domanda, come puntualmente stigmatizzato dalla Corte territoriale. 2. errata qualificazione giuridica il ricorrente è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 640 bis cod. penumero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, costituisce un'ipotesi aggravata dell'articolo 640 cod. penumero Sul punto va registrato che, nonostante il ricorrente, in sede di appello avesse dedotto - come risulta dalla stessa sentenza impugnata a pag. 2 - uno specifico motivo in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, potendosi al più ritenere che il comportamento addebitato abbia integrato l'ipotesi prevista dall'articolo 316 ter c.p. , tuttavia la Corte territoriale non si è peritata di rispondere avendo omesso, sul punto, qualsivoglia motivazione. 2.1. Peraltro, sulla questione di diritto questa Corte ritiene di dovere precisare quanto segue. Si è in presenza di una assoluta carenza motivazionale che determina l'annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo che, in sede di nuovo giudizio, si atterrà ai principi qui di seguito esplicitati. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla tematica dei rapporti tra le fattispecie rispettivamente previste dagli articolo 640 bis e 316 ter c. penumero , nella ordinanza numero 95 del 2004 - dopo aver rammentato la coincidenza della questione con quella in passato sollevata per la previsione punitiva di cui alla L. 23 dicembre 1986, numero 898, articolo 2 - ha rilevato che “il carattere sussidiario e residuale dell'articolo 316 ter c.p., rispetto all'articolo 640 bis c.p., - a fronte del quale la prima norma è destinata a colpire fatti che non rientrino nel campo di operatività della seconda - costituisce dato normativo assolutamente inequivoco”. Ha in tal modo escluso la automatica sovrapponibilità delle condotte individuate nell'articolo 316 ter c.p. dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere con quelle di cui all'articolo 640 c.p., cioè con gli artifici e raggiri. Ha tuttavia espressamente riservato all’“ordinario compito interpretativo del giudice accertare, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie delineata dall'articolo 316 ter c.p., integri anche la figura descritta dall'articolo 640 bis c.p., facendo applicazione in tal caso solo di quest'ultima previsione punitiva”. E ciò perché la stessa Corte ha ritenuto evidente, anche in ragione delle preoccupazioni espresse dal legislatore nel corso dei lavori parlamentari, che l'articolo 316 ter c.p. sia volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella già offerta dall'articolo 640 bis c.p., coprendo , in specie, gli eventuali margini di scostamento, - per difetto - dal paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode in materia di spese . Ciò sta dunque a significare che nella valutazione della fattispecie concreta è rimesso al giudice stabilire se la condotta che si è risolta in una falsa dichiarazione, per il contesto in cui è stata formulata, ed avuto riguardo allo specifico quadro normativo di riferimento nella cui cornice il fatto si è realizzato, integri l'artificio di cui all'articolo 640 c.p. e se da esso sia poi derivata l'induzione in errore di chi è chiamato a provvedere sulla richiesta di erogazione. La condotta descritta dal richiamato articolo 316 ter c.p. si distingue, dunque, dalla figura delineata dall'articolo 640 bis c.p. per le modalità, giacché la presentazione di dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere deve essere fatto strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, e si distingue altresì per l'assenza di induzione in errore. La sussistenza, dunque, della induzione in errore, da un lato, e la natura fraudolenta della condotta, dall'altro, non possono che formare oggetto di una disamina da condurre caso per caso, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto in terminis SSUU le quali con la sentenza n 16568/2007 riv 235962, hanno proprio affermato che “[ ] l'ambito di applicabilità dell'articolo 316 ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale”. 2.2. Tanto premesso in punto di diritto, è del tutto evidente che, ai fini della soluzione giuridica - e cioè di quale reato l'imputato debba rispondere - occorre accertare, in punto di fatto, se e quali artifizi o raggiri il S. pose in essere nei confronti dell'Inps. Il suddetto dato fattuale, tuttavia, non risulta chiaro dall'impugnata sentenza di conseguenza - come si è già rilevato - la medesima dev'essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo che, dopo avere effettuato il predetto accertamento di fatto, si atterrà, in punto di diritto, a quanto sopra specificato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo per nuovo giudizio.