Continua a percepire la pensione della moglie defunta: l’INPS ha diritto alla ripetizione

La disciplina speciale in materia di indebito previdenziale, in forza della quale le somme percepite dal soggetto in buona fede sono irripetibili, esige comunque l’esistenza di un reale rapporto previdenziale diversamente, trova applicazione la regola generale dell’incondizionata ripetibilità dell’indebito di cui all’art. 2033 c.c

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza n. 21453, depositata il 19 settembre 2013. Comunica all’INPS il decesso della moglie, ma continua a percepire la sua pensione quali sono gli scenari? La decisione in commento trae origine dal giudizio promosso dopo che l’INPS si era attivato per recuperare le somme che aveva continuato a versare, sul conto corrente cointestato a due coniugi, a titolo di pensione di invalidità della moglie, nonostante il marito avesse provveduto a comunicare all’Istituto il decesso della beneficiaria del trattamento assistenziale. A fronte di questa situazione, si ponevano due alternative considerare tali somme ripetibili ex art. 2033 c.c. indebito civile , ovvero ritenere applicabile la disciplina speciale di cui all’art. 52, l. n. 88/1989, a norma della quale le somme percepite dal soggetto in buona fede sono irripetibili indebito previdenziale . L’irripetibilità delle somme percepite dal soggetto in buona fede ha un fondamento costituzionale. In proposito, la Corte costituzionale ha chiarito che, nel quadro dei trattamenti pensionistici e previdenziali gestiti dall’INPS, trova applicazione, in deroga alla generale regola codicistica dell’incondizionata ripetibilità dell’indebito, la diversa regola che esclude, viceversa, la ripetizione in presenza di una situazione di non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta Corte Cost., n. 431/1993 . Il Giudice delle leggi ha, altresì, affermato che tale principio di settore si accompagna ad una tutela di rango costituzionale art. 38 Cost. , nei confronti della parte più debole del rapporto, le cui essenziali esigenze di vita verrebbero compromesse da una indiscriminata ripetibilità di prestazioni naturaliter già consumate in correlazione della loro destinazione alimentare. La regola dell’irripetibilità presuppone l’esistenza di un rapporto previdenziale. Pur consapevole dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale sopra richiamato, la Cassazione ha affermato che la regola dell’irripetibilità – che ha, come minimo comune denominatore, la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta – esige pur sempre che il percettore abbia fatto ingresso nel singolo settore di protezione sociale individuato dalla specifica prestazione della cui ripetibilità si controverte cfr. Cass., n. 12406/2003 . Se, viceversa, il precettore rimane estraneo ad esso, non opera più quella ratio unificante sottesa alla disciplina speciale di settore . La regola dell’irripetibilità delle somme percepite dal soggetto in buona fede non trova applicazione, pertanto, nel caso di errore nell’identificazione della persona beneficiaria della prestazione Cass., n. 12406/2003 . Per le medesime ragioni – secondo la Suprema Corte – tale regola di favore non può trovare applicazione nella fattispecie in questione, dal momento che il coniuge superstite era totalmente estraneo al rapporto previdenziale da cui era scaturita l’erogazione indebita, facendo questo capo alla moglie. L’elemento di collegamento era dato da un fattore estrinseco al rapporto previdenziale ed era costituito dalla contitolarità del conto corrente bancario nel quale erano stati accreditati i ratei della pensione di invalidità, con la conseguenza che la prestazione erogata in favore della persona deceduta era stata percepita dal coniuge superstite, peraltro fruitore della pensione di reversibilità nello stesso periodo. Ne discende che l’inesistenza di un reale rapporto previdenziale esclude l’operatività dell’art. 52, l. 88/1989 e delle leggi successive intervenute in materia , mentre trova applicazione la disciplina ordinaria di cui all’art. 2033 c.c. dell’indebito oggettivo, trattandosi di un pagamento effettuato senza titolo, che colui che lo ha fatto ha diritto di ripetere cfr. Cass., n. 5167/1998 . In questa situazione, dunque, non si radica quella esigenza speciale, di tutela del percettore in buona fede di una prestazione previdenziale indebita, richiamata dalla Corte costituzionale. La Cassazione individua la ratio legis, ma smentisce sé stessa. La Suprema Corte, infine, nel dare atto di un proprio precedente difforme Cass., n. 11922/2013 , contesta l’affermazione, ivi contenuta, secondo cui la disciplina speciale volta ad escludere la disciplina codicistica dell’indebito riguarderebbe tutti i soggetti che hanno percepito prestazioni pensionistiche indebitamente sempre che sussistano le condizioni di reddito . Tale conclusione, secondo la pronuncia in commento, contrasta con la ratio legis , atteso che il legislatore ha voluto distinguere tra le diverse fattispecie di indebito, assicurando una protezione nei confronti dei soli soggetti astrattamente titolari di un certo credito previdenziale, ma in concreto privi del diritto, in tutto o in parte, per mancanza di uno o più elementi costitutivi. La tesi contraria permetterebbe la definitiva attribuzione di somme a persone del tutto estranee al sistema pensionistico, in contrasto con il canone di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 giugno - 19 settembre 2013, numero 21453 Presidente Roselli – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con sentenza del 22 aprile 2008 la Corte di appello di Reggio Calabria, accogliendo l'appello proposto dall'INPS, riformava la sentenza di primo grado che aveva accertato l'irripetibilità dei ratei della pensione di invalidità erroneamente erogati dall'Istituto dopo il decesso della titolare, S.C. , coniuge del ricorrente B.G. . Le somme, già accreditate sul conto corrente bancario cointestato ai due coniugi, erano state oggetto di recupero da parte dell'Istituto mediante trattenute sulla pensione di reversibilità erogata al B. . Osservava la Corte di appello che, mancando radicalmente il diritto alla prestazione in capo al ricorrente, la prestazione era ripetibile ex art. 2033 cod. civ., non trovando applicazione la disciplina dell'indebito previdenziale di cui all'art. 52 legge numero 88/89. Avverso tale sentenza B.G. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi e illustrato con successiva memoria ex art. art. 378 cod. proc. civ Resiste con controricorso l'INPS. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della legge 9 marzo 1988 numero 89, art. 52, e della legge 30 dicembre 1991 numero 412, art. 13, censura la sentenza per non avere debitamente considerato che tali disposizioni non distinguono l'indebito pensionistico in ragione del motivo della erogazione indebita, se cioè essa sia avvenuta per carenza di un requisito costitutivo o per difetto radicale del diritto alla prestazione. Il ricorrente sostiene che non era tenuto ad effettuare ulteriori comunicazioni una volta informato l'INPS dell'avvenuto decesso della moglie che nessun dolo era ravvisabile per omessa o incompleta segnalazione di fatti rilevanti a norma dell'art. 13 legge numero 412 del 1991 che l'indebita erogazione di somme non dovute era imputabile unicamente all'Istituto, che aveva continuato il pagamento pur essendo stato reso edotto della inesistenza in vita della titolare del trattamento pensionistico. Il secondo motivo denuncia carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo, consistente nell'assenza di dolo del percettore art. 360 cod. proc. civ., numero 5 , avendo il ricorrente adempiuto tutti gli obblighi di informazione riguardanti il decesso della moglie e non avendo posto in essere alcun atto fraudolento suscettibile di trarre in inganno l'ente erogatore, come poteva desumersi dai documenti prodotti, che la sentenza impugnata aveva omesso di esaminare. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, vertendo su questioni di fatto e di diritto tra loro connesse, sono infondati. La Corte di appello ha richiamato, a sostegno della soluzione adottata, la sentenza di questa Corte del 23 agosto 2003 numero 12406, la quale ha affermato il principio secondo cui, qualora sia stata indebitamente corrisposta, per errore di persona, una prestazione assistenziale che il percettore non abbia mai richiesto ed alla quale non abbia diritto, le somme indebitamente percepite sono ripetibili sulla base della ordinaria disciplina codicistica dettata dall'art. 2033 cod. civ., mancando la ratio per applicarsi, in questo caso, il principio di settore di necessaria tutela del percettore in buona fede della prestazione assistenziale indebita. Al caso della erogazione indebita per errore di persona è accomunabile, per eadem ratio , quello oggetto del presente giudizio in cui l'errore ha riguardato la corresponsione di ratei in favore di persona deceduta. In entrambe le ipotesi si è trattato di erogazioni di somme estranee ad un rapporto previdenziale facente capo al percettore e tale situazione colloca l'indebito al di fuori dell'alveo della disciplina di settore, riconducendolo in quella comune di cui all'art. 2033 cod. civ La disciplina dell'indebito previdenziale ha carattere speciale rispetto al regime ordinario dell'art. 2033 cod. civ., in quanto diretta ad approntare una tutela idonea in favore di chi abbia in buona fede percepito le prestazioni. La Corte Costituzionale, nella sentenza numero 431 del 1993 ha affermato che nel quadro della disciplina delle pensioni e del pari in quello delle pensioni private gestite dall'INPS si è affermato ed è venuto via via consolidandosi un principio di settore, secondo il quale - in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell'indebito art. 2033 c.c. - trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta. Tale regola, tuttavia, vive nell'ordinamento positivo in forme e con articolazioni differenziate e variamente modulate, in senso sincronico oltreché diacronico. Ed infatti l'elemento soggettivo, riferito al percipiente, che preclude l'applicazione della regola codicistica di ripetibilità dell'indebito, varia dalla previsione, in negativo, della mancanza di dolo v. artt. 80 r.d. 1422/1924, 52, 55, l. 88/1989 13, l. 412/1991 alla prescrizione, in positivo, della buona fede art. 11, l. 656/1986 . Inoltre, alcune volte si richiede art. 13, l. 412/1991 , altre no, che la erogazione indebita - e in alcuni casi anche la sua constatazione art. 3, l. 428/1985 - siano consacrati in un provvedimento formale di questo poi presupponendosi art. 13, l. 412/1991 , o non, la comunicazione all'interessato. Per di più, in talune ipotesi lo ius retentionis ” del percipiente è subordinato anche alla non dipendenza dell'erogazione indebita dalla inosservanza di un suo obbligo di comunicazione artt. 11, l. 656/1986 13, l. 412/1991 , con ulteriore limitazione, in un caso, ai soli fatti che non siano già di per sé conosciuti dall'ente erogante art. 13, l. 412/1991 . Il Giudice delle leggi ha poi osservato che al principio di settore in questione, in funzione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto - che verrebbero ad essere contraddette da una indiscriminata ripetibilità di prestazioni naturaliter ” già consumate in correlazione, e nei limiti, della loro destinazione alimentare - l'art. 38 Cost. assicura una garanzia costituzionale. Il fondamento costituzionale dell'esclusione della ripetizione in funzione della tutela delle essenziali esigenze di vita dell'assicurato o del pensionato - e che sottrae alla indiscriminata ripetibilità le prestazioni naturaliter ” già consumate in correlazione alla loro destinazione alimentare - non è ravvisabile laddove l'erogazione non sia in alcun modo riconducibile ad un rapporto previdenziale o assistenziale facente capo al percettore. Come evidenziato nella sentenza numero 12406 del 2003, la regola della irripetibilità, che presenta, come minimo comune denominatore, la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta, esige pur sempre che il percettore abbia fatto ingresso nel singolo settore di protezione sociale individuato dalla specifica prestazione della cui ripetibilità si controverte ed all'interno del quale è identificabile il principio regolato dagli artt. 52, secondo comma, legge numero 88/89 e 13 legge numero 412/91 ed oggi è l'art. 1, comma 266, l. numero 662 del 1996. Se viceversa il percettore rimane estraneo ad esso, non opera più quella ratio unificante sottesa alla disciplina speciale di settore sent. cit., in motivazione . Come nel caso esaminato nel richiamato precedente, in cui la ragione dell'indebito consisteva in un errore di identificazione della persona beneficiarla della prestazione in quel caso, di un beneficio assistenziale , del pari nella presente controversia l'attuale ricorrente era totalmente estraneo al rapporto previdenziale da cui era scaturita l'erogazione indebita, facendo questo capo alla moglie. L'elemento di collegamento era dato da un fattore estrinseco al rapporto previdenziale ed era costituito dalla contitolarità del conto corrente bancario nel quale erano stati accreditati i ratei della pensione di invalidità, di talché la prestazione erogata in favore della pensionata deceduta era stata percepita dall'attuale ricorrente, peraltro fruitore della pensione di reversibilità nello stesso periodo. Già in precedenza questa Corte aveva affermato Cass. 23 maggio 1998 numero 5167 che trova applicazione non già la speciale disciplina dell'indebito previdenziale, bensì l'ordinaria disciplina dell'indebito civile nell'ipotesi in cui l'INPS abbia annullato la posizione assicurativa in ragione dell'accertamento definitivo con efficacia di cosa giudicata dell'insussistenza del rapporto di lavoro subordinato al quale tale posizione assicurativa si riferiva. È stato così osservato che la questione non si pone in termini di applicazione dell'art. 52 legge numero 88 del 1989 in quanto questa disposizione, al pari di quelle successive intervenute in materia, presuppone una indebita erogazione in relazione ad un rapporto pensionistico reale . , mentre l'inesistenza di un rapporto pensionistico, comporta l'applicazione della disciplina ordinaria di cui all'art. 2033 c.c., propria dell'indebito oggettivo, trattandosi di pagamento effettuato senza titolo, che colui che lo ha fatto ha diritto di ripetere v. sent. citata, 23 maggio 1998 numero 5167 . In tutte le situazioni sopra esaminate non si radica quell'esigenza speciale, di tutela del percettore in buona fede di una prestazione previdenziale indebita, richiamata dalla Corte Costituzionale. Questo Collegio è consapevole del precedente difforme costituito da Cass. 16 maggio 2013 numero 11922, nel quale si osserva che l'esclusione della ripetizione dell'indebito stabilita dalla legge speciale riguarda tutti i soggetti che hanno percepito prestazioni pensionistiche indebitamente sempre che sussistano le condizioni di reddito . Questa espressione non consentirebbe all'interprete di distinguere tra diverse fattispecie di indebito. L'osservazione non è tuttavia persuasiva giacché è la stessa ratio legis che impone di distinguere. Il legislatore speciale ha voluto proteggere, assicurando la conservazione della somma percepita, solo i soggetti astrattamente titolari di un certo credito previdenziale ma in concreto privi del diritto, in tutto o in parte, per mancanza di uno o più elementi costitutivi, come è dimostrato tra l'altro dal riferimento al reddito complessivo, che s'intende aggiunto al titolo pensionistico astrattamente idoneo. La contraria tesi permetterebbe la definitiva attribuzione di somme a persone del tutto estranee al sistema pensionistico, il che non corrisponderebbe al canone di ragionevolezza espresso dal capoverso dell'art. 3 Cost In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, trovando applicazione ratione temporis il regime della irripetibilità di cui all'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 42 del d.l. 30 settembre 2003, numero 269, conv., con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, numero 326. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.