La mancanza di abitabilità dell’appartamento porta alla risoluzione del preliminare

Costituiscono causa di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di compravendita la sussistenza di carenze igienico-sanitarie per violazione di norme urbanistiche, con conseguente rifiuto della licenza di abitabilità, non potendosi ritenere superato l’obbligo di garanzia incombente sul promittente venditore ex art. 1497 c.c. dalla pattuizione negoziale di una clausola di stile secondo cui il bene viene alienato nello stato di fatto e di diritto” in cui si trova.

La Cassazione, con la sentenza n. 21189 del 17 settembre 2013, affronta ancora una volta il tema dell’assenza di certificato di abitabilità di un immobile compromesso in vendita. Come noto, l’obbligazione di consegna del certificato di abitabilità incombe sulla parte promittente venditrice art. 1477 c.c. e deve essere assolta coevamente alla stipulazione del contratto definitivo. La funzione del documento de quo risulta chiara attestare la presenza di precise qualità dell’immobile riconosciute dal legislatore come collettivamente e socialmente importanti. Il caso. Nel 1991 due parti concludevano un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile nella città di Venezia. Il promissario acquirente versava una certa somma a titolo di caparra confirmatoria a conferma della serietà dell’affare. Tuttavia, alla data concordata per il rogito notarile, si rifiutava di prestare il proprio consenso alla stipula del contratto definitivo sostenendo che l’immobile promesso in vendita fosse affetto da gravi irregolarità urbanistiche. Ne nasceva un contenzioso dinanzi al Tribunale che tuttavia rigettava la domanda spiegata dal promissario acquirente, volta a far ordinare a parte promittente venditrice l’esecuzione delle opere necessarie per adeguare l’immobile agli standard urbanistici, ritenendo ingiustificato il suo rifiuto alla stipulazione del contratto definitivo. Nulla però veniva statuito in merito alla caparra versata. Portato il contenzioso alla cognizione della Corte d’appello, questa, riformava integralmente la sentenza impugnata, dichiarando risolto il contratto preliminare per inadempimento della parte promittente venditrice, con condanna della stessa alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria a suo tempo incamerata. Per il giudice di secondo grado, parte promittente venditrice si era resa inadempiente all’obbligo di consegnare un bene immune da vizi ed in regola con le norme urbanistiche. In effetti era emerso nel corso dell’istruttoria che l’immobile de quo era affetto da svariate manchevolezze igienico-sanitarie, tanto da renderlo inidoneo all’uso pattuito sotto il profilo della sua abitabilità. Avverso tale decisione viene spiegato ricorso per cassazione dalla parte promittente venditrice, che si duole per aver il giudice di appello fatto cattivo uso delle norme sull’ermeneutica contrattuale. A suo dire la mera dichiarazione di conformità del bene alle norme urbanistiche, non poteva essere interpretata come assunzione di un obbligo di rendere tale bene conforme alle stesse per la presenza di una clausola negoziale in base alla quale l’immobile veniva acquistato nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava . Con altro motivo lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. e carenza assoluta di motivazione sulla rilevanza di una prova documentale. In altri termini la Corte d’appello avrebbe desunto da un documento rilasciato dal competente Ufficio tecnico comunale la sussistenza di carenze igienico-sanitarie dell’immobile tali da incidere sulla sua abitabilità, quando invece incombeva sulla parte promissaria acquirente fornire la prova della mancanza o della revoca dell’abitabilità. Con altro motivo rileva che la prova della violazione di norme edilizie poggia esclusivamente sulla scorta di un’istanza in sanatoria richiesta da parte promittente venditrice molti anni addietro per eseguire dei lavori prima dell’in proprietà dell’immobile. Infine, si duole parte ricorrente dell’omessa motivazione sul rigetto della domanda di condanna di controparte alla perdita della caparra confirmatoria, a seguito del recesso operato ex art. 1385, comma 2, c.c Niente abitabilità, niente contratto. La Suprema Corte ritiene il ricorso non meritevole di accoglimento. Anzi gli ermellini ribadiscono, quanto al primo motivo di ricorso, che lo stesso è privo del requisito di specificità imposto dall’art. 366, n. 4, c.p.c. non indicando il principio di interpretazione dei contratti che sarebbe stato violato. Specificano gli ermellini, inoltre, che la dichiarazione contrattuale sulla conformità del bene compravenduto alla normativa urbanistica non può ritenersi superata dalla presenza di una clausola di stile qual è quella secondo cui l’immobile è venduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava. Ai fini della decisione rileva anche il documento rilasciato dall’Ufficio tecnico del Comune da dove si evince che i lavori in sanatoria sono stati richiesti per eliminare taluni abusi edilizi, con conseguente rifiuto di rilascio della licenza di abitabilità per carenze igienico-sanitarie . Correttamente il giudice d’Appello ha statuito anche in merito alla condanna del ricorrente al pagamento del doppio della caparra. E’ ormai consolidato quell’orientamento giurisprudenziale cfr. ex multis Cass. n. 1382/2000 e n. 10953/2012 secondo cui il promittente venditore, una volta dichiarata la risoluzione del contratto preliminare, deve restituire al promissario acquirente il doppio della caparra a suo tempo versata essendo venuta meno la causa della corresponsione della stessa. Alcune osservazioni . Dalla fattispecie in esame si evince ancora una volta la rilevanza che in tema di compravendita immobiliare riveste il certificato di abitabilità. Ai fini negoziali, infatti, siffatto certificato costituisce un elemento essenziale dell’abitazione, e la sua mancanza incide negativamente sulle qualità proprie della res promessa in vendita. V’è da specificare, comunque, che, in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina ex se la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene Cass. n. 10200/2012 . Al di là del profilo meramente documentale, ciò da cui scaturisce l’inadempimento è la presenza di un manufatto non utilizzabile da parte del compratore che, non potendoci abitare, è impedito a soddisfare in concreto i bisogni che lo hanno indotto ad effettuare l’acquisto per un approfondimento sul tema si rinvia a A. ANGIULI, Mancata consegna del certificato di agibilità e inadempimento del promittente alienante , in I contratti 2009, 23 e segg. . Se quindi l’inadempimento del venditore lasci ragionevolmente supporre una situazione di fatto per cui sia impossibile che venga rilasciato il certificato di agibilità si potrà agire in giudizio per un’azione di risoluzione del contratto, con tutti i conseguenti obblighi restitutori anche relativi alla caparra confirmatoria.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 giugno - 17 settembre 2013, n. 21189 Presidente Goldoni – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 25.11.1991 Z.J. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Venezia, B.G. , esponendo con contratto preliminare 19.4.1991 si era obbligata ad acquistare dal convenuto un immobile, sito in omissis , versando,a titolo di caparra confirmatoria, la somma di L. 19.000.00 sul prezzo complessivo di L. 60.000.0000 dopo la firma del preliminare aveva appresso che l'appartamento promessole in vendita presentava diverse irregolarità urbanistiche. Chiedeva, quindi, la condanna del B. all'esecuzione delle opere necessarie per adeguare l'immobile alle norme urbanistiche ed, in subordine, la declaratoria di risoluzione del contratto per colpa del convenuto, con condanna dello stesso alla restituzione del doppio della caparra versata. Costituitosi in giudizio il convenuto, in via riconvenzionale, chiedeva la dichiarazione di risoluzione del preliminare di vendita per inadempimento dell'attrice e la condanna della stessa alla perdita della caparra confirmatoria. Con sentenza 21.11.1995 il Tribunale dichiarava risolto il contratto preliminare per colpa della Z. , considerato il suo rifiuto ingiustificato alla stipulazione dell'atto definitivo di vendita respingeva per difetto di prova la domanda risarcitoria del promittente venditore senza nulla disporre in ordine alla caparra a lui versata. Avverso tale decisione il B. proponeva appello cui resisteva la Z. avanzando appello incidentale per la restituzione del doppio della caparra, previa declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di vendita per inadempimento del B. . Con sentenza depositata il 21.2.2007 la Corte d'Appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento dell'appello incidentale, dichiarava risolto, per inadempimento del B. , il contratto preliminare di vendita e condannava lo stesso a versare alla Z. il doppio della caparra confirmatoria ricevuta, oltre interessi legali e spese dei due gradi di giudizio. Osservava la Corte di merito che il B. si era reso inadempiente all'obbligo espressamente assunto di fornire un bene immune da vizi ed in regola con le norme urbanistiche vigenti, essendo emerso dalla C.T.U. e dalla documentazione acquisita che, sia all'atto della conclusione del preliminare di vendita che della prevista stipulazione del definitivo, l'immobile promesso in vendita presentava svariate, manchevolezze sotto il profilo igienico sanitario, tali da comprometterne l'abitabilità nonché alcune difformità rispetto alla normativa edilizia. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il B. formulando cinque motivi con i relativi quesiti di diritto. Resiste con controricorso e successiva memoria J Z. . Motivi della decisione Il ricorrente deduce 1 violazione e falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la mera dichiarazione di conformità del bene compravenduto alle norme urbanistiche non costituiva assunzione di un obbligo del promittente venditore di rendere il bene conforme alle norme stesse, a fronte della clausola contrattuale secondo cui il bene veniva acquistato nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava 2 violazione e falsa applicazione delle norme relative all'interpretazione dei contratti, laddove la sentenza impugnata aveva affermato che il B. si era impegnato a fornire un immobile immune da vizi sotto il profilo igienico sanitario, in contrasto con il tenore letterale delle dichiarazione di conformità dell'immobile solo alle norme urbanistiche 3 violazione dell'art. 2697 c.c. e carenza assoluta di motivazione circa la rilevanza della prova documentale la Corte territoriale aveva desunto dal documento rilasciato dall'Ufficio tecnico comunale la sussistenza di carenze igienico-sanitario incidenti sull'abitabilità dell'immobile in questione, mentre sarebbe spettato alla Z. fornire la prova della mancanza o della revoca della relativa abitabilità 4 violazione e falsa applicazione di legge in ordine alla valutazione delle prove e della C.T.U., per avere la Corte d'appello ritenuto provata la violazione di norme edilizie esclusivamente sulla scorta di un'istanza di sanatoria che il B. aveva presentato per opere eseguite molti anni prima dell'acquisto in proprietà dell'immobile sarebbe stato, peraltro, onere della controparte individuare e provare gli abusi edilizi 5 omessa motivazione sul rigetto della domanda di condanna della Z. alla perdita della caparra confirmatoria in conseguenza del recesso dal contratto, posto in essere del B. ai sensi dell'art. 1385, 2 co. c.c Il ricorso è infondato. Il primo motivo é privo del requisito di specificità, ex art. 366 n. 4 c.p.c., in quanto non indica il principio di interpretazione dei contratti che sarebbe stato violato e le ragioni per le quali il giudice d'Appello si sarebbe discostato dai canoni ermeneutici sotto altro profilo costituisce questione nuova, prospettata per la prima volta in sede di legittimità e, come tale inammissibile, quella con cui si assume il difetto di un obbligo di garanzia derivante dalla specifica dichiarazione contrattuale sulla conformità del bene compravenduto alle norme urbanistiche. In ogni caso detta dichiarazione, ai fini dell'obbligo di garanzia di cui all'art. 1497 c.c., non può ritenersi superata dalla clausola di stile secondo cui il bene veniva alienato nello stato di fatto e diritto in cui si trovava. La seconda doglianza è priva di fondamento, avendo la sentenza impugnata dato conto, sulla base di quanto accertato mediante C.T.U., della richiesta in sanatoria, da parte dello stesso B. , in relazione ad alcuni abusi edilizi nell'esecuzione di lavori interni l'immobile promesso in vendita, comportanti anche la sussistenza di carenze igienico - sanitarie con conseguente rifiuto della licenza di abitabilità, determinata pur sempre dalla violazione di norme urbanistiche. Del pari infondato è il terzo motivo in quanto attinente ad una diversa valutazione della documentazione riguardante i vizi dell'immobile non è dato, inoltre, ravvisare alcuna violazione in tema di onere probatorio, avendo correttamente la Corte di merito fondato l'inadempimento del promittente venditore sul documento dell'ufficio tecnico ove si dava atto che nell'unità immobiliare in questione erano state accertate carenze sotto il profilo igienico sanitario e, quindi, di abitabilità , documento non contraddetto da alcuna prova contraria incombente sul B. , tenuto a provare l'esattezza della propria prestazione. Correttamente la sentenza impugnata ha, infatti, evidenziato al riguardo che il promissario acquirente, per i vizi dell'immobile di cui abbia avuto conoscenza prima della stipulazione, può opporre l'exceptio indimplenti contractus al promettente venditore che gli chieda la stipulazione del contratto definitivo. La quarta censura si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione della documentazione posta a fondamento della decisione e suffragata dagli accertamenti di fatto espletati dal C.T.U In ordine al quinto motivo va rilevato che, con adeguata e logica motivazione, la Corte territoriale, in base al disposto dell'art. 1385 co. 2 c.c., ha rapportato all'inadempimento contrattuale del B. la condanna dello stesso alla restituzione del doppio della caparra versata dalla promissaria acquirente, essendo venuta meno la causa della corresponsione della caparra stessa, una volta dichiarata la risoluzione del contratto con i conseguenti effetti restitutori Cass. n. 13828/2000 n. 10953/2012 . Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che i liquidano in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.