Pena illegale: obbligo del giudice dell’esecuzione di rideterminarla in favore del condannato

Avvalendosi di poteri di accertamento e valutazione, il giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’articolo 666 c.p.p., deve rideterminare la pena in favore del condannato, in tutti i casi in cui essa presenti il carattere dell’illegalità, derivante dall’errore giuridico o materiale da parte del giudice di cognizione.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza numero 24850/18 depositata il 1° giugno. Il caso. Il Tribunale dei minorenni di Caltanissetta condannava l’imputato alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di lesioni personali cosiddette «lievissime», perché giudicate guaribili in giorni quattro. Con l’intervento del difensore di fiducia, il condannato ricorreva in Appello e poi in Cassazione contro tale condanna, in quanto veniva applicata una pena illegale rispetto al reato commesso, ma tali ricorsi venivano dichiarati inammissibili per tardività nella presentazione. Nonostante ciò, la Suprema Corte prende atto dell’illegalità della pena inflitta, proprio perché per il delitto di cui sopra la pena da applicare è quella della multa e non della reclusione, concludendo però con l’impossibilità di ripristinare la legalità della pena proprio a causa del ricorso tardivo. Segue, dunque, la richiesta al giudice dell’esecuzione di provvedere alla sostituzione della pena illegale inflitta con la pena regolarmente prevista dalla legge da applicare al caso concreto. Il ruolo del giudice dell’esecuzione nel caso di pena illegale. Sul potere del giudice dell’esecuzione di porre rimedio all’irrogazione di una pena illegale da parte del giudice di cognizione, le Sezioni Unite, con sentenza numero 47766/2015, hanno sottolineato, in primis, che «l’illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’articolo 666 c.p.p.» in secondo luogo, occorre ricordare che il giudice dell’esecuzione non può conoscere il carattere illegale della pena erroneamente applicata dal Tribunale al reato commesso, poiché la rimodulazione richiesta della pena comporta «una valutazione complessiva di tutti i parametri di commisurazione del trattamento sanzionatorio, del tutto eccentrica rispetto all’ambito di intervento del giudice dell’esecuzione». Va da sé che, nel caso di specie, il giudice di cognizione, pur irrogando una pena illegale, abbia compiuto tutti gli accertamenti e le valutazioni volti a consentire un futuro recupero della legalità della pena senza che sia invaso lo spazio della propria giurisdizione. Sul punto, gli Ermellini concludono Sezioni Unite sentenza numero 42858/2014 che, il giudice dell’esecuzione ha l’onere di rideterminare la pena in favore del condannato, qualora questi risulti erroneamente applicata, anche se «il provvedimento correttivo da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione». La Corte di Cassazione, così, annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale per i minorenni succitato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 maggio – 1 giugno 2018, numero 24850 Presidente Bonito – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto Il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta, in qualità di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato il non luogo a procedere in ordine alla richiesta di T.D. di annullamento dell’ordine di esecuzione e la parziale revoca della sentenza di condanna, nonché alla sospensione del predetto ordine di esecuzione. Ha in particolare osservato che la parziale riforma della sentenza di condanna costituisce un tipico motivo di gravame e, come tale, doveva essere richiesta in sede di impugnazione ha conseguentemente concluso per l’inammissibilità della richiesta di annullamento dell’ordine di esecuzione, in quanto non sorretta da giustificati motivi, aggiungendo di non essere competente, come giudice dell’esecuzione, a conoscere la richiesta. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di T.D. , che ha articolato più motivi. Ha anzitutto premesso che T.D. è stato condannato dal Tribunale per i minorenni di Caltanissetta alla pena di mesi otto di reclusione per il delitto di lesioni personali cd. lievissime, perché giudicate guaribili in giorni quattro. L’appello e poi il ricorso per cassazione contro la condanna sono stati dichiarati inammissibili per tardività, ma la Corte di cassazione ha comunque ha preso atto della illegalità della pena inflitta, dato che per il delitto di lesioni personali cd. lievissime la pena prevista è quella della multa e non della reclusione, seppure abbia concluso per l’impossibilità di ripristinare la legalità della pena in ragione, appunto, della tardività del ricorso. Da qui la richiesta al giudice dell’esecuzione di provvedere alla sostituzione della pena illegale inflitta con la pena di legge. Con il primo ha dedotto violazione di legge. Il giudice dell’esecuzione ha illegittimamente omesso di provvedere alla sostituzione della pena illegale che è stata inflitta al ricorrente, nonostante il carattere di illegalità sia stato riconosciuto dalla Corte di cassazione che, attesa l’inammissibilità per tardività del gravame, non ha potuto essa stessa porvi rimedio. Con il secondo ha dedotto vizio di motivazione. Il Tribunale per i minorenni ha dato risposta a questioni non sollevate e ha dato risposte generiche alle specifiche richieste difensive. Ha omesso di motivare la decisione di incompetenza a conoscere della richiesta proposta. Il procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, con rideterminazione della pena da eseguirsi. Considerato in diritto Il ricorso è fondato ed è quindi meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito esposte. È principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che anche il giudice dell’esecuzione possa porre rimedio all’irrogazione di una pena illegale. Le Sezioni unite hanno stabilito che l’illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’articolo 666 c.p.p. - Sez. unumero , 26 giugno 2015, numero 47766, Butera e altro, C.E.D. Cass., numero 265108 -. Le stesse Sezioni unite hanno però contestualmente statuito che il giudice dell’esecuzione non può conoscere dell’illegalità della pena, derivante dall’omessa erronea applicazione da parte del tribunale delle sanzioni previste per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace giacché la richiesta rimodulazione della pena comporta una valutazione complessiva di tutti i parametri di commisurazione del trattamento sanzionatorio, del tutto eccentrica rispetto all’ambito di intervento del giudice dell’esecuzione - Sez. unumero , 26 giugno 2015, numero 47766, Butera e altro, C.E.D. Cass., numero 265109 -. Tale ultimo principio di diritto è certo condiviso, ma occorre che esso sia inteso col necessario grado di concretezza, in modo che l’asserita inconciliabilità tra compiti propri della giurisdizione esecutiva e determinazione di una pena secondo un apparato sanzionatorio in gran parte autonomo, perché radicato nelle peculiarità della giurisdizione di pace, sia in concreto sperimentata attraverso un’attenta considerazione dei contenuti della sentenza di condanna. Occorre cioè che l’impedimento ad un intervento correttivo del giudice dell’esecuzione, generalmente ammesso e doveroso negli altri casi di pena illegale, emerga dal concreto riscontro che le statuizioni della sentenza non contengono quegli apprezzamenti necessari a far sì che la rideterminazione della pena entro gli ambiti di legalità possa avvenire anche in sede esecutiva, senza l’adozione di scelte proprie della giurisdizione di cognizione. Non può escludersi, infatti, che nel concreto della singola vicenda il giudice della cognizione, pur errando con l’irrogazione di una pena illegale, abbia comunque compiuto gli accertamenti e le valutazioni che possano consentire un postumo recupero di legalità senza che siano invasi gli spazi della sua giurisdizione. Un accertamento di tal tipo è un presupposto necessario affinché il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione rifiuta il richiesto intervento correttivo sia coerente con l’evoluzione giurisprudenziale in tema di rimedi alla illegalità della pena irrogata, sì come cristallizzata nella pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata. L’affermazione che, anche in presenza di un ricorso inammissibile e pur quando la questione non sia devoluta, la Corte di cassazione debba conoscere della illegalità della pena, seppure con l’unico limite dell’inammissibilità del ricorso per tardività, rivela la spiccata sensibilità costituzionale del tema. Essa impone di ricercare ogni possibile soluzione, nel rispetto della chiara linea di confine tra cognizione ed esecuzione, specie quando, come nel caso in esame, il rimedio di cognizione sia stato precluso dalla inammissibilità, per tardività, dell’impugnazione. La direzione interpretativa è segnata da una pronuncia di poco precedente a quella che ha trattato il tema della illegalità della pena per mancato ricorso al catalogo sanzionatorio proprio del giudice di pace. Sul versante affine di illegalità della pena per intervento demolitorio della Corte costituzionale su una norma incidente sul trattamento sanzionatorio, le Sezioni unite hanno affermato che il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento correttivo da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione - Sez. unumero , 29 maggio 2014, numero 42858, P.M. in proc. Gatto, C.E.D. Cass., numero 260697 -. L’ordinanza impugnata deve allora essere annullata. L’annullamento va disposto senza rinvio, perché l’approfondita considerazione dei contenuti della sentenza che ha irrogato la pena illegale si pone, come già detto, quale presupposto necessario alla decisione, in assenza del quale gli atti devono essere restituiti al giudice a quo, perché provveda, impregiudicato il merito delle sue determinazioni, nel rispetto dell’indicato modello procedimentale. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale per i minorenni di Caltanissetta. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’articolo 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.